Il museo è morto, lunga vita al museo
Cosa sono oggi i musei, a quali bisogni rispondono e a quali potranno rispondere in futuro? Patrizia Asproni ci offre la sua riflessione, come di consueto strategica e multidimensionale sulla rivoluzione che investe gli spazi del sapere, esplorando gli ambiti. “Si è aperta la strada a una pluralità di punti di vista sul destino dei musei (…) che possono rappresentare uno dei nodi di un sistema che costruisce coesione sociale a base culturale”. A questa missione sono chiamati non solo “il settore pubblico, naturale responsabile del patrimonio e della sua valorizzazione in quanto espressione della comunità dei cittadini”, ma “nel moltiplicarsi dell’offerta che nasce (..) dai privati”, un “un ecosistema a più voci” non potrà che essere fecondo
La crisi delle istituzioni culturali pubbliche che ha agitato e agita i sonni di chi le sostiene, gestisce o di chi è chiamato, a un livello superiore, al decision-making, ha generato di buono un nuovo approccio all’analisi, aprendo la strada a una pluralità di punti di vista sul destino dei musei.
È in questo rinnovato panorama concettuale che si possono rintracciare, con una riflessione attenta, elementi di evoluzione e rivoluzione, ma anche di inattesa rivitalizzazione di alcune tra le funzioni di base del museo. Specie in una lettura alta, in cui lo sguardo si apre alle tendenze che globalmente attraversano economia, società, individui.
Oggi che ogni traccia umana, nella moltiplicazione dei segni, sembra esposta al rischio della precarietà, quando non dell’oblio; che perfino gli oggetti perdono consistenza materiale e le occasioni di contatto con il virtuale nel quotidiano superano quelle con il mondo fisico; che la Storia collettiva viene superata (e sempre più facilmente archiviata) dalla storie a breve termine, la missione di conservazione insita dei musei suscita nuovo interesse. Nel presente intangibile, musealizzare appare l’ancora di salvezza di chi è in cerca di forme di back-up antropologico-esistenziale. Specie se dispone di risorse finanziarie adeguate, impresa o privato che sia, sempre più attratto dalla prospettiva del museo personale (o giù di lì).
E allora vale la pena di fare un’operazione solo apparentemente compilativa, e tornare a vedere, di voce in voce, cosa sono i musei oggi e a quali bisogni rispondono.
- Conservazione, contro l’oblio e la violenza. È documentato che all’indomani dell’11 settembre in tutti gli Stati Uniti le visite dei cittadini ai musei abbiano fatto un significativo balzo in avanti. Di fronte alla minaccia al cuore del sistema, alla messa in discussione dell’identità condivisa, la spinta avvertita dalle comunità era verso la riconnessione con se stesse, mediata da luoghi deputati alla memoria o direttamente alla tutela del patrimonio comune. I musei come riparo dalle minacce del presente e del futuro. Lo ha compreso bene chi successivamente, fino ad oggi, li ha colpiti in nome di una damnatio memoriae utilizzata come una vera e propria arma di distruzione di massa. Eppure gli spazi del sapere sono ancora e sempre più profondamente vissuti come scenari di resistenza collettiva da un lato e di promozione della conoscenza del dialogo e della solidarietà, dall’altro.
- Educazione. Direttamente collegato al primo aspetto, è lo sviluppo del ruolo dei musei come vere e proprie agenzie educative, non più complementari ma integrate nei percorsi di istruzione. Con la novità che l’educational non è più solo riservato agli studenti: il racconto del patrimonio, delle opere e degli autori, complice anche la pervasività delle tecnologie, insiste oggi su una più ampia prospettiva di apprendimento lungo tutta la vita, in cui la conoscenza si accresce e si rinnova per mezzo dell’esperienza del contatto con l’arte, dello scambio e perfino dell’intrattenimento.
- Asset economici: cultura chiama turismo. E tra i diversi tipi di turista, quello culturale è quello che si mostra il consumatore più vivace, sempre meno fruitore e sempre più experiencer a caccia di quella bellezza che è in grado, attraverso la filiera patrimonio-paesaggio-tradizioni-enogastronomia-lifestyle di stimolare un’offerta sempre più complessa e integrata. Intorno a questa, si sviluppano nuove prospettive occupazionali e di sviluppo territoriale.
- Scienza e Ricerca. Il timone dell’innovazione sta determinando una nuova sinergia fra arte e settore scientifico di ispirazione umanista, e contribuendo a rendere i musei luoghi di frontiera, dove la storia rivive anche attraverso la tecnologia. La creatività è strumento di contaminazione e scoperta, esplorazione conoscitiva e dialogo interdisciplinare.
- Welfare. In un momento storico in cui, soprattutto per via dell’invecchiamento della popolazione, tutti i sistemi sanitari sono in discussione, la promozione dell’approccio cosiddetto della well being culture appare come un serio strumento alternativo per la sostenibilità e la prevenzione dei costi sociali, con l’effetto concreto di abbattere, attraverso gli strumenti della creatività e dell’arte, della relazione e della partecipazione, i confini imposti dal concetto clinico di cura. La cultura che produce salute, la bellezza che opera come terapia, nel contesto più ampio di una fertilizzazione culturale diffusa attraverso spazi in cui l’arte viene interrogata e produce interpretazione, la socialità produce inclusione per fondare quel "welfare della mente" che ha come diretta conseguenza l'innovazione sociale.
- Pubblico servizio, spazio di condivisione civica e luoghi di formazione della coscienza collettiva. Come le biblioteche, i centri per socialità, le scuole, i musei possono offrirsi come spazio per la vita cittadina quotidiana, hubs territoriali che offrono servizi e contemporaneamente raccolgono in sé e intorno a sé contributi e manifestazione di partecipazione dal basso. Nuove agorà, poli diffusi di attrazione delle città intorno ai quali si generino nuove visioni urbane (e non solo) di concerto con università, centri di ricerca, altre istituzioni culturali. I musei possono rappresentare uno dei nodi di un sistema che costruisce coesione sociale a base culturale e su di essa progetta il futuro.
La domanda interessante è chi oggi sia chiamato a partecipare a questa missione: solo il settore pubblico, naturale responsabile del patrimonio e della sua valorizzazione in quanto espressione della comunità dei cittadini o se, nel moltiplicarsi dell’offerta che nasce dall’attrazione generata dalla musealizzazione e dall’arte nei privati, questi ultimi possano avere un ruolo equilibrato nella dinamica sociale stimolata dalle istituzioni culturali del futuro?
Se l’interesse e gli investimenti nell’arte per l’impresa diventano strumenti di CSR, legittimazione sociale ma anche, sempre più spesso, vere e proprie fonti economiche, esiste un rischio concreto di condizionamento della rappresentazione della realtà che passa dalla cultura?
Di certo, pluralità e pluralismo sono l’unico argine realistico per questo pericolo e l’impegno che il settore pubblico deve tornare assumersi, dialogando e non delegando ai privati.
Di un ecosistema a più voci non possiamo che beneficiare; sul fatto che esso possa sempre rappresentare tutte le storie siamo chiamati a vigilare, perché la cultura possa essere oggi e sempre strumento di libertà.
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