Il Madre riparte da Sol LeWitt
Napoli. A cinque anni dalla scomparsa di Sol LeWitt, il Museo Madre riparte con un omaggio a lui dedicato, «Sol LeWitt. L'artista e i suoi artisti», per la cura di Adachiara Zevi, in collaborazione con il Centre Pompidou di Metz e la LeWitt Collection di Chester, in Connecticut. Una scelta non casuale, trattandosi di un artista molto amato in Italia, paese in cui ha vissuto per lungo tempo tra Roma, Spoleto e Praiano, e in cui sono presenti molti suoi lavori. Diversi se ne contano solo nella città partenopea: presso gli spazi del Museo di Capodimonte, la Fondazione Morra Greco, la stazione della metropolitana Materdei, la Città della Scienza, il Madre stesso, oltre che in numerose collezioni private. Di qui la decisione di collaborare a un progetto espositivo che il Centre Pompidou di Metz era in procinto di avviare e che avrebbe consentito di esporre, per la prima volta in Europa, parte della collezione personale dell’artista. Questa sezione, infatti, dopo la mostra napoletana, che sarà inaugurata il prossimo 14 dicembre, visibile fino al 1° aprile 2013, sarà allestita a Metz a partire dal 19 aprile (fino al 20 luglio 2013).
Curatrice della mostra è Adachiara Zevi, architetto e storico dell’arte che da tempo si occupa del lavoro dell’artista, autrice già nel 1993 del volume «Sol LeWitt testi critici»e oggi della monografia, «L'Italia nei wall drawings di Sol LeWitt», pubblicata da Electa in occasione della mostra napoletana.
Il percorso espositivo prevede inoltre la realizzazione di cinque wall drawings inediti e l’esposizione di opere provenienti da collezioni private, prevalentemente napoletane.
Un’ampia offerta didattica accompagna la mostra, e nell’ambito della visita prevista per ammirare le opere pubbliche di LeWitt sarà possibile visitare anche la loro splendida casa a Praiano, dove è nata la moglie dell’artista Carol Androccio. L’edificio, risalente al XVII secolo, ospita wall drawings e sculture e ha funzionato anche come residenza per artisti, legata alla LeWitt Collection.
Adachiara Zevi, in mostra anche una parte della collezione privata di Sol LeWitt: 95 opere delle 4 mila che ne fanno parte. Con quali criteri è stata effettuata la scelta delle opere da esporre?
La selezione è stata fatta dal Centre Pompidou di Metz e dalla LeWitt Collection, con cui il Madre ha collaborato alla realizzazione della mostra che, in prima battuta, sarà ospitata a Napoli e poi farà tappa a Metz in aprile. Sono rappresentate prevalentemente opere del nucleo concettuale e minimalista ma ci sono anche lavori di artisti appartenenti ad altre correnti. Sono presenti in prevalenza opere bidimensionali, molte opere fotografiche e anche opere di artisti italiani. Nella collezione, in totale, ci sono circa 30 opere di artisti italiani. Il fatto che LeWitt abbia iniziato a esporre in Italia nel 1969, ovviamente, lo ha portato ad intessere relazioni di amicizia con tanti artisti italiani. Sono presenti in mostra lavori di Kounellis, Paolini, Salvo e Boetti, e c’è anche Giacomelli nella sezione fotografica.
Che tipo di collezionista era Sol Lewitt? Qual era il suo rapporto con l'arte (dei suoi colleghi)?
La sua è una collezione molto ampia, non ingessata, in cui sono rappresentate un pò tutte le tendenze artistiche del secondo dopoguerra, quindi non solamente quella concettuale e minimalista: dalla Transavanguardia all’Arte Povera, al Neoespressionismo, e non solo. E questo accadeva anche perché LeWitt era una persona molto generosa e sosteneva volentieri i giovani artisti. Dal punto di vista della varietà è molto interessante, rispecchia la storia dell’arte internazionale, anzi mondiale: comprende opere di artisti australiani, giapponesi, tra gli altri, datate prevalentemente dal secondo dopoguerra, ossia da quando lui ha iniziato a fare l’artista. Ma sono presenti anche opere storiche come quella di Georges Vantongerloo, fotografie di August Sander o di Karl Blossfeldt.
Lei ha collaborato con l'artista per vent'anni…
Direi più 30 che 20. Ho cominciato a interessarmi al lavoro di LeWitt nel 1986; ho scritto il primo libro su di lui nel '93, accompagnandolo a una grande mostra a Paliano realizzata in collaborazione con Mario Pieroni, e ho continuato a occuparmene anche in seguito. Dopo la sua morte, mi sono battuta perché avesse un riconoscimento in uno spazio pubblico.
Per ben 5 anni ho lavorato su questa monografia che sarà pubblicata in occasione della mostra. Il titolo, «L'Italia nei wall drawings di Sol LeWitt», e non «I wall drawings di Sol Lewitt in Italia», è molto eloquente. Non si tratta infatti di una questione geografica, ma poetica: quanto l’arte italiana ha influenzato un artista che ha vissuto per tanto tempo in Italia.
La redazione del catalogo di tutti i wall drawings italiani ha comportato una ricerca molto impegnativa. I lavori sono presenti sia in residenze private sia in spazi pubblici e sono arrivata a riunirne ben 297, un numero insospettabile anche per la LeWitt Collection. Sono tutti illustrati e documentati, dal primo realizzato per l’Attico di Sargentini nel 1969, all’ultimo per la Fondazione Morra Greco nel 2010.
Qual è la genesi di questa monografia, che è anche alla base della ricerca su cui si sviluppa la mostra?
Nel 2006 Sol LeWitt, che era già molto malato, mi mandò a chiamare dicendo che voleva rilasciarmi un’intervista sull’influenza che l’arte e gli artisti italiani avevano esercitato sul suo lavoro. Qualcosa di molto raro per un artista americano se si considera che, in genere, all’estero siamo assai poco considerati. Sono stata due giorni a casa sua, in Connecticut, abbiamo ripercorso tutta la sua storia, a partire dal 1969, quando è venuto a Roma per la mostra all’Attico, la sua prima personale in Italia. Ha sottolineato l’importanza dell’arte italiana nel suo lavoro, soprattutto dell’Arte Povera, rispetto al panorama artistico di New York dove, invece, prevaleva il Minimalismo e il Concettuale, un’arte più dogmatica, asciutta, astratta e filosofica. Per lui l’impatto con l’arte italiana ha significato l’impatto con un’arte molto più libera e sensuale. Pertanto è vero che LeWitt è il padre del Concettualismo, ma di un Concettualismo in un’accezione molto ampia, inclusiva, non dogmatica. Lo testimonia proprio la libertà e la varietà dei wall drawings.
Quali sono le opere che hanno influenzato in maniera significativa i wall drawings?
Gli affreschi risalenti al XIII e XIV secolo e, in particolare, il modo in cui in essi è risolto il problema del rapporto tra figura tridimensionale e superficie bidimensionale. Una questione che LeWitt affronta nel passaggio tra i primissimi wall drawings, dove linee e archi tracciati a matita si mimetizzano con il supporto architettonico, e i «disegni isometrici» e le «piramidi» che sfidano, invece, la bidimensionalità della parete con fulcri visivi tridimensionali fortemente presenti. E l’adozione degli inchiostri colorati sovrapposti che penetrano nella parete sembra evocare, ma allo stesso tempo aggiornare, la tecnica della pittura «a fresco».
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