Il fenomeno del collezionismo d’impresa in Italia: estetica o vantaggio competitivo?
Una recente ricerca dell’Università Cattolica in collaborazione con Axa Art e Intesa Sanpaolo ha fatto emergere luci e ombre nella gestione delle collezioni corporate. Anche se esistono alcune realtà di successo sia in termini di impatto culturale che di strutturazione organizzativa, nel complesso le collezioni d’arte aziendali non costituiscono ancora un vero e proprio settore per la mancanza di managerialità, professionalità e network. Non si tratta però di un’anomalia italiana, anche in Francia la situazione è molto simile
Milano. Da qualche anno in Europa il fenomeno delle corporate collection ha cominciato a essere studiato soprattutto grazie allo stimolo delle grandi compagnie assicurative interessate a capire meglio l’ecosistema in cui si muovono i loro clienti aziendali che possiedono delle collezioni d’arte.
«La spinta ad intraprendere una ricerca può arrivare da diverse direzioni, per AXA ART lo stimolo è partito dal suo interno, dalla propria vocazione di attenzione e protezione al mondo dell’arte - ha dichiarato Italo Carli, direttore generale di AXA ART - Il numero sempre crescente di aziende che ci hanno scelto come partner assicurativo ci ha spinto a cercare di interpretare l’importanza che stava assumendo il fenomeno, che lega tra loro la cultura e il mondo dell’impresa italiana».
L’ultima ricerca in ordine di tempo è stata presentata lo scorso 27 settembre dall’ Università Cattolica in collaborazione con Axa Art e Intesa Sanpaolo.
Lo studio, basato su un dataset di 160 collezioni aziendali provenienti da aziende, fondazioni e studi professionali, si è focalizzato su tre aree fondamentali: le pratiche di gestione della collezione e quanto queste siano integrate con il mondo manageriale; la struttura organizzativa e le professionalità a supporto delle collezioni; i network di riferimento delle collezioni per comprendere quanto questa tipologia di collezionismo sia gestita attraverso collaborazioni e scambi di risorse strutturati tra aziende e istituzioni.
Nel campione analizzato più della metà delle collezioni fa riferimento a organizzazioni di piccole dimensioni (il 54% del campione ha meno di 50 dipendenti). Esiste anche un gruppo di grandi aziende (il 23%) con più di 1000 dipendenti. I settori sono diversificati con una prevalenza di organizzazioni appartenenti al settore bancario e assicurativo. Domina l’arte contemporanea (53%). Le collezioni hanno un valore medio di circa 5 milioni di euro.
La ricerca ha fatto emergere luci e ombre nella gestione delle collezioni corporate.
La maggior parte delle collezioni rimane in bilico tra mondo aziendale e culturale e tra le forme di governo e le priorità che li caratterizzano. Molto spesso le collezioni non appartengono a un’unità organizzativa autonoma, non hanno personale dedicato ma solo risorse part‐time (il 57% del campione). Molto di rado esistono indicatori di risultato/beneficio che possano dare informazioni su se e come la collezione contribuisca a migliorare la vita organizzativa e a far evolvere il mondo artistico di riferimento. Nella maggior parte dei casi non ci sono budget dedicati per attività scientifiche, di promozione della collezione o per l’acquisizione di nuove opere.
L’analisi per cluster ha comunque permesso di individuare un gruppo di collezioni che ha vitalità scientifica e partecipa allo stesso tempo a una vita organizzativa più ampia. Queste realtà hanno un team dedicato a tempo pieno e dipendente dalla direzione generale, composto da professionisti con un background di tipo umanistico, altamente socializzati all’interno dell’organizzazione. Dichiarano più frequentemente delle altre di crescere tramite acquisizioni di nuovi pezzi, di avere più spesso un comitato scientifico che valuta gli acquisti, di organizzare con sistematicità mostre, eventi e premi artistici, ma anche attività di formazione per i propri dipendenti e attività per la promozione dell’immagine dell’impresa.
Le aziende che hanno questo tipo di collezioni tende a considerarle come un investimento che ha portato risultati positivi per l’organizzazione, in termini di clima interno, di apprendimento e legittimità della stessa.
Un esempio di questo secondo tipo di collezione è quella di Intesa Sanpaolo.
«Il binomio arte e impresa caratterizza da sempre l'attività di Intesa Sanpaolo in modo profondo e radicato» - sostiene Michele Coppola, Responsabile Attività Culturali di Intesa Sanpaolo. «La Corporate art collection della Banca è vastissima: è formata da oltre 20.000 opere, dall’archeologia fino all’arte contemporanea. Conservare e valorizzare le nostre raccolte d’arte è da sempre una priorità. La migliore testimonianza sono le Gallerie d’Italia, le sedi museali di Intesa Sanpaolo a Milano, Napoli e Vicenza in cui sono esposte le opere più rilevanti del patrimonio, proprio negli spazi dove fino a pochi anni fa si svolgeva l’attività bancaria. Tutelare e portare valore alla collezione d’impresa - bene privato consegnato alla fruizione pubblica - è un atto di responsabilità sociale e nello stesso tempo uno strumento strategico che contribuisce a sottolineare la nostra specifica identità».
Una delle maggiori criticità del fenomeno delle corporate collection è quella del networking. La rappresentazione grafica delle reti di relazioni analizzate non mostra un settore connesso ma piccole costellazioni di attori rappresentati da ciascuna collezione e dai suoi contatti di riferimento, di rado condivisi con altre collezioni. Le collezioni si menzionano poco l’un l’altra come contatti di riferimento. Gli attori più citati e quelli in grado di connettere sotto‐reti di collezioni sono le Sovraintendenze e le Università. Non è possibile identificare fornitori dominanti, ricorrenti scambi di informazioni, associazionismo. Il corporate collecting appare di più come un insieme di realtà individuali, che non sembrano operare secondo una frequente e sistematica condivisione di obiettivi e di risorse.
In Francia la situazione non è molto diversa. Nella recente ricerca presentata all’incontro e condotta da Nathalie Moureau dell’ Università Paul Valéry di Montpellier anche oltralpe il settore è ancora incerto e poco strutturato. Le collezioni d’impresa, se appartengono alla stessa famiglia, possiedono caratteristiche distinte per genere, dimensione, composizione, gestione ed evoluzione. Lo studio le classifica in tre tipologie: collezione “Specchio” (che rispecchia l’identità e i valori dell’azienda), “Superqualifragilistic” (come Mary Poppins, la collezione incanta l’azienda e ne valorizza la produzione) e “Modello” (incontro ideale tra arte e azienda).
«Studiare il fenomeno del collezionismo d’impresa fa emergere la varietà delle scelte e delle modalità di gestione dell’arte in azienda e nelle organizzazioni e come queste siano strettamente correlate all’evoluzione, alla storia, alla cultura, alla vita di persone, d’imprenditori e delle istituzioni stesse - ha dichiarato Domenico Bodega, preside della facoltà di Economia dell’Università Cattolica -. La nostra ricerca evidenzia che possedere soluzioni adeguate e strutture specifiche per la gestione delle collezioni, soprattutto condivise attraverso la costruzione di reti relazionali e mutuare buone pratiche tipiche delle prassi gestionali più evolute, crea valore tangibile per la vitalità artistica della collezione stessa, che per il modo di vivere l’organizzazione, l’attività professionale ed il lavoro».
In questa direzione, la creazione di un osservatorio permanente sul collezionismo di impresa rappresenterebbe una prima occasione di consolidare relazioni, guidate sia da uno stimolo scientifico che manageriale.
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