Il canto della fabbrica Pirelli e l’ascolto della comunità
Nuove sonorità, umanesimo industriale, analogie tra processi creativi e produttivi, il valore aggiunto della fabbrica bella, Antonio Calabrò, Senior Advisor Cultura di Pirelli e direttore della Fondazione Pirelli, racconta il volto contemporaneo di Industry 4.0 e il ruolo crescente della cultura nel governare le nuove tecnologie, generando coesione sociale
Siamo partiti dalla domanda di come fosse possibile rappresentare la dimensione intangibile del digitale, i big data: un’astrazione produttiva che ha anche un lato pesante, materiale, che si traduce in prodotti fisici. Se il Novecento è rappresentato musicalmente dagli ottoni, dai «quattro colpi di sirena» della Seconda sinfonia di Dmitrij Šostakovic - acciaio, rumore, fumo, fatica pesante della produzione in seriale - quali suoni attribuire a file che generano silenziosamente sistemi produttivi e distribuitivi di cui non esiste un immaginario condiviso?
Abbiamo scelto la musica perché è in assoluto il linguaggio più astratto, l’unico capace di dare forma all’intangibile, e di creare un’esperienza universale, la cui interpretazione lascia ampio spazio alla creazione di un racconto personale. Ci piaceva recuperare anche una tradizione di musica in fabbrica: l’esperienza di John Cage negli anni Cinquanta, proprio negli spazi della Pirelli, di Luigi Nono, di Luciano Boerio. E oggi siamo consapevoli che l’industria contemporanea ha tutt’altro tipo di sonorità.
Come avete scelto il linguaggio musicale con cui rappresentare la fabbrica digitale?
Non diversamente dalla musica, il fare industria coincide con la ricerca continua tra quello che è sedimentato, la serialità, e quello che deve essere innovato attraverso spostamenti, e veri propri “salti”. Sin dall’inizio del progetto abbiamo associato i violini alla dimensione digitale e contemporanea. Abbiamo scelto la dialettica tra l’orchestra d’archi e il violino solista di Accardo per mettere in scena l’innovazione di processo, insita in ogni relazione, di cui il cambiamento rappresenta spesso un contrasto, un’eresia. Abbiamo provato a tenere insieme musicalmente il registro del classico e il senso di trasformazione, accettandone anche le conflittualità, che sono parte fondante di ogni storia aziendale.
In che modo la Fondazione Pirelli contribuisce al racconto di Industry 4.0 e alla sua narrazione?
Conosciamo il volto metalmeccanico della prima metà del Novecento, lo “stile industriale” degli anni Cinquanta, espressione del miracolo economico e del clima di fiducia che ha permesso l’entrata di artisti, scrittori, registi in azienda, di cui il mosaico di Renato Guttuso, “La ricerca scientifica” del 1961, ospitato in Fondazione Pirelli, ne è sicuramente il ritratto. Dagli anni Settanta in poi, gli intellettuali hanno smesso di raccontare l’evoluzione dei luoghi di lavoro, come se non fosse possibile dare volto e voce anche a un racconto critico, di fatto creando una cesura tra mondo aziendale e culturale. Oggi è necessario tornare a raccontare la fabbrica contemporanea, anche nei suoi aspetti problematici. La mostra fotografica Workers, dedicata al ritratto dei dipendenti, lo spettacolo teatrale “La fabbrica e il lavoro” di Serena Sinigalli, La Settima di Beethoven suonata nella fabbrica di Settimo Torinese davanti a mille persone, Il Canto della Fabbrica, sono tutte traduzioni del suo volto contemporaneo, che la Fondazione Pirelli porta avanti. Contrariamente al percepito generale, l’estetica della fabbrica contemporanea non è legata solo all’immaginario dei robot, che risale agli anni Novanta, ma soprattutto ai big data e ai processi produttivi digitali.
La “Spina” dell’architetto Renzo Piano che ospita laboratori di ricerca, uffici e spazi comuni e collega la fabbrica vecchia di Settimo Torinese con la nuova “fabbrica bella”. L’Archivio storico aziendale che media, trasforma e innova la storia, la musica in azienda. Che cosa tiene insieme cultura, architettura e musica nella storia della Pirelli?
Come afferma Domenico Siniscalco in uno dei saggi inclusi nel libro Mondadori che accompagna “Il canto della Fabbrica”, la trasformazione digitale richiede una maggiore coesione sociale. I racconti fotografici, i video, gli spettacoli teatrali, i concerti, la musica in fabbrica, sono tutte espressioni della capacità della cultura di mediare e trasformare i contenuti, adattandoli alle esigenze del periodo, che richiedono nuove visioni. L’adozione di nuove forme di welfare territoriale a beneficio dei dipendenti, la formulazione d nuovi contratti lavorativi che superino la vecchia logica dei tempi e dei metodi per premiare e riconoscere i talenti, e la presa di coscienza che la “fabbrica bella” non è un atto di mecenatismo ma un fattore competitivo.
Per produrre “cose belle che piacciono al mondo” bisogna che siano belli e confortevoli gli spazi dove il bello si produce. E’ importante comprendere che la condivisione di valori culturali all’interno dell’impresa contribuisce ad armonizzare le differenze, e a tenere insieme linguaggi, comportamenti, aspettative e conflitti di generazioni diverse che devono lavorare e produrre insieme.
Marco Tronchetti Provera, Amministratore delegato del gruppo Pirelli, in occasione della presentazione del libro “Il canto della fabbrica” ha ripetuto che “l’archivio è oggi”. Quali sono le vie per rendere la storia e l’Heritage contemporanei?
Rendere attuali l’Archivio storico e l’esperienza della Pirelli è l’impegno quotidiano della Fondazione, che ha costruito un palinsesto di attività che lavora continuativamente su alcuni registri - come quello della formazione, rivolta a studenti di diverso ordine e grado, e su quello degli eventi speciali - mostre, libri, spettacoli teatrali e concerti- per creare un racconto contemporaneo dell’impresa, in cui passato, presente e futuro sono messi in scena attraverso nuovi dispositivi linguistici, di rappresentazione, nel segno della contemporaneità. Citando Leo Longanesi al contrario, le vecchie zie non ci salveranno. Bisogna uscire dall’immagine polverosa dell’archivio e della storia. La cultura o è popolare o non ha più ragione di essere, intendendo per popolare il fare produzioni di qualità per tutti.
Tra gli eventi promossi dalla Fondazione la mostra “L’anima di gomma”, ha mostrato le potenzialità dell’utilizzo digitale dell’archivio.
La mostra “L’anima di Gomma” ha rappresentato una svolta dal punto di vista allestivo e concettuale, perché ha creato un racconto emotivo, sganciato dalla riproduzione fisica dell’archivio, che ha messo in scena la cultura d’impresa Pirelli attraverso installazioni interattive capaci di coinvolgere un pubblico allargato: evocando e citando i designer, gli artisti e gli illustratori, compresi i lavoratori, che ne hanno costruito l’identità nel tempo.
“Umanesimo industriale” e analogia tra l’innovazione aziendale e processi creativi, sono i punti di forza della politica culturale della Pirelli.
L’umanesimo industriale è parte fondante della storia della Pirelli, la cui rivista Pirelli, diretta dal poeta -ingegnere Leonardo Sinigalli, è stata terreno di incontro e di sperimentazione tra creativi, intellettuali e uomini d’impresa. Una tradizione che prosegue ancora oggi nel dialogo tra artisti, impegnati nella costruzione di grandi installazioni site specific per gli spazi dell’Hangar Bicocca e gli ingegneri e i tecnologi dei Laboratori Pirelli, o ancora nello scambio tra scrittori e artisti chiamati ad illustrare e arricchire i bilanci Pirelli e la rivista “World”, così come nella convergenza creativa tra musicisti e tecnici. “Fare con mano” si dice anche del lavoro di fabbrica: manifattura. E’ sempre più evidente che il sapere umanistico aiuta a capire e a governare le nuove tecnologie.
La fabbrica è a tutti gli effetti un laboratorio di ricerca, che produce cultura al suo interno, è uno spazio in cui si ripete e si trasforma, ogni giorno, il rito umanissimo del lavoro. Portare all’interno della fabbrica l’esperienza produttiva di come si costruisce un concerto, o di come si realizza uno spettacolo teatrale è l’aspetto che ci interessa evidenziare per rendere comprensibile ai dipendenti l’innovazione che sta dietro ogni processo. Ugualmente, per i musicisti del Canto della Fabbrica è stato importante fare esperienza della vita della fabbrica, scoprendo le analogie e i comuni meccanismi creativi. Nell’interpretazione data dal compositore Fiore, la parte orchestrale rappresenta l’inesorabilità delle macchine digitali moderne, il violino il pensiero dell’uomo. In fondo, i violini del Canto della Fabbrica rappresentano tutti noi, raccontano il nostro tentativo di capire e governare i processi industriali, creando un racconto che contenga e dia forma alla diversità.
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