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Idea Ginger. Crowdfunding e passione

  • Pubblicato il: 11/06/2015 - 11:50
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Articolo a cura di: 
Luca Martelli

Nel 2014 con Un passo per San Luca hanno cambiato la storia del crowdfunding italiano realizzando una raccolta record di 340.000 euro. Stiamo parlando di Idea ginger, un portale al femminile, fortemente radicato in Emilia Romagna, che guarda al futuro del crowdfunding puntando sulla formazione e sulle reti territoriali. Incontriamo la presidentessa Agnese Agrizzi nella loro sede di Bologna, ospitata all’interno di un acceleratore d’impresa di Telecom Italia, tra i portici del centro

 

 

Come nasce Ginger?
Tre anni fa l’idea, dopo qualche mese il 18 giugno 2013 il portale è on line. Siamo cinque socie, compagne di università a Bologna. Il nostro corso di laurea il Gioca (Gestione e innovazione delle organizzazioni culturali e artistiche) è stato un percorso stimolante, laurea in inglese, in una classe di trenta persone con molti colleghi stranieri. Abbiamo deciso di portare il crowdfunding in Italia adattandolo alla nostra realtà. Ci interessava unire all’anima globale del web i network che vengono messi in gioco nelle cerchie relazionali e professionali, puntando sul territorio.

 

Si può vivere di crowdfunding in Italia? Avete avuto il sostegno di qualche misura per la creazione di nuovo lavoro?
Direi di sì, siamo rientrati degli investimenti e attualmente Ginger dà lavoro a tre persone, due socie ed un collaboratore. Inizialmente è stato fondamentale per noi partecipare a dei bandi. Le richieste ti aiutano a fare chiarezza. Ti siedi attorno a un tavolo e metti le cose nero su bianco. Così è aumentata la nostra riconoscibilità: penso a Incredibol che ci ha permesso di incontrare il comune di Bologna, o a Spinner, un programma della regione Emilia Romagna, sostenuto da fondi Europei, che ha finanziato una borsa di studio per una nostra socia. Attraverso questi bandi siamo entrati in contatto con Fare Lavoro un operatore del micro credito locale con cui abbiamo acceso il mutuo che ci ha permesso di coprire i primi investimenti.

 

Nelle vostre campagne la progettazione è un elemento fondamentale
Prima di entrare nel mondo del crowdfunding abbiamo realizzato uno studio di benchmarking. La figura del progettista risultava spesso mancante e le committenze non erano disposte a farsi aiutare da professionisti del settore. Si preferivano soluzioni low cost, ma di dubbio successo. Ginger propone servizi consulenziali concepiti su misura, assume rischi scegliendo le campagne in cui crede e non percepisce percentuali sugli obiettivi di raccolta.

Se dovessi riassumere gli ingredienti della vostro modello direi: formazione, ironia e ricompense. È corretto?
Ritengo che Ginger sia un progetto di ricerca, lavoriamo sulla formazione. Ci mettiamo a fianco dei progettisti, li seguiamo passo dopo passo. Vogliamo ridurre i possibili rischi di fallimento e il crowdfunding, se ben fatto, funziona. Il nostro approccio ironico è un’intuizione di Virginia Carolfi, socia e community manager, che ha voluto una comunicazione diretta e giovane, rivelatasi vincente. Le ricompense rappresentano il bello del crowdfunding reward-based, instaurano una sorta di gioco. Il crowdfunding innesca elementi emotivi e simpatici, donare è un gesto che si fa di pancia, accompagnati da una forte componente di convinzione.

 

Dopo il successo di “Un passo per San Luca” da dove siete ripartiti?
Con due progetti: Case Zanardi e Fablabascuola
Il primo intervento vuole contrastare le nuove povertà e ci ha portati ad organizzare una raccolta per donare derrate alimentari a famiglie non abbienti. Sostenuti dal comune di Bologna, abbiamo lavorato nei quartieri con venti associazioni e cooperative del terzo settore. È stato un esperimento di crowdfunding “sociale” che ha sviluppato una collaborazione orizzontale partecipata, raccogliendo 17.000 euro. Ci siamo dedicati inoltre al mondo della scuola, in un’iniziativa voluta da Fondazione Nordest che raccoglie le Confindustrie di Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige. Intendevamo promuovere l’innovazione negli istituti tecnici, nel tentativo di smontare il pregiudizio di presunta inferiorità dei percorsi professionalizzanti. Volevamo portare l’interesse su droni e stampanti 3d. Abbiamo coinvolto gli allievi nelle raccolte e le cerchie professionali ed amicali che legano le scuole ai territori e alle aziende. È stato un percorso di formazione che ha introdotto elementi di project management, di marketing e di avvicinamento all’imprenditorialità nell’esperienza scolastica, risultando interessante ed innovativo.

 

In Emilia Romagna operano fondazioni di origine bancaria, è presente un ricco tessuto associativo e una tradizione di partecipazione politica molto radicata. Secondo voi è più semplice raccogliere in questo territorio?
Non so e non ho elementi per giudicarlo. Un buon progettista deve conoscere la propria community e programmare una campagna adeguata. Personalmente sogno di creare piattaforme in altre regioni formando operatori locali. Credo che in Italia nel crowdfunding, il maggiore elemento di complessità sia legato al digital divide che impedisce a molti di donare utilizzando strumenti quali paypal o la carta di credito.

 

Nel 2014 in Italia abbiamo vissuto un vero e proprio boom delle piattaforme di crowdfunding, sono oltre cinquanta e ogni giorno ne nascono altre, come professionisti sentite la responsabilità dell’effetto emulazione?
Noi non vendiamo white label senza la nostra consulenza e non siamo creatori di piattaforme low cost.
In poche parole non vendiamo macchine senza prima verificare il possesso della patente. È difficile credere al successo del “do it yourself”, quindi lavoriamo alla creazione di staff professionali e presentiamo nei nostri workshop buone prassi attuative in giro per l’Italia.

 

La nuova tendenza del momento riguarda il civic crowdfunding e vediamo enti pubblici che attivano raccolte per valorizzare beni e servizi culturali. Cosa ne pensi?
C’è ancora molta confusione sui cosiddetti beni comuni. Le cose stanno cambiando. L’Italia in ambito culturale ha sempre avuto una gestione statale molto forte che si sta allentando. Il cittadino se stimolato in maniera interessante risponde, come ad esempio nel caso del portico di San Luca. Il crowdfunding può innescare logiche democratiche e meritocratiche, ma soprattutto può contribuire alla sostenibilità dei beni culturali. In futuro mi piacerebbe lavorare ad una migliore riconoscibilità del patrimonio italiano, utilizzando il crowdfunding per rivolgersi all’estero in una community globale.

 

 

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