I pregiudizi che siamo. Un kit anti-stereotipo
Autore/i:
Rubrica:
MUSEO QUO VADIS?
Articolo a cura di:
Anna Chiara Cimoli e Chiara Ciaccheri
Come combattere i pregiudizi e gli stereotipi? Ma bisogna poi combatterli o forse, invece, conoscerli: conoscerne le insidie, i meccanismi di cristallizzazione e diffusione, i possibili esiti? Da un bando del Polo del ‘900 di Torino nasce ‘I pregiudizi che siamo’, un kit anti-stereotipo scaricabile online progettato da ABCittà.
Rubrica in collaborazione con la Fondazione Marino Marini di Firenze
Rubrica in collaborazione con la Fondazione Marino Marini di Firenze
Alcuni anni fa, nell’ambito di un progetto del Comune di Milano che prevedeva un’analisi conoscitiva di buone pratiche europee, siamo andate a conoscere Daniel de Torres, progettista della “rete antirumours” di Barcellona. La rete antirumours è un palinsesto di ampio respiro che investe tutti i settori dell’amministrazione pubblica e che si articola in momenti di formazione (da cui nascono gli “agenti antirumours”), condivisione di strumenti per contrastare il pregiudizio, moltiplicazione di sportelli in cui denunciare le discriminazioni, insomma creazione di una riflessione e di un vocabolario comune a tutte le realtà pubbliche cittadine, dalle biblioteche ai corsi di lingua catalana per immigrati, dai servizi sociali alle scuole, dalla questura agli ospedali. L’adesione alla rete comporta l’accettazione di un codice linguistico, etico, comportamentale: ma non è una presa di posizione normativa, quanto piuttosto la costruzione lungimirante di una cultura del vivere insieme. Questione di scelta delle parole, di consapevolezza, di conoscenza profonda della varietà che anima un territorio e delle istanze che la innervano. La cultura, dentro questo progetto capillare e paziente – divenuto buona pratica del Consiglio di Europa e oggi adottato da numerose città – ha un ruolo chiave: gli spazi culturali della città (musei, biblioteche, teatri…) hanno sposato la metodologia e ne sono diventati antenne e moltiplicatori.
Con un po’ di ritardo, anche in Italia si sta studiando e riflettendo su come declinare questo metodo alle nostre città: il progetto #iorispetto, promosso da C.I.F.A. onlus, ICEI, Amnesty International, AMMI e COREP, va proprio in questa direzione, e ha portato Daniel de Torres a condurre preziosi workshop di formazione in diverse città.
Quali strumenti, dunque, possono sostenere una riflessione condivisa su come nasce il pregiudizio, e come poi diventa uno stereotipo, radicandosi a livello dapprima cognitivo e poi anche emotivo nell’individuo e nella società fino a costituire una forma distopica di “saggezza popolare”? Quando lo stereotipo cessa di essere uno strumento antico e “funzionale” di decifrazione della complessità per diventare un filtro semplificatorio, o peggio discriminatorio? Come si passa da una diceria (un rumour, appunto) a uno stereotipo? Scrive Giuseppe Antonelli che “la credenza è un mobile ormai démodé. Ma le credenze in quanto idee a cui ci si affida in modo fideistico sono sempre alla moda: cambiano, si trasformano, a volte resistono strenuamente al tempo. Sono tutte quelle cose che ognuno di noi crede di sapere sulla base non di una vera informazione, ma di una percezione più o meno passivamente condivisa. Come recita un facile aforisma, d’altronde, il pregiudizio peggiore è quello di chi crede di non avere pregiudizi” (Il pregiudizio universale, Laterza 2016).
Con ABCittà, da tempo andiamo esplorando i modi in cui i pregiudizi nascono, e come si può provare a scioglierli attraverso l’incontro personale: è l’esperienza di Biblioteca Vivente, che da una decina d’anni vede confluire “libri umani” e lettori in spazi pubblici, carceri, biblioteche, per strada, perfino al bar o in tram. Sappiamo bene come tutti siamo attraversati da pregiudizi e stereotipi, e come solo un costante allenamento possa aiutare un pensiero più libero e meno impaurito (è in uscita un libro che lo spiegherà bene: La manovra del gambero: teoria, metodi e contesti di pratica narrativa, a cura di Giuseppe Annacontini e Josè Luìs Rodriguez Illesa, Mimesis, 2018). Vediamo, nella pratica professionale, quanto alcune categorie (gli insegnanti e gli educatori in particolare) siano a disagio di fronte a modi di pensiero e di comunicazione violenti e discriminatori.
Volevamo dunque mettere a frutto il ricco portato di questa esperienza, e insieme creare uno strumento di facile accesso, gratuito, pensato non tanto per contrastare il pregiudizio tout-court, ma per accompagnare la riflessione sui propri automatismi, sul baco del pensiero che non sappiamo di avere, su che cosa consideriamo dicibile e che cosa no. Uno strumento di consapevolezza e di crescita da utilizzare in piccoli gruppi, in modo informale, progettato per operatori sociali e culturali, insegnanti, educatori. Un conversation starter, uno strumento di apertura e sollecitazione della curiosità e dell’ascolto reciproco.
L’occasione per progettare e realizzare questo kit anti-stereotipo, che abbiamo chiamato “I pregiudizi che siamo” si è concretizzata nell’ambito del progetto #Ventotene. Comunità, cittadinanza e identità europea, realizzato da TwLetteratura, ABCittà e Cooperativa Liberitutti con il sostegno della Compagnia di San Paolo nell’ambito del Bando Polo del ‘900, destinato ad azioni che promuovono il dialogo tra XX secolo e contemporaneità usando la partecipazione culturale come leva di innovazione civica.
Mentre TWLetteratura ha promosso un social reading del Manifesto di Ventotene di Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, e la Cooperativa Liberitutti ha progettato azioni di costruzione di comunità nella zona di Barriera di Milano, noi di ABCittà abbiamo co-costruito il kit attraverso lo strumento della progettazione partecipata, che caratterizza il metodo della cooperativa. Abbiamo dunque svolto una serie di workshop con classi di liceo (il Gobetti di Genova e l’Einstein di Torino), con operatori museali (il Castello d’Albertis di Genova) e sociali (ARCI Liguria), con frequentatori dei Bagni di via Aglié a Torino.
Si è trattato di un processo lungo e non semplice, soprattutto per la necessità di rendere chiara e accessibile a quante più persone possibile una riflessione complessa, che vive per definizione di sfumature. Dai diversi workshop, in cui abbiamo testato alcune attività raccogliendo i feed-back e procedendo dunque per prove ed errori, abbiamo tratto soprattutto due indicazioni di metodo: la prima relativa alla strada verso cui andare, che sempre di più si delineava come quella di uno spazio di apertura di conversazioni e di confronto fra pari, e non come un corpus di informazioni da far “digerire” (per chi volesse poi approfondire, sul sito abbiamo incluso un dizionario minimo, nonché una sezione di indicazioni bibliografiche e di riferimenti a progetti e metodi internazionali). La ricchezza, imprevedibilità, capacità di raccontarsi con ironia anche da parte di ragazzi molto giovani ci hanno convinto di quello che già sentivamo, ovvero che il kit potesse essere l’occasione per costruire un setting propizio al racconto, modulare, flessibile, informale; che una componente di leggerezza e di gioco dovesse sostenere le conversazioni; che ciascuno potesse scegliere liberamente il grado di esposizione di sé.
La seconda indicazione riguarda la semplicità e l’accessibilità: abbiamo deciso di restringere drasticamente la rosa delle attività proposte, rispetto al ventaglio iniziale, per suggerire un approccio laboratoriale che ciascun gruppo può utilizzare con libertà, in parte o nella sua interezza; che può essere scaricato e stampato senza consumi eccessivi; che soprattutto non vuole essere intimidente. La quantità di visualizzazioni in pochi giorni e le reazioni degli operatori sociali e culturali (ma anche delle aziende) ci confortano su questa strada: evidentemente c’è un grande bisogno di strumenti “amichevoli” che sostengano processi complessi.
Del kit fanno parte le “contro-carte”, che possono essere utilizzate in modi diversi (suggeriamo tre attività, ma altre se ne aggiungeranno in futuro); la “mazzetta anti-pregiudizio” che, facendo riferimento alle sette famiglie di pregiudizi individuate dallo IAT - Implicit Association Test dell’Università di Harvard, consente di individuare e misurare i pregiudizi in un luogo, in una comunità, in una persona; le “carte-storie”, che presentano storie (vere) di persone la cui biografia mostra quanto ciascuno di noi sia complesso e potenzialmente esposto allo stereotipo; infine la “mappa di identità”, che prende le mosse da un testo dello scrittore Amin Maalouf per far riflettere sulla non-linearità delle trame identitarie di ciascuno.
Porteremo questa riflessione, calandola nello specifico del contesto museale, al corso di formazione internazionale “Museums and Stereotypes”, sostenuto da Tandem Europe, che si svolgerà a Torino alla fine del mese di ottobre, e la declineremo in una serie di attività online e proposte formative che verranno messe a punto nei prossimi mesi.
Con un po’ di ritardo, anche in Italia si sta studiando e riflettendo su come declinare questo metodo alle nostre città: il progetto #iorispetto, promosso da C.I.F.A. onlus, ICEI, Amnesty International, AMMI e COREP, va proprio in questa direzione, e ha portato Daniel de Torres a condurre preziosi workshop di formazione in diverse città.
Quali strumenti, dunque, possono sostenere una riflessione condivisa su come nasce il pregiudizio, e come poi diventa uno stereotipo, radicandosi a livello dapprima cognitivo e poi anche emotivo nell’individuo e nella società fino a costituire una forma distopica di “saggezza popolare”? Quando lo stereotipo cessa di essere uno strumento antico e “funzionale” di decifrazione della complessità per diventare un filtro semplificatorio, o peggio discriminatorio? Come si passa da una diceria (un rumour, appunto) a uno stereotipo? Scrive Giuseppe Antonelli che “la credenza è un mobile ormai démodé. Ma le credenze in quanto idee a cui ci si affida in modo fideistico sono sempre alla moda: cambiano, si trasformano, a volte resistono strenuamente al tempo. Sono tutte quelle cose che ognuno di noi crede di sapere sulla base non di una vera informazione, ma di una percezione più o meno passivamente condivisa. Come recita un facile aforisma, d’altronde, il pregiudizio peggiore è quello di chi crede di non avere pregiudizi” (Il pregiudizio universale, Laterza 2016).
Con ABCittà, da tempo andiamo esplorando i modi in cui i pregiudizi nascono, e come si può provare a scioglierli attraverso l’incontro personale: è l’esperienza di Biblioteca Vivente, che da una decina d’anni vede confluire “libri umani” e lettori in spazi pubblici, carceri, biblioteche, per strada, perfino al bar o in tram. Sappiamo bene come tutti siamo attraversati da pregiudizi e stereotipi, e come solo un costante allenamento possa aiutare un pensiero più libero e meno impaurito (è in uscita un libro che lo spiegherà bene: La manovra del gambero: teoria, metodi e contesti di pratica narrativa, a cura di Giuseppe Annacontini e Josè Luìs Rodriguez Illesa, Mimesis, 2018). Vediamo, nella pratica professionale, quanto alcune categorie (gli insegnanti e gli educatori in particolare) siano a disagio di fronte a modi di pensiero e di comunicazione violenti e discriminatori.
Volevamo dunque mettere a frutto il ricco portato di questa esperienza, e insieme creare uno strumento di facile accesso, gratuito, pensato non tanto per contrastare il pregiudizio tout-court, ma per accompagnare la riflessione sui propri automatismi, sul baco del pensiero che non sappiamo di avere, su che cosa consideriamo dicibile e che cosa no. Uno strumento di consapevolezza e di crescita da utilizzare in piccoli gruppi, in modo informale, progettato per operatori sociali e culturali, insegnanti, educatori. Un conversation starter, uno strumento di apertura e sollecitazione della curiosità e dell’ascolto reciproco.
L’occasione per progettare e realizzare questo kit anti-stereotipo, che abbiamo chiamato “I pregiudizi che siamo” si è concretizzata nell’ambito del progetto #Ventotene. Comunità, cittadinanza e identità europea, realizzato da TwLetteratura, ABCittà e Cooperativa Liberitutti con il sostegno della Compagnia di San Paolo nell’ambito del Bando Polo del ‘900, destinato ad azioni che promuovono il dialogo tra XX secolo e contemporaneità usando la partecipazione culturale come leva di innovazione civica.
Mentre TWLetteratura ha promosso un social reading del Manifesto di Ventotene di Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, e la Cooperativa Liberitutti ha progettato azioni di costruzione di comunità nella zona di Barriera di Milano, noi di ABCittà abbiamo co-costruito il kit attraverso lo strumento della progettazione partecipata, che caratterizza il metodo della cooperativa. Abbiamo dunque svolto una serie di workshop con classi di liceo (il Gobetti di Genova e l’Einstein di Torino), con operatori museali (il Castello d’Albertis di Genova) e sociali (ARCI Liguria), con frequentatori dei Bagni di via Aglié a Torino.
Si è trattato di un processo lungo e non semplice, soprattutto per la necessità di rendere chiara e accessibile a quante più persone possibile una riflessione complessa, che vive per definizione di sfumature. Dai diversi workshop, in cui abbiamo testato alcune attività raccogliendo i feed-back e procedendo dunque per prove ed errori, abbiamo tratto soprattutto due indicazioni di metodo: la prima relativa alla strada verso cui andare, che sempre di più si delineava come quella di uno spazio di apertura di conversazioni e di confronto fra pari, e non come un corpus di informazioni da far “digerire” (per chi volesse poi approfondire, sul sito abbiamo incluso un dizionario minimo, nonché una sezione di indicazioni bibliografiche e di riferimenti a progetti e metodi internazionali). La ricchezza, imprevedibilità, capacità di raccontarsi con ironia anche da parte di ragazzi molto giovani ci hanno convinto di quello che già sentivamo, ovvero che il kit potesse essere l’occasione per costruire un setting propizio al racconto, modulare, flessibile, informale; che una componente di leggerezza e di gioco dovesse sostenere le conversazioni; che ciascuno potesse scegliere liberamente il grado di esposizione di sé.
La seconda indicazione riguarda la semplicità e l’accessibilità: abbiamo deciso di restringere drasticamente la rosa delle attività proposte, rispetto al ventaglio iniziale, per suggerire un approccio laboratoriale che ciascun gruppo può utilizzare con libertà, in parte o nella sua interezza; che può essere scaricato e stampato senza consumi eccessivi; che soprattutto non vuole essere intimidente. La quantità di visualizzazioni in pochi giorni e le reazioni degli operatori sociali e culturali (ma anche delle aziende) ci confortano su questa strada: evidentemente c’è un grande bisogno di strumenti “amichevoli” che sostengano processi complessi.
Del kit fanno parte le “contro-carte”, che possono essere utilizzate in modi diversi (suggeriamo tre attività, ma altre se ne aggiungeranno in futuro); la “mazzetta anti-pregiudizio” che, facendo riferimento alle sette famiglie di pregiudizi individuate dallo IAT - Implicit Association Test dell’Università di Harvard, consente di individuare e misurare i pregiudizi in un luogo, in una comunità, in una persona; le “carte-storie”, che presentano storie (vere) di persone la cui biografia mostra quanto ciascuno di noi sia complesso e potenzialmente esposto allo stereotipo; infine la “mappa di identità”, che prende le mosse da un testo dello scrittore Amin Maalouf per far riflettere sulla non-linearità delle trame identitarie di ciascuno.
Porteremo questa riflessione, calandola nello specifico del contesto museale, al corso di formazione internazionale “Museums and Stereotypes”, sostenuto da Tandem Europe, che si svolgerà a Torino alla fine del mese di ottobre, e la declineremo in una serie di attività online e proposte formative che verranno messe a punto nei prossimi mesi.