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Governance partecipativa del patrimonio culturale. Quando il processo e le relazioni valgono più del risultato

  • Pubblicato il: 15/07/2018 - 00:04
Rubrica: 
VOCI DALL'EUROPA
Articolo a cura di: 
Erminia Sciacchitano. Chief Scientific advisor Anno europeo del patrimonio culturale – Commissione europea
Pubblicato dalla DG istruzione e cultura della Commissione europea il rapporto sulla governance partecipativa del patrimonio culturale, uno dei prodotti dell’Anno europeo del patrimonio culturale, che promuove “modelli innovativi di governance partecipativa e di gestione del patrimonio culturale, coinvolgendo tutti i portatori di interessi, comprese le autorità pubbliche, il settore del patrimonio culturale, gli attori privati e le organizzazioni della società civile”. Erminia Sciacchitano, che ha curato i lavori per la Commissione europea, racconta il processo, i risultati e le prospettive di questo lavoro, mentre Unione europea e Consiglio d’Europa uniscono le forze per promuovere la ratifica della Convenzione quadro sul valore del patrimonio culturale per la società (Faro 2005).

Di cosa parliamo quando parliamo di governance partecipativa del patrimonio culturale?
 
Da quando a novembre 2014 i Ministri della cultura dell’Unione europea dedicano un intero documento di Conclusioni alla governance partecipativa del patrimonio culturale il concetto si fa strada nei documenti di policy europei. Per citare solo gli ultimi, le Conclusioni del Consiglio adottate sotto la Presidenza bulgara UE sulla necessità di mettere in rilievo il patrimonio culturale in tutte le politiche dell’UE, e la proposta della Commissione per una Nuova agenda europea per la cultura. Grazie all’Anno europeo del patrimonio culturale, che ha fra i suoi obiettivi la promozione della governance partecipativa, si moltiplicano nel 2018 le occasioni di confronto pubblico sul tema, dalla conferenza della Presidenza bulgaraCultural heritage: for a more sustainable Europe” , al Forum sulla dimensione internazionale dell’Anno europeo del patrimonio culturale.  La Commissione dedica inoltre all’innovazione sociale e alla partecipazione civica nella gestione del patrimonio una delle 10 iniziative chiave dell’Anno europeo: All for heritage.
 
Secondo il Consiglio “la governance partecipativa del patrimonio culturale […] nel quadro degli interventi pubblici, cerca la partecipazione attiva dei soggetti interessati - cioè autorità ed enti pubblici, attori privati, organizzazioni della società civile, ONG, settore del volontariato e persone interessate - alla definizione, pianificazione, attuazione, monitoraggio e valutazione delle politiche e dei programmi in materia di patrimonio culturale al fine di aumentare la responsabilità e la trasparenza degli investimenti di risorse pubbliche e di accrescere la fiducia del pubblico nelle decisioni politiche”. Una definizione ampia, ma che solleva alcuni interrogativi:
 
Di cosa stiamo parlando? Di amministrazioni che coinvolgono e responsabilizzano i cittadini nelle decisioni che riguardano i siti culturali? Di iniziative promosse da comunità o società civile? Di collaborazione fra diverse amministrazioni nella gestione del patrimonio? Di partenariato pubblico-privato? Di co-progettazione?
 
A declinare il concetto ci hanno pensato gli esperti di 26 stati dell’Unione europea e della Norvegia, ai quali il piano di lavoro europeo per la cultura 2015-2018 ha assegnato il compito di “individuare approcci innovativi alla governance multilivello del patrimonio materiale, immateriale e digitale, che coinvolgono il settore pubblico, soggetti privati e la società civile, affrontando anche la cooperazione tra diversi livelli di governance e settori politici”. Un mandato ambizioso, che richiedeva di mappare le diverse politiche pubbliche nazionali, confrontare e comporle in un manuale di buone prassi, destinato ai responsabili politici e agli enti che operano nel campo del patrimonio culturale.
 
Preparando la prima riunione del gruppo con la neo eletta presidente, la svedese Birgitta Johannsen, ci rendiamo conto della difficoltà di trovare il bandolo di una matassa che ha mille capi e mille code. Dovremo tracciare una nuova rotta, oltre l’oceano delle prassi consolidate, senza guide e senza mappe, in assenza di una solida letteratura. Ma ci facciamo coraggio, confidando che la generazione di senso possa scaturire dall’intelligenza collettiva. E l’unico modo per farlo è proprio adottare approcci partecipativi, mettere in circolo le competenze diverse e complementari dei membri del gruppo, entusiasti e fortemente motivati, attraverso lo scambio e la condivisione di esperienze.
 
Mentre il gruppo avvia una prima ricognizione sull’evoluzione del concetto nei documenti di policy e nelle Convenzioni internazionali, inclusa naturalmente la Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società (Convenzione di Faro), come Commissione richiediamo all’European Expert network on Culture due brevi studi per supportare il gruppo: un policy paper e una mappatura di buone pratiche negli Stati UE. Inoltre chiediamo ad alcuni esperti e ricercatori che hanno analizzato il tema di presentare i loro punti di vista alle prime riunioni. Koen Van Balen e Aziliz Vandesande, che avevano organizzato nel 2014 una “Settimana tematica” presso il Raymond Lemaire International Centre for Conservation dell’Università di Leuven, sul “coinvolgimento delle comunità nel valorizzare e gestire monumenti e siti”. Margherita Sani, autrice per l’EENC del policy paper e coordinatrice del gruppo di esperti che ha realizzato la mappatura di buone pratiche: Bernadette Lynch, Jasper Visser e Alessandra Gariboldi; Pier Luigi Sacco le cui ricerche stanno mettendo in luce gli importanti benefici economici e sociali della partecipazione culturale attiva; Brigitte Geißel, che fa ricerca sul tema della governance presso la Goethe University di Francoforte sul Meno. In aggiunta la Commissione europea organizza una sessione di “brainstorming” sullo stesso tema, nell’ambito del “dialogo strutturato” con la società civile (Voices of Culture), alla quale partecipano circa 30 organizzazioni. Andrew Ormston ed Eva Moraga vengono a condividere con il gruppo il risultato di questa riflessione.
 
Avviamo poi una prima ricognizione dei quadri normativi, degli strumenti, della percezione della fiducia in questo approccio, e i principali ostacoli e rischi, nei diversi stati. I risultati rivelano che i meccanismi di partecipazione pubblica ai processi decisionali, (ad esempio la consultazione pubblica), sono ormai largamente diffusi in Europa. Ci sono anche forme di incentivo e di supporto, e gli ultimi ostacoli vengono via via rimossi. Ma nonostante queste buone condizioni “formali”, le pratiche partecipative nel settore del patrimonio culturale stentano a decollare.
 
Più scaviamo nelle esperienze, più ci rendiamo conto che la governance partecipativa del patrimonio culturale non è né una bacchetta magica né un metodo standard, anche per via delle differenze fra amministrazioni, norme e prassi nella conservazione e gestione del patrimonio nei paesi europei. E che non sarà sufficiente identificare buone pratiche, classificarle come “modelli innovativi”, e augurarsi che i “follower” seguano i “leader”. Dovremo spingerci oltre il mandato del Consiglio, che già era ambizioso, ed estrarre dalle esperienze quelle lezioni e suggerimenti concreti che aiutino a traghettare un concetto astratto sulla riva della pratica.
 
Il gruppo decide quindi di rivolgersi ai professionisti, a chi lavora nelle istituzioni del patrimonio culturale e ai decisori politici. Non perché il ruolo della società civile sia ritenuto meno importante, anzi, è evidente a tutti che gran parte delle esperienze più interessanti nascono come iniziative “dal basso”. Ma perché ci rendiamo conto che per favorire questi processi c’è bisogno di fornire strumenti e guide a quegli operatori che, pur incuriositi e interessati, esitano ad avventurarsi in nuovi approcci perché temono di non avere le competenze necessarie, ad esempio la mediazione. E così che trasformiamo la nostra domanda in:
 
Come usare la partecipazione nella gestione  / governance quotidiana e ordinaria del patrimonio culturale? Come sensibilizzare istituzioni e professionisti alla sua importanza? Quando e come usarla nel miglior modo possibile?
 
Il Consiglio nella sua definizione parla di partecipazione attiva dei soggetti interessati nella definizione, pianificazione, attuazione, monitoraggio e valutazione delle politiche e dei programmi in materia di patrimonio culturale, ovvero lungo tutto l’arco del ciclo di policy. Ma il gruppo sceglie pragmaticamente, di mantenere un approccio aperto, e di analizzare anche esperienze “parziali”, perché le buone lezioni su come promuovere la partecipazione possono rivelarsi ad ogni stadio del ciclo. E di interpretare l’“approccio innovativo” in senso ampio. Perché non necessariamente le buone prassi scaturiscono da idee completamente nuove, come testimoniano alcuni schemi che sono presenti in diversi paesi, come ad esempio le iniziative “adotta un monumento”.
 
L’innovazione è interpretata dal gruppo come un processo creativo, fatto di sperimentazione ed esplorazione, non limitato alle nuove idee, ma che guarda anche a esperienze realizzate e opzioni in contesti differenti. Sempre mantenendo la mente aperta, senza focalizzarsi solo sul risultato finale, con coraggio, audacia, e sempre “testando i limiti”.
 
Inizia quindi l’immersione nel processo partecipativo, fatto di compiti a casa: incontri pubblici (per l’Italia ad ArtLab a Lecce il 25 settembre 2015), consultazioni, dialogo fra colleghi e le organizzazioni per individuare esperienze di progetti partecipativi, selezionarle e descriverle. Ma soprattutto di intenso lavoro durante le riunioni, per analizzare insieme le esperienze raccolte e compararle, per individuare processi, benefici, ostacoli e motivazioni. Un lavoro gratificante ma che ha richiesto concentrazione, dedizione e tempo, per comprendere le diverse prospettive ed esperienze, per trovare un modo di raccontarle che fosse rappresentativo di tutti gli sguardi e per aggregare i singoli esempi in approcci strutturati. Un processo che si è trasformato in un viaggio alla scoperta di affinità e divergenze in 27 paesi del nostro continente sui valori che riconosciamo nel patrimonio culturale, su come lo proteggiamo e lo trasmettiamo alle generazioni future. E che si è fatto via via più profondo, intrecciandosi con i diversi percorsi che ha fatto la democrazia in questi 60 anni in Europa, al di qua e al di la del muro.
 
Iniziative civiche, dal picnic pan-europeo che nel 1989 riunì ai tavoli 10.000 persone fra Austria e Ungheria aprendo una breccia nel muro fra est e ovest, riconosciuto "Patrimonio culturale europeo", alle azioni dagli abitanti di Parigi per migliorare il progetto di riuso del magazzino La Samaritaine, al museo Ivanic-Grad in Croazia, creato dalla comunità locale per mantenere la memoria del proprio patrimonio industriale. Iniziative istituzionali, come la consultazione sulla ratifica della Convenzione di Faro in Finlandia, o la nuova policy per la qualità architettonica danese "Putting people first", che mette la partecipazione pubblica al cuore. Iniziative per riaccendere il legame fra le comunità locale e il loro patrimonio, come Adotta un monumento in Finlandia, originariamente nato in Francia e Scozia e poi allargatosi in tanti paesi europei, o i programmi diretti ai proprietari di edifici storici in aree rurali in Estonia o nella Repubblica slovacca, che li aiutano a comprenderne meglio i valori, ma anche a conoscere tecniche e i materiali utili alla loro manutenzione. Maratone creative, che riuniscono comunicatori, designer, maker, programmatori informatici, esperti di collezioni e mediatori culturali per migliorare la fruizione di un museo e coinvolgere nuovi pubblici, come nel progetto Museomix, nato in Francia e già esteso a parecchi paesi europei, compresa l’Italia.
 
Un viaggio che ha fatto tappa nei valori fondanti del progetto europeo. Il minuto di silenzio che alle 5 del pomeriggio di ogni 1 agosto in Polonia rinnova la memoria della tragica storia della rivolta di Varsavia, e che ci ha ricordato l'importanza della solidarietà europea. I progetti incentrati sulla comunità Rom in Norvegia e Germania ci hanno portato dentro al significato di "uniti nella diversità”, perché inclusione non significa semplicemente garantire l'accesso ad un sistema di valori prefissati, ma piuttosto riconoscere le diverse relazioni che le persone hanno col patrimonio culturale, inclusa quella di non riconoscervisi, di contestarlo o di dimenticare.
 
Quattro sono le esperienze analizzate per l’Italia, l’iniziativa Monumenti Aperti, promossa e coordinata da Imago Mundi inizialmente in Sardegna, ma ora anche in altre parti d’Italia. La Strategia Aree Interne; Il Monastero benedettino di Catania gestito da Officine culturali come spazio di integrazione e aggregazione per la collettività e il Parco di Centocelle Roma dove il LabGov (LABoratory for the GOVernance of the City as a Commons) sta sperimentando un modello di gestione partecipativo incentrato sulla Convenzione di Faro. Su queste iniziative Rosaria Mencarelli, rappresentante italiana nel gruppo, dedicherà un approfondimento a breve. Nel report non troverete i 47 “casi” descritti nel dettaglio, ma la loro analisi filtrata sotto diverse lenti:
 
Chi fa scattare la “scintilla” del processo partecipativo? Quali sono le motivazioni che hanno condotto a scegliere questo approccio? Il motivo era legato alla protezione del patrimonio culturale o era esterno? Quali ostacoli hanno incontrato gli operatori lungo il processo? Che impatto e cambiamento sono stati prodotti quando queste pratiche sono state adottate?
 
Le lezioni apprese, sono in sintesi:
  • Focalizzare l’attenzione sull’interesse pubblico può aiutare a trovare un terreno comune fra partecipanti che hanno diversi interessi, a volte contrastanti (o addirittura in conflitto). Ma vuol dire anche riconoscere che gli esperti possono difendere un interesse pubblico importante, non ancora compreso e accettato dal pubblico.
  • Costruire relazioni: il patrimonio culturale può certamente facilitare l’inclusione sociale e aiutare le persone ad uscire dall’isolamento, esprimersi, condividere emozioni e costruire nuove relazioni nell’ambito di una comunità. Ma per fare scaturire un genuino coinvolgimento e relazioni profonde occorre tempo per lo scambio di informazioni, la conoscenza e la costruzione di fiducia.
  • Impegnarsi e supportare, meglio se a lungo termine, anche se il processo deve rimanere flessibile, permettere di reagire alle contingenze e rispondere a bisogni e interessi di diverse comunità, cosa che richiede talvolta di riposizionare o reinterpretare i servizi messi in piedi.
  • Formare il personale e consentirgli di acquisire le competenze per mettere in pratica gli approcci partecipativi. L’esperienza fatta dal personale dovrebbe essere valorizzata e possibilmente condivisa con altre istituzioni nell’ambito di reti.
  • Mantenersi aperti e ricordare che a volte il processo è più importante del risultato. La partecipazione e la governance partecipativa dovrebbero essere introdotti in ogni fase del ciclo di gestione del patrimonio culturale e i partecipanti dovrebbero essere coinvolti in ogni fase del meccanismo di presa delle decisioni.
  • L’approccio “dal basso” e “dall’alto” sono complementari. L’approccio dal basso genera un maggiore impegno  da parte delle comunità locali verso il progetto. Le coinvolge nei processi decisionali, nella formulazione delle strategie e nella selezione delle priorità. I migliori risultati sono quelli che combinano i due approcci, in modo da farli interagire.
  • Partecipazione in tutte le fasi. La partecipazione non deve essere limitata alla fase iniziale ma estendersi lungo tutto il processo di implementazione: dal contributo allo sviluppo della strategia al completamento dei progetti selezionati e delle policies, al monitoraggio e valutazione, e finalmente fare tesoro delle lezioni apprese per il futuro.
  • Trasparenza: La mancanza di trasparenza, ad esempio su come vengono prese le decisioni, come funziona la gestione, da dove vengono i fondi, può creare una barriera di accesso per i cittadini. La partecipazione è possibile solo se coloro che sono coinvolti hanno accesso a informazioni aggiornate e corrette.
  • Connettere tangibile, intangibile e digitale: toccare tutti questi tasti aiuta molto ad espandere e approfondire partecipazione e coinvolgimento, come anche connettere il patrimonio alla storia delle persone che partecipano.
 
Il gruppo quindi ha prodotto alcune raccomandazioni ai professionisti del patrimonio culturale e alle istituzioni, dopo avere preventivamente testato l’attitudine e la volontà dei partecipanti, sia persone che organizzazioni. Le raccomandazioni sono corredate da una piccola lista di domande, per poter verificare lungo il percorso che non si sia dimenticato qualche passo importante. Le raccomandazioni sono articolate in tre pilastri:
  • Creare le pre-condizioni (informare sulle possibilità di partecipare esistenti, identificare i portatori di interesse, sviluppare una visione comune, destinare risorse al processo, creare un ambiente favorevole allo scambio di conoscenze ecc.)
  • Fornire supporto (comunicare ed essere trasparenti, attirare e interagire, ricordare che bene comune significa anche responsabilità comune, lavorare sulla fiducia nelle istruzioni e del ruolo dei professionisti, prestare attenzione alle “agende” e alle necessità di mediazione ecc.)
  • Assicurare la sostenibilità del processo (monitorare e valutare il processo, rafforzare la motivazione, promuovere i benefici per la comunità ecc)
 
Sono state anche elaborate raccomandazioni per i policy makers. A livello nazionale, ad esempio, si suggerisce, di allineare i quadri legislativi con i principi della governance partecipativa del patrimonio culturale, in occasione delle revisioni periodiche, e di ratificare le convenzioni internazionali rilevanti, in primis la Convenzione Unesco sulla protezione e promozione della diversità delle espressioni culturali e la Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, entrambe del 2005. Occorre poi promuovere ricerca, scambio di buone pratiche, raccolta di dati e statistiche sull'impatto qualitativo della governance partecipativa del patrimonio e agire strategicamente quando si programmano i finanziamenti, partendo dalle evidenze. Si suggerisce inoltre di condividere le conoscenze professionali con il pubblico generale, in particolare i giovani e di promuovere la formazione e l'informazione pubblica.
 
A livello di Unione europea il gruppo sottolinea la necessità di continuare a sostenere la ricerca nell’ambito dei programmi dedicati (Horizon 2020), e continuare a promuovere e diffondere le buone pratiche, per aiutare le autorità nazionali e le istituzioni del patrimonio culturale a riposizionare o migliorare le loro politiche, e di incoraggiare un maggiore impegno verso la dimensione sociale del patrimonio culturale nell'ambito delle iniziative dell’UE. Infine si raccomanda di promuovere e diffondere progetti che mostrino un forte impegno civico e un approccio inclusivo alla governance partecipativa e supportare lo sviluppo di strumenti metodologici e la misurazione dell’impatto della governance partecipativa del patrimonio.
 
A tutti i livelli si dovrebbe infine promuovere la governance partecipativa rivedendo la pratica corrente nella governance culturale per renderla più aperta, partecipativa, efficace e coerente. E’ inoltre utile promuovere la ricerca sull’argomento nell’ambito dell'Iniziativa di programmazione congiunta Patrimonio culturale e cambiamento globale e cogliere al meglio l'opportunità offerta dall'Anno europeo del patrimonio culturale.
 
Di cosa parliamo, quindi, quando parliamo di governance partecipativa del patrimonio culturale?
Non è la soluzione a tutti i problemi, né un metodo da applicare ovunque e in ogni occasione. E’ piuttosto una necessità, che scaturisce dalla nuova visione olistica alla cura del patrimonio culturale, che guarda a creazione e conservazione come fasi di un unico ciclo, che richiede un approccio più tran-settoriale e integrato alla sua cura, e che sottolinea l’importanza di condividere la responsabilità della sua gestione sostenibile, perché tutti ne possano trarre benefici culturali, economici, ambientali e sociali nel rispetto dei suoi valori.. Tre piste che possono essere percorse solo incentivando la cooperazione fra i molti attori in gioco, dai professionisti alle amministrazioni, dalla società civile agli enti ed università, dai cittadini alle comunità, e sinergie fra diversi livelli di governo, internazionale, europeo, nazionale, regionale e locale. Percorsi non sempre facili, e che necessitano di franchezza e di tempo, per fare uscire allo scoperto le diverse istanze e incoraggiare l'espressione e la negoziazione di diversi significati e interessi.
 
Il gruppo passa ora il testimone alla ricerca, in particolare la piattaforma sociale sostenuta da Horizon 2020 REACH, dove peraltro sono presenti due partner italiani (fra cui il MISE). E alle ulteriori sperimentazioni, grazie all’accordo fra Commissione europea e Consiglio d’Europa per promuovere la ratifica della Convenzione di Faro, (ad oggi ratificata da 18 stati, di cui 9 stati membri UE, e firmata ma non ratificata da 5 stati, fra questi l’Italia. Augurando che la ratifica italiana vada presto in porto, cominciamo a prepararci a traghettare anche noi i principi della partecipazione sulla riva della pratica. Buona lettura.
 
 
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