Giuliana e Tommaso Setari
Parigi, Nell’ambito di un ciclo di presentazione di collezioni private, la Maison Rouge espone, dal 20 ottobre al 13 gennaio, «La collezione Giuliana e Tommaso Setari. Retour à l’intime».
Signora Setari, com’è nata la vostra collezione?
È nata più di 30 anni fa, alla fine degli anni Settanta. La prima acquisizione è stata un «Abstract painting» di Gerhard Richter. Allora vivevamo a New York ed eravamo venuti a Roma per una vacanza. La galleria Mario Pieroni aveva appena fatto una mostra di Richter. È stato un colpo di fulmine. Secondo acquisto, un’opera di Ettore Spalletti.
Qual è stata l’evoluzione della collezione, dagli artisti italiani degli anni ’60-70 fino alle scelte recenti di giovani artisti?
Abbiamo vissuto a New York negli anni in cui sono state presentate grandi mostre di artisti italiani in importanti istituzioni come il Guggenheim Museum o il Ps1 Institute for Contemporary Art. La nostra casa era diventata un punto di incontro per quegli artisti e per i curatori. Nel proseguire nelle acquisizioni siamo stati fedeli a quelle scelte, ma abbiamo anche assecondato la nostra «geografia di vita», secondo gli spostamenti di residenza, a Roma, Milano, Parigi. Così per le opere di Carla Accardi, Maurizio Cattelan, Paola Pivi e Luca Vitone entrate successivamente nella collezione, che è internazionale, ma basata maggiormente sull’arte europea. Gli incontri con artisti quali Thierry De Cordier, Günther Förg, Jan Fabre, Jan Vercruysse, Franz West e Fabrice Hybert sono stati illuminanti. L’eccezione americana è costituita da Sol LeWitt, al quale siamo stati molto legati. L’attenzione per i più giovani si è concretizzata negli ultimi dieci anni, con la Dena Foundation for Contemporary Art, nata nel 2001.
Come interpreta il ruolo del collezionista?
Per me il collezionista è il custode delle opere d’arte che non gli appartengono mai completamente. Per questo abbiamo sempre accordato prestiti a musei di tutto il mondo. Essere collezionista significa anche partecipare in prima persona al mondo dell’arte, attraverso le relazioni che si stabiliscono con gli artisti. Ho il privilegio di essere presidente della fondazione Cittadellarte di Michelangelo Pistoletto fin dalla sua creazione. Condivido la visione e la filosofia di questo grande maestro, che è stato di grande insegnamento per me e per la Dena Foundation.
La sua iniziativa più significativa è stata la creazione della Dena Foundation?
È stato un passaggio importante, foriero di iniziative importanti. Cito per tutte quella di sostenere nel 2008 il progetto di Michael Rakovitz per la Biennale di Sydney: l’artista ha lavorato con gli aborigeni della città, per salvare il loro territorio dalla speculazione edilizia. E la sua opera ha cambiato il corso della storia della città. Attraverso il Dena Art Award sosteniamo opere ancorate nella contemporaneità, che hanno un forte significato etico. La Dena Foundation è stata istituita con lo scopo di sostenere la giovane creazione: dal 2000 a oggi abbiamo creato circa cinquanta borse per residenze d’artisti e curatori a Parigi e a New York. Inizialmente riservato agli artisti italiani, il programma di residenze accoglie da quest’anno altre nazionalità.
La mostra alla Maison Rouge rappresenta una tappa importante?
Certo, un prestigioso punto d’arrivo e di ritorno perché nel 2004 eravamo tra i sedici collezionisti invitati da Antoine de Galbert nella sua mostra inaugurale sulle collezioni. Abbiamo vere e proprie affinità elettive con La Maison Rouge: è un’istituzione privata di dimensioni umane che in pochi anni ha guadagnato rispetto e riconoscimenti unanimi per l’amore per l’arte, l’originalità e sincerità della sua visione, la professionalità d’alto profilo. La nostra mostra è anche un punto di partenza.
Quali progetti ha per il futuro della sua collezione?
Vorremo restare fedeli alle scelte fatte, con un occhio alla generazione più giovane. Ma restiamo sempre disponibili a nuovi colpi di fulmine!
C’è un artista che vorreste avere e che non siete ancora riusciti a inserire nella vostra collezione?
Penso a due italiani, Giovanni Anselmo e Giuseppe Penone, che per varie ragioni non abbiamo ancora. Ma io in particolare penso anche a William Kentridge.
L’attuale crisi ha influito sulle vostre scelte?
Come collezionisti non abbiamo voluto creare un grande spazio per riunire le opere e per mostrarle al pubblico, ma le abbiamo sempre prestate. Negli ultimi anni abbiamo ridotto gli acquisti: ci sono i figli, dei cui progetti dobbiamo tenere conto.
Avete quindi buoni rapporti con le istituzioni museali, in particolare italiane?
Sì, corretti e ottimi; abbiamo sempre concesso moltissimi prestiti, in Italia e all’estero. Abbiamo collaborato, per esempio, con il Castello di Rivoli fin dagli anni in cui la collezione era in nuce, prestando opere importanti a lungo termine. Abbiamo fatto donazioni, per esempio un’installazione di Ettore Spalletti, «Scoglio», al Castello di Rivoli e spinto perché altri collezionisti ci seguissero in questa pratica. Nostre opere sono andate nei musei di Prato, Siena, Roma, Milano, Torino, Rovereto e Napoli.
Come valuta il sistema dell’arte contemporanea italiana?
Il sistema italiano, visto dall’estero, rimane oscuro. Esso soffre secondo me di endemica mancanza di solidarietà tra i diversi interlocutori che lo compongono. Da nessuna altra parte del mondo esiste la sistematica pratica di demolizione dell’operato altrui. Non c’è la volontà di presentarsi sulla scena internazionale con un’unità di intenti: per gli stranieri c’è quindi la difficoltà a comprenderne la frammentarietà, a districarsi tra le diverse individualità. Perdura tuttavia l’amore per l’Italia, per la nostra storia dell’arte e i suoi capolavori, per il paesaggio. Lo dimostra anche l’interesse che oggi manifesta la Maison Rouge con la nostra mostra, quella della Dena Foundation nel suo contesto «Le associazioni libere» e il programma culturale a latere.
Vi appoggiate a consulenti per comprare? Avete delle gallerie di riferimento e comprate anche nelle fiere?
Abbiamo avuto il piacere di conoscere e stabilire rapporti corretti e stabili con galleristi che svolgono un lavoro di promozione fondamentale. Nelle fiere abbiamo comprato, ma in proporzione minore rispetto alle altre acquisizioni, perché privilegiamo il rapporto con gli artisti, basato sull’incontro e lo scambio. Alla Fiac, in passato, abbiamo comprato lavori di Sophie Calle, Jan Fabre e Bertrand Lavier.
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