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Fratelli di tagli: i musei degli artisti

  • Pubblicato il: 22/06/2012 - 17:18
Rubrica: 
FONDAZIONI D'ARTISTA
Articolo a cura di: 
Maddalena Bonicelli e Santa Nastro
Città dell'Arte - Fondazione Pistoletto Foto Enrico Amici

La mappa delle fondazioni d’artista italiane è estremamente variegata. Sono quasi 50 quelle censite nella nostra indagine e 27 quelle analizzate. Per ogni soggetto si aprono strade possibili, nate da storie uniche, legate al percorso dell’artista, che spesso si intreccia e si sovrappone con il contesto della produzione creativa. Ci sono fondazioni promosse dalle famiglie di grandi personalità scomparse e altre create dai protagonisti ancora attivi nello scenario contemporaneo, mossi dal bisogno di fare «qualcosa di più». In tutte si riconosce l’esigenza di tramandare, proseguire e lo sforzo comune per preservare una memoria condivisa, in un Paese che sembra spesso incapace di tutelare questo patrimonio come parte della sua identità. Un esempio è il Museo Marino Marini, a Firenze nato sotto l’egida di un grande artista della plastica italiana del secolo scorso, diventato attrattore di esperienze che guardano ai linguaggi contemporanei, dalla video arte alla poesia o alla musica sperimentale, in dialogo con la scena internazionale. E all’esperienza, unica al mondo, di Cittadellarte, a Biella, quasi un’opera work in progress che traduce il pensiero e la ricerca di Michelangelo Pistoletto, in una sorta di «Città del Sole», luogo di formazione in cui l’arte è protagonista della società civile.
Una strada seguita a Roma dalla Fondazione Baruchello, che oltre ad occuparsi della promozione dell’opera dell’artista, lavora sulla formazione culturale e artistica, con residenze e workshop. Se molte sono le fondazioni «private», quelle nate nel nuovo millennio hanno adottato prevalentemente la forma «di partecipazione», ovvero sono aperte al coinvolgimento di nuovi soggetti pubblici e privati: una scelta non solo strumentale, per ripartirne gli oneri, ma una priorità strategica e una modalità di relazione con l’esterno. Questo è il modello della fondazione Alberto Burri, a Città di Castello, dove la relazione tra pubblico e privato diventa lo zoccolo duro della tutela di due grandi collezioni: Palazzo Albizzini, che racconta il Burri «storico», quello dei Sacchi, delle Combustioni, dei Cellotex, dei Cretti, e gli Ex- Essiccatoi, che riguarda l’ultimo periodo, dalla fine degli anni ’70 fino alla scomparsa del maestro. L’esigenza di futuro prende diverse forme: dalla pura conservazione, archiviazione e valorizzazione delle opere e del patrimonio materiale dell’artista, alla sfida di continuare a interpretarne il pensiero e la visione in azioni rivolte al futuro, per i giovani.
Sorge la tentazione di individuare una dicotomia tra un modello di fondazione puramente conservativo, potremmo dire «dormiente», e uno più proiettato all’esterno, al confronto, all’esercizio di un ruolo attivo e, potremmo dire, socialmente responsabile. Se però ascoltiamo le storie di questi soggetti, e allarghiamo lo sguardo al contesto in cui si trovano ad agire, anche la «semplice» conservazione appare uno sforzo prezioso, per nulla scontato e autoreferenziale Da qui al tema critico, per tutte, della sostenibilità e della sopravvivenza il passaggio è breve: la reazione alla crisi è resistere, limitare le attività all’essenziale, aumentando però il rischio di essere percepiti come «cosa privata» e diminuendo le opportunità di coinvolgimento e partecipazione di soggetti esterni.
Un dato importante e incoraggiante è l’attenzione ai giovani come destinatari privilegiati della progettualità, un esempio è la Fondazione Merz, con attività formative, borse di studio, premi e iniziative dedicate, e, nelle più illuminate, la consapevolezza dell’importanza di lavorare in rete, con il territorio e con altre realtà. Forse, al di là della crisi, questo è proprio il punto da cui ripartire.
 
 
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