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Cultura e rigenerazione urbana, perché non sia un ossimoro

  • Pubblicato il: 16/02/2015 - 15:50
Autore/i: 
Rubrica: 
VOCI DALL'EUROPA
Articolo a cura di: 
Francesca Sereno

Alziamo lo sguardo dalla dimensione nazionale con Franco Bianchini per un ulteriore punto di vista sull'influenza che la cultura può avere oggi nello sviluppo del territorio.

Nello scenario attuale, quale ruolo politico e strategico può avere la cultura?
Fin dagli anni '80 si parla del ruolo della cultura nelle strategie di rigenerazione urbana; inizialmente come leva di sviluppo economico e marketing territoriale, poi, soprattutto a partire dal nuovo millennio, anche come strumento nelle politiche di inclusione sociale e di lotta all'emarginazione e al disagio. L'attuale periodo di crisi economica ha generato in molti paesi l'indebolimento del ruolo strategico della cultura.
Sostanzialmente oggi si assiste a due fenomeni. Il primo è che le politiche di austerity hanno comportato dei forti tagli alla spesa pubblica, soprattutto per gli enti locali. Quindi, paradossalmente, in un momento in cui una politica culturale territoriale avrebbe potuto rappresentare un'occasione per rispondere alla crisi economica, ciò si è rivelato arduo perché i tagli hanno indebolito molto le risorse e i profili dei responsabili di tali politiche.
In secondo luogo, la crisi economica ha avuto effetti negativi in particolar modo per le città di importanza regionale, mentre si sono salvate le grandi metropoli europee di cui i governi hanno salvaguardato il ruolo economico globale. I fondi per lo sviluppo regionale disponibili dall'Unione Europa si sono concentrati nelle aree meno sviluppate dell'Europa centrale e orientale mentre nell'Europa Occidentale si è attuata una logica che ha portato in molti casi ad un rafforzamento delle grandi aree metropolitane, a scapito delle aree minori. Nel Regno Unito, ad esempio, si stanno concentrando molte risorse destinate a trasporti pubblici, cultura e altro ancora nell'area metropolitana londinese, ritenendola l'unica in grado di attrarre risorse ed investimenti e di competere a livello globale, ma ciò penalizza altre zone più depresse creando così disequilibri che incidono negativamente sulla capacità di sviluppo del Paese.
Christopher Gordon, esperto in politiche culturali europee, spiega molto dettagliatamente gli effetti negativi di questo squilibrio nel libro Rebalancing Our Cultural Capital di cui è coautore.
 
 
 
In che misura le politiche dell'Unione Europea potrebbero riposizionare il cultural planning in un ruolo centrale nelle strategie di rigenerazione urbana?
Lo sviluppo di una strategia culturale di lungo periodo è diventat
o un ingrediente obbligatorio per le candidature per il titolo di Capitale Europea della Cultura a partire dal 2020. Ciò costituisce indubbiamente un'opportunità per fare riscoprire l'importanza della cultura nella rigenerazione urbana.
Spesso le strategie di cultural planning sono state dominate dalla realizzazione di contenitori culturali che hanno assorbito ingenti risorse e che in molti casi si sono rivelati sovradimensionati rispetto alle esigenze della comunità locale, sottraendo spazio alla definizione di vere politiche innovative e contribuendo all'indebitamento eccessivo degli enti locali. Un esempio è la Città delle Arti e delle Scienze di Valencia in Spagna (www.cac.es), realizzato da Calatrava, che è costata 1.1 miliardi di euro, e che ha contributo alla bancarotta della Comunidad Autonoma de Valencia.
In Italia si sono recuperati molti edifici per usi culturali, ma forse le ingenti risorse utilizzate avrebbero potuto essere investite su progetti più innovativi e strategici.
Per riposizionare il cultural planning in un ruolo centrale nelle politiche di sviluppo locale è fondamentale il raccordo tra la politica culturale e tutte le altre politiche pubbliche. Se non si investe in questo i cittadini e gli stakeholder non potranno mai capire il valore del cultural planning. Un esempio di successo in tal senso si trova in Colombia, nella città di Medellin, dove sono stati creati i «Parchi-Biblioteca» (www.reddebibliotecas.org.co/sistemabibliotecas/Paginas/parquebibliotecaf...). Si tratta di dieci biblioteche circondate da parchi, costruiti in zone degradate della città e concepiti come spazi pubblici non solo per avvicinare di più la popolazione alla cultura, ma anche in senso più ampio per migliorare la qualità della vita dei cittadini, agendo su aspetti quali la sicurezza urbana, la salute e il rafforzamento del capitale sociale.
Oggi si sta diffondendo la pratica delle Smart Cities, ma il suo impatto sullo sviluppo di una città dipende da come viene applicata. In certi casi è prevalsa la tendenza a privilegiare élites di scienziati ed altri esperti di nuove tecnologie. Così si rischia di mettere in secondo piano le risorse culturali locali e di pregiudicare il concetto di «città creativa», che, nella sua concezione originaria (nel libro che scrissi con Charles Landry nel 1995) si basava sul coinvolgimento di tutti. In altri contesti, invece, la tecnologia viene usata per facilitare i processi partecipativi, per esempio attraverso le web community, che sono uno strumento importantissimo per individuare i bisogni, i desideri e le idee dei cittadini.
In generale un approccio eccessivamente ingegneristico all’ idea di «Smart City» non si concilia con la filosofia creativa e olistica del cultural planning, che riguarda i fertili ma spesso imprevedibili collegamenti tra le politiche culturali e le politiche sociali, economiche e ambientali.
 
 
 
Quali sono oggi i fattori chiave di successo del cultural planning?

In primo luogo l'ambizione, soprattutto delle città medio-piccole che non devono arrendersi di fronte allo scetticismo che genera sfiducia e spinge alla rinuncia. E' importante la dimensione della rete internazionale anche per questo tipo di cittá per avere ispirazione e incoraggiamento, spesso assente a livello locale e regionale. Internazionalizzazione e scambio di conoscenze alimentano le ambizioni. Poi una leadership politica che sostiene, ma che non interviene troppo nel dettaglio dei contenuti. Occorre invece «fare squadra»: la figura del policy maker carismatico è utile per catalizzare le idee, ma senza squadra non si riesce ad attuarle e le competenze oggi necessarie sono troppo diversificate per trovarle in un'unica persona.
L'approccio partecipativo può prevedere non solo le istanze di esperti e opinion leader, ma anche idee e proposte a più ampio raggio da parte della comunità. Oggi le web community permettono di raccogliere spunti da un'ampia fascia di persone, come ad esempio cittadini emigrati altrove che esprimono loro opinioni e suggerimenti in merito alla rigenerazione della località da cui provengono.
Inoltre occorre anche un cambio di linguaggio di alcuni ambiti culturali per avvicinare le nuove generazioni. I giovani hanno una nuova sensibilità culturale, derivante anche dalle tecnologie digitali che hanno influenzato la produzione culturale. E’ fondamentale essere in stretto contatto con loro per comprendere e valorizzare le nuove conoscenze - tecnologiche ma non solo - che le generazioni precedenti non hanno. Due istituzioni culturali britanniche come il Contact di Manchester contactmcr.com) e il National Youth Theatre of Wales (www.nyaw.co.uk/e_nytw.html) hanno realizzato una programmazione artistica insieme a gruppi di giovani del territorio. Ciò ha generato una forte innovazione dei linguaggi che ha attirato altri giovani. Il coinvolgimento e la partecipazione dei giovani sono molto importanti per allargare il pubblico.
 
 
 
Quali sono invece i fattori critici che ostacolano il rilancio del settore culturale?
In Europa i politici subiscono spesso la pressione delle istituzioni culturali consolidate, che si ritengono parte del patrimonio culturale nazionale. Queste istituzioni assorbono la maggior parte delle risorse sia pubbliche che private, pur registrando il calo e l'invecchiamento del pubblico, sottraendole a progetti più innovativi. Un altro aspetto è la formazione dei politici e dei funzionari del settore culturale che spesso non hanno gli strumenti per comprendere la produzione artistica. Sarebbe opportuno rendere obbligatorio per chi lavora nel settore culturale un programma di educazione, che preveda la visione di un certo numero di spettacoli o la partecipazione a seminari diretti da critici, curatori e registi.
 
 
 
Quale è l'importanza della costituzione di reti?

Oggi la vera forza è costituita dalle reti internazionali: a mio avviso sarebbe opportuno che tutte le maggiori città europee avessero una strategia culturale internazionale (o «politica culturale estera») che dovrebbe partire da una mappatura dei legami internazionali esistenti di imprese, università e anche di comunità etniche (per esempio a Genova con l'Ecuador, e a Prato con la Cina). Per cogliere l'opportunità derivanti ad esempio dalle comunità etniche residenti sul territorio, occorrono un approccio flessibile e investimenti, ma ne possono derivare dei risultati anche economici conseguenti a contatti con potenziali finanziatori stranieri.
Un caso interessante è quello della città francese di Lille, che estese l'esperienza di Capitale Europea della Cultura 2004 agli anni successivi finanziando il progetto Lille3000 (www.lille3000.eu). Questo progetto ha stimolato i rapporti culturali ed economici tra Lille e Paesi come l’India, la Russia e la Turchia, organizzando dei grandi festival sulle loro culture e comunicando le opportunità offerte dalla città: la posizione equidistante un'ora di treno da Parigi, Londra e Bruxelles e la presenza di aree edificabili e residenze a basso costo, inferiore a quello capitali europee citate.
In Italia forse si sottovaluta l'enorme potenziale delle proprie risorse culturali nei confronti degli investitori stranieri. Non si tratta di ragionare in termini di «colonizzazione» ma piuttosto di attirare finanziamenti su progetti specifici.
Un caso curioso è quello dell'ocarina di Budrio, una risorsa della tradizione artigianale e culturale del territorio bolognese diventata strategica per lo sviluppo locale. Grazie al Festival internazionale dell'ocarina (www.ocarinafestival.it) – una kermesse che coinvolge ospiti, musicisti e costruttori di tutto il mondo e in particolare dell'Estremo oriente – e alla trionfale tournée in Corea del Sud del Gruppo Ocarinistico Budriese nel 2010, questo strumento ha costituito un'opportunità di sviluppo locale facendo leva su un processo di internazionalizzazione.
Concludendo, la cultura ancora oggi può a pieno titolo costituire uno strumento di sviluppo del territorio, ma è necessario che tutti gli attori coinvolti, pubblici e privati, siano disponibili ad assumere nuovi paradigmi che contemplino parole chiave come: partecipazione, collaborazione, approccio intersettoriale, internazionalizzazione.
 
 
Franco Bianchini è docente di Politiche culturali e cultural planning alla Leeds Beckett University, Inghilterra. Dal 2010 al 2014 è stato membro del Comitato scientifico per la candidatura di Matera a Capitale Europea della Cultura 2019. Ha collaborato su questioni attinenti allo sviluppo delle strategie culturali urbane in qualità di docente, ricercatore e consulente con il Consiglio d'Europa, l'Arts Council inglese e molti enti locali e università nella maggior parte dei Paesi europei, e in Australia, Giappone e Colombia. Tra i suoi libri: Focus on Festivals (a cura di C. Newbold et al., pubblicato da Goodfellow nei primi mesi del 2015), Urban Mindscapes of Europe (a cura di G. Weiss-Sussex con F. Bianchini, Rodopi, 2006), Planning for the Intercultural City (con J. Bloomfield, Comedia, 2004), The Creative City (con C. Landry, Demos, 1995) e Cultural Policy and Urban Regeneration: the West European Experience (a cura di F. Bianchini e M. Parkinson, Manchester University Press, 1993).
 

 

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