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  • Pubblicato il: 15/04/2016 - 15:04
Autore/i: 
Rubrica: 
CULTURA DIGITALE
Articolo a cura di: 
Francesca Sereno

Il Rapporto #SOCIALMUSEUMS. Social media e cultura fra post e tweet dell’Associazione Civita ha presentato il 30 marzo all'Auditorium dell'Ara Pacis di Roma, sollecita riflessioni sulla «rivoluzione digitale» che ha investito i musei. Quali le buone pratiche per aiutare questo settore a crescere, in virtù di un nuovo rapporto con il proprio pubblico ?

La crescita esponenziale dei social network ha prodotto significativi effetti nell'ambito del marketing e della comunicazione. La possibilità di raggiungere ampie e diversificate tipologie di utenza con costi economicamente contenuti è ormai evidente, come dimostrano siti web specializzati, si pensi a TripAdvisor o Airbnb nel settore turistico. E del resto queste piattaforme  si stanno trasformando da market place a luoghi di condivisione, scambio di esperienze e di opinioni tra un grande numero di persone.
Anche sul fronte culturale si assiste ad una trasformazione delle modalità di comunicazione con i propri pubblici. Le opportunità derivanti dai social media sembrano colte prevalentemente dalle realtà legate al contemporaneo, anche se molte istituzioni «tradizionali» usano sempre di più i social come strumento di comunicazione. Il X Rapporto di Civita è finalizzato proprio a comprendere qual è l'impatto della rivoluzione 2.0 sull'attività e le strategie delle istituzioni museali, quanto questo utilizzo influenzi effettivamente la frequenza delle visite e soprattutto quanto contribuisca a creare l'identità del soggetto culturale, a generare e a diffondere un'idea sul suo valore.
 
La ricerca, condotta dal Centro Studi «Gianfranco Imperatori», fornisce in primo luogo un quadro sull'utilizzo del web da parte della popolazione italiana, sia in generale che per interfacciarsi con il settore culturale. Emerge che gli italiani che utilizzano i social media sono circa 36,5 milioni, ovvero ben il 60% dell’intera popolazione. Circa 9 milioni (il 36,6% della base degli intervistati) impiegano i social per entrare in relazione con le istituzioni culturali e sono in prevalenza uomini fra i 25 e i 44 anni  e le donne fra i 18 e i 24. I social media sono usati prevalentemente per entrare in relazione coi musei, seguiti nell'ordine da teatri, enti lirici e musicali, spazi espositivi e biblioteche. Il 57% degli utenti dà un giudizio positivi della presenza dei musei sui social.  Esiste dunque una «domanda pronta ad accogliere qualunque genere di proposta che i musei facciano immettendosi nella rete », afferma Luca De Biase che aggiunge «a patto che lo facciano in modo proattivo e comprendendone il funzionamento».
La ricerca prosegue poi con un'indagine mirata ad analizzare le «strategie social» dei musei  e di come queste abbiano prodotto effetti in termini di rapporto con la propria utenza. Il campione dei musei analizzati è stato definito sulla base di: intensità social (dati Museum Analytics, società che monitora oltre 3.000 musei al mondo registrando visitatori reali, amici Facebook e follower Twitter), dimensione del pubblico, rilevanza delle collezioni e delle attività svolte sul web.
Il campione è costituito da 26 musei elencati nella tabella sottostante. L’indagine è stata condotta attraverso interviste ai direttori dei musei.
 
 
 
 
 

Musei e reti museali
ITALIA
EUROPA
STATI UNITI

Arte antica e moderna
Palazzo Madama (Torino)
Museo Diocesiano di Milano
Genus Bononiae. Musei nella città (Bologna)
Musei Civici di Venezia
Fondazione Musei Senesi
Rijkmuseum (Amsterdam)
Museo Nacional del Prado (Madrid)
Benaki Museum (Atene)
Metropolitan Museum (New York)
The Getty Museum (Los Angeles)
Museum di Fine Arts Houston

Arte contemporanea
MART (Trento e Rovereto)
MAXXI (Roma)
MACRO (Roma)
CAM (Casoria)
Museu Picasso (Barcellona)
Museo del Design di Zurigo
MoMA (New York)
LACMA (Los Angeles)
Solomon Guggenheim Museum (New York)
Walker Art Center (Minneapolis)
The Andy Warhol Museum (Pittsburgh)

Musei della Scienza
Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci (Milano)
 
Exploratorium (San Francisco)

Altre istituzioni
Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseux (Firenze)
 
Opera di Los Angeles

 
 
 
 

 
 
Un primo aspetto osservato riguarda il  linguaggio usato nelle comunicazioni, che in rete deve prevedere la velocità di lettura, ossia l'uso di messaggi brevi e informali, chiari, semplici e «ad effetto». Il LACMA di Los Angeles ha colto pienamente questa esigenza, utilizzando addirittura gli emoticons. Questa modalità di comunicazione ha prodotto un alto livello di interazione con gli utenti, come si evince dalle centinaia di like ricevuti dal LACMA.
D'altro canto è necessario presentare il «prodotto» dei musei, di per sé un prodotto di qualità, in modo attrattivo, la presenza sui social deve avvenire con modalità che generino attenzione ed interesse.
Il Paul Getty Centre di Los Angeles  risulta utilizzare molto bene lo strumento di storytelling: ogni aspetto - dalla villa sede del museo alle opere, dagli eventi all'architettura - è un pretesto per raccontare l'attività dell'istituzione. Inoltre questo museo dialoga continuamente con i propri utenti, ringraziando per ogni commento. Un esempio curioso: in occasione di un terremoto, agli utenti che chiedevano informazioni sullo stato del museo, i referenti non solo hanno ringraziato per l’interesse, ma hanno colto l’occasione per spiegare le misure di protezione delle opere in caso di calamità naturale. In questa direzione anche il Museo Nacional del Prado, che ogni giorno presenta su Twitter una nuova opera a puntate, raccontando i retroscena e le curiosità.
E' altrettanto importante che i referenti dell'istituzione interagiscano costantemente coi propri utenti, rispondendo a richiesta di informazioni, domande, anche alle critiche. Il MoMA di New York e il Museo Nacional del Prado sono molto attivi, rispondendo prontamente alle domande poste dai fan. Un'occasione per comunicare coi propri utenti è l'appuntamento mondiale «Ask a Curator Day», a cui partecipano 700 istituzioni in tutto il mondo: offre la possibilità di fare domande ai curatori dei diversi musei che vi partecipano e che possono rispondere in tempo reale. Il Museo Diocesiano di Milano, che mantiene alto il livello di interazione con post aggiornati continuamente, e il Museu Picasso di Barcellona hanno aderito all'iniziativa promuovendola con energia.
Il MART di Rovereto è una delle best practice più interessanti: la sua strategia social lo ha portato a detenere il primato italiano per pervasività e risultati. Nella classifica di Museum Analytics, è il primo museo non localizzato in un capoluogo di provincia per utilizzo dei social dopo Maxxi e Scuderie del Quirinale di Roma e La Triennale di Milano. E’ il risultato di un scelta strategica: c’è un manager interno dedicato ai social media, un web team di 8 persone che lo affianca per contribuire a rendere accessibili con un linguaggio rapido ed efficace i contenti del museo.
Vale la pena di citare anche il caso di Palazzo Madama a Torino che ha attivato la prima campagna di crowdfunding online per l’acquisto di un’opera d’arte.
La campagna «Acquista con noi un pezzo di storia. Sostieni la raccolta fondi per riportare a Torino il servizio in porcellana dei D’Azeglio» viene aperta nel gennaio 2013 con lo scopo di acquistare un servizio di 43 porcellane prodotto dalla manifattura Meissen appartenuto alla famiglia Taparelli d’Azeglio. L’obiettivo di raccogliere 66.00 sterline è stato superato: sono stati raccolti 96mila euro, da 1591 donatori, di cui 58.944 tramite il proprio sito, senza utilizzare piattaforme specializzate in crowdfunding, e 7.259 grazie alle urne collocate nel museo e a un aperitivo di raccolta fondi. L’investimento per la raccolta fondi è stato solo il 14% della somma raccolta.
Il successo della campagna è il risultato di un insieme di fattori, in primo luogo le opportunità di storytelling offerte dalle vicende legate alla storia del servizio, la forza dell’identità e della reputazione del brand. A queste si è aggiunto  il supporto della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino che oltre a coprire le spese di comunicazione e di implementazione del sito garantiva un ulteriore connessione a stakeholders e comunità locale, nonché la possibilità di utilizzare  30.000€, parte di una donazione testamentaria, come base di partenza dell’operazione.
 
Il rapporto infine mette in luce alcune esperienze innovative che utilizzano le piattaforme social portate avanti da soggetti non istituzionali.
Dal 2013 #Invasioni Digitali cerca di rendere i musei «più social», andando oltre gli strumenti tecnologici e coinvolgendo il pubblico anche offline.
Con l’obiettivo di sensibilizzare l’utenza nella co-creazione di valore culturale, questa iniziativa bottom up può essere definita come un social media mob di persone che sostengono e promuovono il patrimonio culturale documentando la propria esperienza su blog e social media.
Il punto di partenza dunque è offline: vengono organizzate delle vere e proprie invasioni nel luogo del bene culturale dove blogger, amanti di arte e archeologia, fotografi, ma soprattutto gente comune uniti dall’amore per l’arte e per il proprio territorio raccontano la loro esperienza promuovendo nuove forme di conversazione sul patrimonio culturale.
Perchè, come sostiene Marianna Marcucci, co-founder di 2013 #Invasioni Digitali il «community engagement non è soltanto una serie di relazioni costruite su Facebook o Twitter, ma è nel racconto», ossia nella capacità di condividere conoscenze, esperienze, sensazioni.
Non basta avere un grande progetto digitale per fare conoscere un museo al mondo, bisogna fare in modo che i musei «diventino conversazioni, non più soltanto un luogo di conservazione».
Grazie agli invasori, e alla rete di Ambassador che lavorano in ogni regione italiana e all'estero, sono state organizzate oltre 1200 invasioni in tutta Italia e all'estero, coinvolgendo oltre 50.000 persone e costruendo delle partnership con le istituzioni.
Conoscere il proprio pubblico significa anche colmare le lacune tra comunicazione culturale e persone che ricevono questa comunicazione.
Un’esperienza interessante in questo senso è l’iniziativa «Se i quadri potessero parlare», una pagina Facebook creata nel 2013 da Stefano Guerrera, giovane pugliese di origine, romano di adozione.
L’idea nata per gioco è stata quella di promuovere le opere d’arte in modo divertente, dando voce ai personaggi immortalati in celebri dipinti con l’aggiunta di una didascalia in romanesco. I primi quadri sono stati «Il Bacio» di Francesco Hayez e «La dama con l’ermellino» di Leonardo Da Vinci, scelti perché, essendo famosissimi, avrebbero destato sorpresa.
Oggi la pagina conta un paio di milioni di seguaci, prevalentemente giovani di età compresa tra 18 e 24 anni, con un consistente numero di like, ben oltre 700 mila.
 
E’ evidente che queste esperienze, vissute tanto direttamente dalle istituzione museali quanto indirettamente tramite soggetti esterni, fanno ripensare al modo in cui debba essere raccontata l’arte e a come utilizzare i social media a tale scopo. La nuova era tecnologica ha prodotto un cambio di contesto con cui tutti devono mettersi in relazione: si comunica a basso costo, si elabora facilmente e si può memorizzare tutto.
Ma i reali fattori chiave di successo sono: la conoscenza dei propri pubblici, l’applicazione di strumenti di partecipazione e condivisione, lo studio di best practices di musei esteri, l’analisi costante dell’andamento del museo sui social media.
E per questo è necessario anche investire sul know how, far crescere persone dedicate che imparino i linguaggi contemporanei.
Insomma non basta essere sui social per promuovere il patrimonio culturale, occorre un approccio strategico.
 
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