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Come una fondazione può modificare il paesaggio

  • Pubblicato il: 15/06/2012 - 12:34
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI D'ORIGINE BANCARIA
Articolo a cura di: 
Marco Demarie
Marco Demarie

Seconda fondazione nazionale e prima sul territorio piemontese con oltre 5,5 miliardi di euro di patrimonio, la Compagnia di San Paolo sceglie di riflettere per il Rapporto Annuale su un tema trasversale, il paesaggio, ancora poco presente nelle politiche e nelle azioni degli enti filantropici per la crescita sociale. Una strategia che ha origini lontane (a partire dagli anni Novanta la Compagnia ha investito oltre 100 milioni di euro per la riqualificazione del centro storico di Torino: il Programma Musei, i Palazzi nobiliari, il Progetto Chiese, l’accordo con il Mibac per la rifunzionalizzazione della Galleria Sabauda e il Castello di Moncalieri, con l’obiettivo di «crescere in un territorio che cresce») e che prosegue con il neo-insediato Presidente Sergio Chiamparino che ha affermato che il suo mandato «sarà in continuità col predecessore Angelo Benessia».
 

 
Come definire una pratica del paesaggio in rapporto all'attività di una fondazione? Il paesaggio inteso come «bene comune», una di quelle risorse che beneficiano un'intera collettività, solidalmente responsabile nella sua preservazione e nel razionale utilizzo. Una costruzione sociale.
Per quanto possa suonare paradossale, il paesaggio è un «bene immateriale», anche se non si dà senza il suo precipitato materiale, o meglio una qualità emergente dello spazio fisico, frutto della composizione di innumerevoli azioni o astensioni dall'azione da parte dei suoi abitatori. La sua cura, pertanto, va al di là del regime della proprietà, privata e pubblica. Esso disvela la sua realtà di costruzione sociale e dipende dall'attitudine e dalle competenze interpretative dell'osservatore - il paesaggio è sempre «negli occhi di chi guarda». Proprio in quanto costruzione sociale, storica, il paesaggio è in continua trasformazione ed è tale anche quando rimane inalterato: l'apparente naturale permanenza dipende da decisioni di astensione e di manutenzione/conservazione. Infine il paesaggio è un valore (può essere un valore), ma non è un tabù: esso è dentro, e totalmente coinvolto, nella trasformazione della società e merita il più alto rispetto come risorsa a spesa irreversibile. Secondo quali linee operative si può allora intervenire (prudentemente)? Le esperienze della Compagnia di San Paolo possono essere organizzate intorno ad alcune chiavi: la conoscenza documentata, il paesaggio come componente della qualità territoriale/sociale, il rapporto con l’arte. Sullo sfondo, inoltre, è presente un'attenzione alla qualità paesaggistica anche come fattore di sviluppo economico. Nell'esperienza della Compagnia, il rapporto arte e paesaggio è stato il primo a maturare e a trovare applicazioni concrete. L'idea è semplice: considerare il bene non soltanto nel suo auto-contenimento, ma cogliere le legature filologiche e innovative per riaprire e migliorare il dialogo tra i diversi registri dello spazio storico, musealizzato o abitato. Passare dalle chiese ai sagrati, dai musei alle strade adiacenti, dagli interni agli esterni, dal separato al permeabile è un principio sempre più diffuso nella cultura dei beni storico-artistici, che si rivela particolarmente adeguato al caso italiano e ai suoi mille epicentri storicamente complessi e stratificati. Un esempio che ci piace riportare, tipico e atipico al tempo stesso, è il Giardino di sculture di Giuseppe Penone alla Reggia di Venaria e la sua capacità di interpretare un passato irrecuperabile connettendolo alla contemporaneità. Tutto ciò produce paesaggio dove la sua qualità diventa un mezzo e un obiettivo di ripristino o, quando necessario, di promozione, di qualità delle relazioni sociali e comunitarie. Il paesaggio - come l'architettura - non salveranno il mondo, ma il loro degrado può fare molto per affossarlo, mentre la loro cura può aiutare a costruire rapporti umani migliori, più vitali. Un'esperienza come il bando di azione integrata sui beni culturali e paesaggistici nelle valli di Lanzo, ci ha insegnato che lavorare per il recupero e la condivisione della memoria territorializzata può innescare energie cooperative, creative e generose. Infine, conosciamo il paesaggio? Quale documentazione possediamo della sua evoluzione nel tempo? Su quali basi intervenire? Per quanto sia ampia l'accumulazione di buoni dati sul paesaggio, né dal punto di vista del loro grado di copertura, né del loro aggiornamento, né della loro archiviazione e disponibilità d'uso un paese variegato come l'Italia può essere pienamente soddisfatto. In questo campo una fondazione può trovare un ruolo effettivo, aiutando il lavoro delle istituzioni preposte, come quelle di ricerca, o le iniziative della società civile locale e anche, quando se ne presenti l'occasione, tentare qualche sperimentazione. I progetti possono essere i più diversi, come le tecniche e le metodiche: importante è che costituiscano delle basi conoscitive durature e accessibili. Il progetto di campagna fotografica sul territorio langarolo, curato dal 2009 da Gabriele Basilico con il Centro Culturale Beppe Fenoglio di Murazzano (non a caso compartecipato anche da altre fondazioni piemontesi, come CRT e CRC) rappresenta un esempio evoluto e interessante, sulla scorta di pratiche culturali centrate sulla fotografia documentaristica che altrove, specialmente in Francia, hanno piena affermazione. Altrettanto si può dire del progetto di registrazione del paesaggio lineare «Torino-Milano e ritorno», tramite ripresa cinematografica continua dal treno.
Come bene comune, il paesaggio sembra porsi come oggetto d'azione particolarmente adeguato alle fondazioni. La Compagnia sta imparando a considerare paesaggi e contesti fisici sempre più come componenti essenziali delle sue politiche pro-sociali e di sviluppo. Rapporto arte-paesaggio, qualità sociale e qualità paesaggistica, conoscenza documentata rappresentano le tre dimensioni operative di una sensibilità che pervade, più o meno esplicitamente, il suo lavoro in tutti i campi.
 
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Marco Demarie è Responsabile del Centro Studi della Compagnia di San Paolo
 

(dal XII Rapporto Annuale Fondazioni)