Come inserire l’Arte nelle nostre vite?
Edu Arhat: educare all’arte di se stessi, una ricerca con un’esperienza interdisciplinare di mediazione culturale di Monica Moserle, edita da Albatros. Tornare a utilizzare le mani in modo creativo, sembra andare controcorrente rispetto a ciò che ora stiamo vivendo: l’era digitale. Con la tecnologia a “portata di mano” da quando si è nati, la capacità manipolativa è diminuita moltissimo, così come la capacità di una visione periferica. Usare le mani significa esplorare, imparare, comprendere o “afferrare” concetti. La mano è ciò che ci ha distinto più di ogni altra parte del corpo dagli altri esseri viventi, per la possibilità che ci offre di poter riflettere su noi stessi, e su ciò che facciamo. Ci torna così alla mente che le mani sono le grandi dimenticate della scuola italiana, senza- o con troppo pochi- laboratori, senza una didattica sostenuta da esperimenti, con un rendere esplicito il processo di osservazione di se stessi con l’arte.
Una tesi sperimentale di un Biennio specialistico di un’Accademia di Belle Arti diventa un libro: l’esperienza pilota di una studentessa che ha discusso la sua ricerca nel 2016, accompagnata da due professoresse dell’Accademia di Belle Arti di Verona, la prof. Marta Ciresa, docente del Laboratorio di Pratiche creative per l’infanzia, e la sottoscritta, docente di Pedagogia e didattica dell’arte e Didattica dei linguaggi artistici, è stata pubblicata recentemente. Di questo vogliamo parlare.
La cornice
Nel Biennio di Atelier Direction. Mediazione culturale dell’arte in Accademia di Belle Arti di Verona sono formati giovani che imparano a usare la mediazione culturale per fare da ponte a situazioni educative e formative, usando l’arte come leva strategica in campi diversi.
La mediazione con l’arte, che si studia in questo Biennio, è un’azione presente in molti contesti, non solo nel tradizionale campo educativo della scuola e del museo, ma anche nel mondo dell’ospedalizzazione o in quello della malattia mentale, nel mondo aziendale o in quello della pubblica amministrazione, arrivando a interagire con fiere o eventi temporanei per motivare il coinvolgimento di pubblici diversi. Anche attivando percorsi complessi e ricerche o indagini per riuscire a coinvolgere ad esempio i giovani, i coetanei degli studenti del Biennio, che però sono lontani dall’interesse nei confronti dell’arte e dell’artista, come si sta facendo con il progetto “What’s art for?” progettato con Fitzcarraldo, ArtVerona e Il Giornale dell’Arte.
La figura del mediatore culturale è un recente investimento dell’Accademia veronese, che da qualche anno ha aperto questo percorso magistrale che Alexander Langer aveva immaginato fondamentale- “costruttore di ponti, saltatore di muri, esploratore di frontiere”- in quel mondo in cambiamento che sapeva interpretare già negli anni Sessanta con grande lungimiranza.
Durante i due anni del percorso accademico gli studenti si mettono in gioco rispetto a insegnamenti teorici e campi laboratoriali diversi, tutti attraversati dalla comune esperienza con l’arte. E’ così che Monica Moserle, nel 2016, ha affrontato la sua idea di tesi: a partire da esperienze educative/formative con l’arte ha provato a innovare la ricerca personale, che si era orientata fortemente all’azione della guarigione energetica, che lei aveva sperimentato e praticato fuori dall’Accademia.
L’Accademia ha investito sulla novità della contaminazione e così è stata accolta la sfida della studentessa, che partita da studi di economia approda al diploma in Pittura e poi si specializza in Atelier Direction.
Ecco come nasce questa nuova idea che oggi viene offerta anche in questa recente pubblicazione, EDU ARHAT. EDUCARE ALL’ARTE DI SE’STESSI, per la casa editrice Albatros.
Ricerca interdisciplinare versus esperienza laboratoriale: dalla tesi alla pubblicazione.
Il progetto Edu Arhat fonda la sua costruzione su arte e sulla disciplina del Pranic Healing, che nasce dalla fusione di pratiche antichissime come la Medicina Tradizionale Cinese (chi kung medico e agopuntura), la Medicina Indiana (ayurveda e yoga) e altre metodologie, e consiste in una molteplicità di tecniche terapeutiche che utilizzano l’energia vitale e la meditazione quali strumenti di guarigione, sviluppo spirituale e purificazione. Lo stretto legame tra ricerca artistica e guarigione energetica è stato analizzato nel corso di una serie di laboratori creativi realizzati con la collaborazione di Riccardo Segattini, un Associated Pranic Healer e istruttore della suddetta disciplina.
I laboratori artistici progettati a quattro mani dovevano essere un punto di contatto con se stessi prima di tutto, per poi diventare una opportunità di condivisione tra genitori e figli, mettendo in campo, attraverso un progetto pilota, che ora sta proseguendo, esperienze laboratoriali offerte a un target formato da genitori e figli insieme. In tale visione progettuale mani, cuori e cervelli si sono riappacificati e collaborano per portare avanti il vero cambiamento che porta all’unica cosa non ancora ufficialmente insegnata: la Felicità. Di fatto, tornare ad utilizzare le mani in modo creativo, sembra andare controcorrente rispetto a ciò che ora stiamo vivendo: l’era digitale. Con la tecnologia a “portata di mano” da quando si è nati, la capacità manipolativa è diminuita moltissimo, così come la capacità di una visione periferica. Usare le mani significa esplorare, imparare, comprendere o “afferrare” concetti. La mano è ciò che ci ha distinto più di ogni altra parte del corpo dagli altri esseri viventi, per la possibilità che ci offre di poter riflettere su noi stessi, e su ciò che facciamo. Ci torna così alla mente che le mani sono le grandi dimenticate della scuola italiana, senza- o con troppo pochi- laboratori, senza una didattica sostenuta da esperimenti, con uno sbilanciamento piuttosto verso automatizzazioni e lavagne interattive che rendono virtuale ciò che un tempo era manuale.
Come inserire dunque l’arte all’interno delle nostre vite, per poterne beneficiare sotto tutti gli aspetti? Lavorando con coppie di genitori e figli, durante le esperienze laboratoriali, ci si rende conto che il tempo dedicato allo sviluppo delle attività manuali è vissuto come un obbligo: quello di dover completare un compito assegnato per casa, quello di dover terminare un lavoro iniziato a scuola o situazioni simili. Non è quasi mai vissuto come un momento di crescita, di sviluppo, di condivisione delle idee, in quanto l’attività creativa è percepita come di secondaria importanza, come un qualcosa di cui ci si deve occupare a scuola e negli spazi preposti, che necessita di materiali costosi, di tempo e di idee. Certamente, ci si rende conto che questo ambito di ricerca è ancora molto limitato, ma può fornire un quadro approssimativo di come possa essere la situazione nella maggioranza delle famiglie.
Nelle attività proposte dal percorso Edu Arhat si vuole rendere esplicito il processo di osservazione di se stessi attraverso l’Arte. Le tecniche spaziano dalla pittura con le dita, all’uso della china, dal colore a cera, al modellare la creta, dalla scrittura creativa fino al suminagashi (ndr la decorazione giapponese della carta con l’inchiostro). Il lavoro eseguito da ognuno diventa nella sua totalità, uno specchio attraverso il quale guardarsi liberamente e senza l’intermediazione di altri, che potrebbero modificare il vero significato che noi diamo al nostro stesso fare, in base al giudizio soggettivo. Questo metodo, necessita il momento del silenzio interiore e la creazione dell’osservatore interno, che anche in altri ambiti formativi vengono utilizzati per aiutare a prendere consapevolezza di sé e del proprio modo di agire, andando a sospendere l’identificazione con ciò che si emette, anche inconsapevolmente, per poter guardare e descrivere ciò che si osserva dentro sé, dandogli un nome, vedendolo in quanto tale, senza mettere alcun giudizio automatico o interpretazione, parlando con se stessi. Non da meno, viene dato grande valore alla diversità nella mediazione culturale ed artistica, ovvero come la combinazione di persone con esperienze diverse, diversi background e competenze diverse possa essere una chiave vincente e di arricchimento in un momento storico come quello in cui ci troviamo ora, fungendo da specchio per noi stessi. Avere punti di vista diversi innesca la creatività che porta alla risoluzione di problemi che sempre più spesso sono polisemici. Un altro aspetto fondamentale è che l’arte può essere un mezzo per rimettersi in contatto con il cosiddetto “bambino interiore”: per un adulto affrontare un laboratorio in cui si torna idealmente bambini per far fluire emozioni adulte, può essere di una qualche utilità nel processo di presa di consapevolezza di se stesso come olos. In questo caso si esce da parametri e ruoli convenzionali, seppur temporaneamente, prendendo in considerazione se stessi sia in quanto adulti che bambini “ritrovati”. Nelle discipline olistiche, centrale è il “guardarsi dentro” e lo sperimentare in prima persona: come può la pratica artistica essere una attività di completamento a questo processo trasformativo, incentrato sul proprio cammino personale?
Questa è la sfida di Monica Moserle e del progetto di educazione all’arte di sé stessi.
CHI E’ L’AUTRICE
Monica Moserle nasce a Verona nel 1987. Dopo aver frequentato la facoltà di Economia di Verona per tre anni, cambia di netto il percorso di studi, diplomandosi presso l’Accademia di Belle Arti di Verona in Pittura prima e Atelier Direction e Mediazione culturale dell’arte poi. Lavora nel campo che sta in mezzo ad arte, creatività e benessere olistico. Ha co-fondato una associazione di diffusione e pratica di alcune discipline orientali. A tal proposito è utile esplicitare cosa significhi EDU ARHAT, un acronimo ideato dalla dottoressa colombiana Ana Maria Vargas che ha inventato queste metodologie che l’associazione ha adattato all’ambiente italiano (www.eduarhat.com).
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