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Com’è possibile rompere la cristallizzazione nella gestione del patrimonio culturale e quali sono le carenze del sistema di regole in Italia?

  • Pubblicato il: 19/11/2012 - 10:25
Rubrica: 
STUDI E RICERCHE
Articolo a cura di: 
Maurizio Carmignani, Filippo Cavazzoni e Martha Friel
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Con il decreto «cresci-Italia» il governo ha deciso di innovare la forma giuridica della Pinacoteca di Brera. In occasione dell’ampliamento degli spazi e del riordino della sede espositiva, ha colto l’occasione per dare un nuovo assetto al Museo, trasformandolo in una fondazione di partecipazione. Tale modello non rappresenta una novità, essendo già stato applicato in altre situazioni. La sua prima adozione risale infatti al 2004, quando la veste giuridica del Museo delle Antichità Egizie è cambiata da museo statale a fondazione pubblico-privata.
Ma quali sono le attuali carenze del sistema di regole oggi presenti in Italia e come è possibile rompere l’attuale cristallizzazione nella gestione del patrimonio? I tentativi di innovazione realizzatisi in questi anni hanno contribuito a un avanzamento nelle modalità di gestione del nostro patrimonio culturale?
Di fondo sono mancati gli elementi stessi di flessibilità che consentono il dispiegarsi di «tentativi ed errori»» e quindi l’emergere di valide forme di valorizzazione delle singole istituzioni culturali. Il nodo centrale in merito alla governance del nostro patrimonio culturale sta nel ripensamento delle modalità del rapporto tra pubblico e privati, per trovare nuove strade utili a far uscire questi ultimi da un ruolo di marginalità e portarli a essere attori protagonisti in un sistema di gestione del patrimonio culturale più virtuoso ed economicamente sostenibile. Gli obiettivi di interesse pubblico legati alla natura stessa del patrimonio culturale vanno legati a dinamiche di maggiore economicità ed efficienza gestionale.
Da un punto di vista delle forme giuridiche le esperienze realizzatesi in Italia sono state più varie a livello locale (istituzione, azienda speciale, fondazione, ecc.), che nel caso dei beni culturali statali.
L’affidamento della gestione dei musei a un soggetto terzo può incorrere, schematizzando, in problematiche che afferiscono ad almeno quattro aspetti: il rapporto fra il proprietario del bene e l’ente gestore; il rapporto fra il soggetto preposto alla tutela e l’ente gestore; le fonti di finanziamento; la gestione del personale.
Per i beni di proprietà statale così come per quelli civici e provinciali la forma di gestione diretta è ancora oggi ampiamente la più diffusa. L’assetto di musei statali come la Pinacoteca di Brera è stabilito in base al regolamento di organizzazione del Ministero. Si tratta di strutture che operano con personale ministeriale, prive di autonomia organizzativa, contabile e finanziaria, sia di entrata sia di spesa. Parzialmente diversa è la situazione dei siti ricompresi in soprintendenze speciali, strumento istituito nel tentativo di dare maggiore peso e autonomia finanziaria ai poli espositivi più grandi ma che, in realtà, ha già mostrato molti limiti.
Differente è, invece, il caso della gestione indiretta e delle sedi museali rette da fondazioni di partecipazione. Le fondazioni di partecipazione sono soggetti formalmente privati. Possono prevedere la partecipazione di terzi, pubblici o privati no profit. Tale soluzione si pone, in un certo senso, a metà fra il modello associativo e quello fondazionale.
La tutela di competenza esclusiva dello Stato evidentemente rappresenta un altro nodo problematico perché riduce l’autonomia dell’ente gestore attraverso le imposizioni di soprintendenze e direzioni regionali. Le soprintendenze possono, infatti, imporre condizioni vincolanti nell’uso dei beni culturali. Ad esempio, possono stabilire obblighi, spesso molto onerosi, per la conservazione dei beni oppure proibire l’esposizione di beni artistici di valore con potenziali ricadute in termini di attrattività  per l’istituzione. La legislazione stessa pone poi divieti molto stringenti in merito alla disponibilità delle collezioni, come il divieto di alienazione di singoli oggetti artistici.
Ma le problematiche non si limitano solo a questi aspetti, investendo anche questioni riguardanti la gestione del personale dipendente e le forme di finanziamento.
Il costo del personale rappresenta infatti una voce importante del bilancio di tutti gli istituti d’arte e d’antichità. Adottare un sistema flessibile e che dia la possibilità per il management di compiere scelte in autonomia anche in questo ambito, è una condizione che determina, insieme ad altri fattori, il buon andamento di una istituzione culturale.
Infine, il quarto e ultimo aspetto problematico riguarda le fonti di entrata finanziaria. Le entrate proprie(biglietti, abbonamenti, ecc.) non consentono ai musei di sostenersi autonomamente. Di primaria importanza risulta quindi l’apporto dato dai privati anche in termini di mecenatismo e sponsorizzazioni.
Vale pertanto la pena chiedersi se non sia possibile compiere ulteriori passi in avanti, sia per i siti statali sia per quelli locali e provare a ricercare una vera e propria separazione fra ente proprietario (pubblico) ed ente gestore (privato). Pensando di ricomporre poi il rapporto fra soprintendenza (tutela) e gestore (valorizzazione) o con un apposito organo tecnico-scientifico e/o nello stesso consiglio di amministrazione, per tenere viva, costante e dialogante la collaborazione fra i due soggetti.
In un simile panorama un aspetto cardine è, ovviamente, quello delle modalità di selezione dei gestori, della scelta a monte dei loro requisiti e dei criteri di valutazione dei loro progetti.

© Riproduzione riservata

Estratto del paper «Quali forme di gestione per i musei italiani?», disponibile integralmente sul sito www.brunoleoni.it.

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