Che Arte si fa oggi in Italia
Autore/i:
Rubrica:
FONDAZIONI E ARTE CONTEMPORANEA
Articolo a cura di:
Cristina Casoli
Compie settantanni la Fondazione che il comune di Francavilla al Mare ha dedicato all’opera e alla memoria dell’artista Francesco Paolo Michetti, con l’omonimo premio per la giovane arte, tra i più longevi dopo la Biennale di Venezia. La 69ma edizione vede il ritorno come curatore del talent scout Renato Barilli. Dove sta andando la produzione artistica contemporanea in un’epoca no wave, senza tendenze dominanti? “C’è poca ricerca in Italia. I curatori hanno il terrore di sbagliare, non rischiano sui giovani, puntano su nomi omologati. L’arte ha invece bisogno di scommesse”. Assegnati i premi di acquisto agli artisti Matteo Montani e Lucia Veronesi.
Ha inaugurato a Francavilla al Mare, la sessantanovesima edizione del Premio Michetti- tra i primi a sorgere dopo la seconda guerra mondiale, “che aveva addensato sul Paese un cumulo di rovine, di disgrazie, di lutti”, come scriveva Marco Valsecchi nel 1966-. Il premio è promosso dall’omonima fondazione, costituita nel 1952, che dedica una mostra nel proprio Museo, il Mu.MI, fino al 30 settembre 2018.
Una storia lunga e intensa quella della Fondazione, ente partecipato dai Comuni di Francavilla, Tocco, Pescara, Chieti, dalla Presidenza del Consiglio Regionale e la Presidenza della Giunta Regionale della Regione Abruzzo. E storia lunga ha il suo premio Michetti. Nel tempo artisti italiani si confrontano con i fermenti di produzione artistica di altre nazioni, con artisti jugoslavi, bulgari, polacchi… Nel 1987 Achille Bonito Oliva apre “ai nuovi territori dell’arte” europea e americana: Twombly, Cabrera, Moses, Schifano, vincitore quell’anno del Premio. Si susseguono critici di chiara fama come Luciano Caramel, Gianni Romano, Angela Vettese, Stefano Zecchi, Maurizio Calvesi.
Nel 1992 Renato Barilli, grande talent scout, già docente di fenomenologia degli stili, ne è il curatore. Con lui arrivano al Premio Michetti i giovanissimi Mario Airò, Eva Marisaldi, Cuoghi e Corsello. Nel 2011 curava la 62ma edizione con una personale di Mattia Moreni, a suo avviso uno dei più grandi artisti del Dopo Guerra. Anche nell’edizione 2018 ritroviamo Barilli che sceglie come tema "Che arte fa oggi in Italia" per sottolineare che il “primo compito di un critico militante è fare emergere e dare un'indicazione al pubblico di cosa stia succedendo nella produzione artistica di un paese, in un momento libero da movimenti e tendenze dominanti”. E aggiunge “Questa no-wave ha portato l’arte a ri-sensibilizzarsi, si allontanano soluzioni “concettuali”, sì affida alla fotografia, ricompare in varie forme la “vecchia signora” pittura, anche con finalità decorative e con il fenomeno diffuso della “street art”. Barilli ha sempre creduto che la ricerca artistica si affidi a ritmi pendolari. Il premio si pone quindi l’obiettivo di documentare un’oscillazione verso esiti di ritrovata sensorialità, un pluri-verso di linguaggi personali così come interpretano gli artisti che hanno confermato la propria partecipazione al Premio.
“Quello spostarsi dell’attenzione dall’oggettivo al soggettivo, che porta gli artisti ad elaborare “un nuovo senso del mito che affiora dal profondo sino alle soglie della coscienza, e che è identificabile con la genesi stessa delle immagini, cioè col determinarsi di una realtà linguistica e simbolica. Una tendenza artistica che potremmo definire, con espressione ossimorica, ma proprio per questo carica di promesse e contraddizioni, slanci imprevedibili e spunti dialettici, realismo visionario, e che questa mostra vorrebbe documentare, individuandone le radici nelle opere di grandi pittori del ‘900, e gli sviluppi più recenti nel lavoro di artisti a tutt’oggi operativi, già maturi e molto noti o ancora emergenti, appartenenti alle ultime generazioni”.
Un forte ritorno alla pittura “che non cancella i fantasmi del reale, l’eterna ossessione della referenzialità, e dell’illusione ottica, ma li immerge nel magma vibrante e inarginabile dell’immaginario individuale, di una visione che è sguardo verso il reale, ma è sempre anche sogno, immaginazione, allucinazione”
Un’analogia che Renato Barilli trova nell’artista abruzzese Francesco Paolo Michetti, a cui è dedicato il Museo di Francavilla al Mare e in onore del quale settant’anni fa nasceva il Premio. “Michetti è infatti diventato famoso per le sue visioni rituali, mitiche e antropologiche di un Abruzzo senza tempo. Scavalcato il confine del secolo in cui era nato, il XIX, entra nel XX con opere in cui l’immagine, pur non perdendo la sua vocazione narrativa, si disarticola come sotto l’impulso di una forza visionaria che le conferisce straordinaria modernità. A monte di ciò, le ricerche di Michetti sulla fotografia, di cui paradossalmente l’artista mette in evidenza non l’aspetto di pura riproduzione meccanica del reale, ma quello misterioso e inquietante, che avrebbe affascinato anche futuristi eccentrici ed originali come Carlo Erba e Gerardo Dottori, e molti anni dopo anche Roland Barthes: la possibilità di cogliere l’essenza fantasmatica del reale, restituirci la realtà come fantasma, evanescente spettro di luce sottratto al tempo, eppure imbevuto di tempo, carrefour di epoche diverse, dissolvenza incrociata di corpi e oggetti. Una disarticolazione visionaria del reale, quella dell’ultimo Michetti, che in qualche modo investe anche i famosi paesaggi del conterraneo Michele Cascella, così estetizzanti e compiacenti, per certi aspetti, eppure pronti ad ammantarsi dell’aura di un’allucinazione, di un brulichio di atomi di materia-colore, come se l’artista avesse improvvisamente potuto gettare il suo sguardo negli abissi della materia.”
Sono 33 artisti gli artisti per la 69ma edizione, provenienti da tutto il paese, con un’età che non supera, fatte eccezioni i 40 anni, chiamati a dipingere la contemporaneità, come indica Barilli, una “nuova sensorialità”. Puntando alle selezioni delle ricognizioni precedenti come Officina Italia 2 (2011) e la Biennale Giovani 3(2016), Barilli ha fatto una sintesi “per dare una ulteriore possibilità ai giovani artisti”.
Tra questi Alex Bellan, Renzo Borella, Alvise Bittente, The Bounty Killers, Elena Brazzale, Lucilla Candeloro, Lorenzo Di Lucido, Elisabetta Di Maggio, Anna Galtarossa, Nicola Gobbetto, Elisa Ghioni, Paolo Gonzato, Andrea Grotto, Giorgio Guidi, Antonio Guiotto, Kensuke Koye, Federico Lanaro, Laurina Paperina, Lisa Lazzaretti, Marinangeli/Placucci, Cristiano Menchini, Matteo Montani, Emmanuele Panzarini, Chiara Pergola, Alessandro Roma, Giorgia Severi, Alberto Tadiello, T-Yong Chung, Adriano Valeri, Lucia Veronesi. Un’arte che, nel cinquantenario del ’68 e dell’arte povera, con il concettuale ha poco a che fare . La mostra presenta inoltre un omaggio all'artista abruzzese, scomparso di recente, l’iper-realista Domenico Colantoni.
L'allestimento della mostra è suddiviso in due sezioni ideali: la prima dedicata alle installazioni e sculture e la seconda al grande ritorno della pittura, quasi una al pessimismo dell'ultima fase di Michetti, che al termine della carriera abbandonò quasi completamente la pittura per dedicarsi alla fotografia. Nel 1898, dopo una stroncatura all’Expo di Parigi che rilevava la discontinuità, decretava coraggiosamente la morte della pittura, affermando “la fotografia è il futuro”.
Per la 69ma edizione, la giuria tecnico scientifica composta dai critici Guido Bartorelli, Guido Molinari, Gabriele Simongini e dal presidente della Fondazione Carlo Tatasciore, ha assegnato due premi acquisto, che andranno ad arricchire il patrimonio della Fondazione Michetti, agli artisti Matteo Montani(Roma, 1972) e Lucia Veronesi (Mantova, 1976)
Tatasciore, al primo mandato punta al rilancio della kermesse e presenta con l’occasione un nuovo allestimento al Mu.MI della collezione dell’ente. Curato da Rocco Sanbenedetto, l’allestimento sviluppa una lettura artistica e antropologica. Nella sala che ospita le grandi tele di Michetti "Le Serpi" e "Gli Storpi" (presentati all’Expo di Parigi nel 1898) è visibile un video curato da Poalo Cova, che illustra la fonte folkloristica di ispirazione sulla processione di San Domenico, i serpari e la lavorazione dell'opera da parte di Michetti. La scelta di Barilli va nella direzione dell’investimento sul futuro “C’è poca ricerca in Italia. I curatori hanno il terrore di sbagliare, non rischiano sui giovani, puntano su nomi omologati. L’arte ha invece bisogno di scommesse”.
www.fondazionemichetti.it
Una storia lunga e intensa quella della Fondazione, ente partecipato dai Comuni di Francavilla, Tocco, Pescara, Chieti, dalla Presidenza del Consiglio Regionale e la Presidenza della Giunta Regionale della Regione Abruzzo. E storia lunga ha il suo premio Michetti. Nel tempo artisti italiani si confrontano con i fermenti di produzione artistica di altre nazioni, con artisti jugoslavi, bulgari, polacchi… Nel 1987 Achille Bonito Oliva apre “ai nuovi territori dell’arte” europea e americana: Twombly, Cabrera, Moses, Schifano, vincitore quell’anno del Premio. Si susseguono critici di chiara fama come Luciano Caramel, Gianni Romano, Angela Vettese, Stefano Zecchi, Maurizio Calvesi.
Nel 1992 Renato Barilli, grande talent scout, già docente di fenomenologia degli stili, ne è il curatore. Con lui arrivano al Premio Michetti i giovanissimi Mario Airò, Eva Marisaldi, Cuoghi e Corsello. Nel 2011 curava la 62ma edizione con una personale di Mattia Moreni, a suo avviso uno dei più grandi artisti del Dopo Guerra. Anche nell’edizione 2018 ritroviamo Barilli che sceglie come tema "Che arte fa oggi in Italia" per sottolineare che il “primo compito di un critico militante è fare emergere e dare un'indicazione al pubblico di cosa stia succedendo nella produzione artistica di un paese, in un momento libero da movimenti e tendenze dominanti”. E aggiunge “Questa no-wave ha portato l’arte a ri-sensibilizzarsi, si allontanano soluzioni “concettuali”, sì affida alla fotografia, ricompare in varie forme la “vecchia signora” pittura, anche con finalità decorative e con il fenomeno diffuso della “street art”. Barilli ha sempre creduto che la ricerca artistica si affidi a ritmi pendolari. Il premio si pone quindi l’obiettivo di documentare un’oscillazione verso esiti di ritrovata sensorialità, un pluri-verso di linguaggi personali così come interpretano gli artisti che hanno confermato la propria partecipazione al Premio.
“Quello spostarsi dell’attenzione dall’oggettivo al soggettivo, che porta gli artisti ad elaborare “un nuovo senso del mito che affiora dal profondo sino alle soglie della coscienza, e che è identificabile con la genesi stessa delle immagini, cioè col determinarsi di una realtà linguistica e simbolica. Una tendenza artistica che potremmo definire, con espressione ossimorica, ma proprio per questo carica di promesse e contraddizioni, slanci imprevedibili e spunti dialettici, realismo visionario, e che questa mostra vorrebbe documentare, individuandone le radici nelle opere di grandi pittori del ‘900, e gli sviluppi più recenti nel lavoro di artisti a tutt’oggi operativi, già maturi e molto noti o ancora emergenti, appartenenti alle ultime generazioni”.
Un forte ritorno alla pittura “che non cancella i fantasmi del reale, l’eterna ossessione della referenzialità, e dell’illusione ottica, ma li immerge nel magma vibrante e inarginabile dell’immaginario individuale, di una visione che è sguardo verso il reale, ma è sempre anche sogno, immaginazione, allucinazione”
Un’analogia che Renato Barilli trova nell’artista abruzzese Francesco Paolo Michetti, a cui è dedicato il Museo di Francavilla al Mare e in onore del quale settant’anni fa nasceva il Premio. “Michetti è infatti diventato famoso per le sue visioni rituali, mitiche e antropologiche di un Abruzzo senza tempo. Scavalcato il confine del secolo in cui era nato, il XIX, entra nel XX con opere in cui l’immagine, pur non perdendo la sua vocazione narrativa, si disarticola come sotto l’impulso di una forza visionaria che le conferisce straordinaria modernità. A monte di ciò, le ricerche di Michetti sulla fotografia, di cui paradossalmente l’artista mette in evidenza non l’aspetto di pura riproduzione meccanica del reale, ma quello misterioso e inquietante, che avrebbe affascinato anche futuristi eccentrici ed originali come Carlo Erba e Gerardo Dottori, e molti anni dopo anche Roland Barthes: la possibilità di cogliere l’essenza fantasmatica del reale, restituirci la realtà come fantasma, evanescente spettro di luce sottratto al tempo, eppure imbevuto di tempo, carrefour di epoche diverse, dissolvenza incrociata di corpi e oggetti. Una disarticolazione visionaria del reale, quella dell’ultimo Michetti, che in qualche modo investe anche i famosi paesaggi del conterraneo Michele Cascella, così estetizzanti e compiacenti, per certi aspetti, eppure pronti ad ammantarsi dell’aura di un’allucinazione, di un brulichio di atomi di materia-colore, come se l’artista avesse improvvisamente potuto gettare il suo sguardo negli abissi della materia.”
Sono 33 artisti gli artisti per la 69ma edizione, provenienti da tutto il paese, con un’età che non supera, fatte eccezioni i 40 anni, chiamati a dipingere la contemporaneità, come indica Barilli, una “nuova sensorialità”. Puntando alle selezioni delle ricognizioni precedenti come Officina Italia 2 (2011) e la Biennale Giovani 3(2016), Barilli ha fatto una sintesi “per dare una ulteriore possibilità ai giovani artisti”.
Tra questi Alex Bellan, Renzo Borella, Alvise Bittente, The Bounty Killers, Elena Brazzale, Lucilla Candeloro, Lorenzo Di Lucido, Elisabetta Di Maggio, Anna Galtarossa, Nicola Gobbetto, Elisa Ghioni, Paolo Gonzato, Andrea Grotto, Giorgio Guidi, Antonio Guiotto, Kensuke Koye, Federico Lanaro, Laurina Paperina, Lisa Lazzaretti, Marinangeli/Placucci, Cristiano Menchini, Matteo Montani, Emmanuele Panzarini, Chiara Pergola, Alessandro Roma, Giorgia Severi, Alberto Tadiello, T-Yong Chung, Adriano Valeri, Lucia Veronesi. Un’arte che, nel cinquantenario del ’68 e dell’arte povera, con il concettuale ha poco a che fare . La mostra presenta inoltre un omaggio all'artista abruzzese, scomparso di recente, l’iper-realista Domenico Colantoni.
L'allestimento della mostra è suddiviso in due sezioni ideali: la prima dedicata alle installazioni e sculture e la seconda al grande ritorno della pittura, quasi una al pessimismo dell'ultima fase di Michetti, che al termine della carriera abbandonò quasi completamente la pittura per dedicarsi alla fotografia. Nel 1898, dopo una stroncatura all’Expo di Parigi che rilevava la discontinuità, decretava coraggiosamente la morte della pittura, affermando “la fotografia è il futuro”.
Per la 69ma edizione, la giuria tecnico scientifica composta dai critici Guido Bartorelli, Guido Molinari, Gabriele Simongini e dal presidente della Fondazione Carlo Tatasciore, ha assegnato due premi acquisto, che andranno ad arricchire il patrimonio della Fondazione Michetti, agli artisti Matteo Montani(Roma, 1972) e Lucia Veronesi (Mantova, 1976)
Tatasciore, al primo mandato punta al rilancio della kermesse e presenta con l’occasione un nuovo allestimento al Mu.MI della collezione dell’ente. Curato da Rocco Sanbenedetto, l’allestimento sviluppa una lettura artistica e antropologica. Nella sala che ospita le grandi tele di Michetti "Le Serpi" e "Gli Storpi" (presentati all’Expo di Parigi nel 1898) è visibile un video curato da Poalo Cova, che illustra la fonte folkloristica di ispirazione sulla processione di San Domenico, i serpari e la lavorazione dell'opera da parte di Michetti. La scelta di Barilli va nella direzione dell’investimento sul futuro “C’è poca ricerca in Italia. I curatori hanno il terrore di sbagliare, non rischiano sui giovani, puntano su nomi omologati. L’arte ha invece bisogno di scommesse”.
www.fondazionemichetti.it
Ph: Lucia Veronesi- La stanza addosso #1