Capitale culturale: investimenti, patrimonio, valore
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DOVE OSA L'INNOVAZIONE
Articolo a cura di:
Massimiliano Zane
Grandi quantità di denaro pubblico e privato sono spesi ogni anno per la “cultura” nelle grandi città di tutto il mondo. Tuttavia, nonostante la rilevanza di tali capitali investiti, la conoscenza della loro portata e del loro concreto impatto urbano rimane in qualche modo limitata. In questo senso il World Cities Culture Finance 2017 del World Cities Culture Forum ci aiuta a fare chiarezza e ci mostra come la cultura sia sempre più un capitale sociale da valorizzare e un elemento fondamentale del “successo” delle grandi città a ogni latitudine.
Ogni anno a Parigi 3,3 miliardi di dollari di fondi pubblici sono dedicati alla “cultura”. Ma la capitale francese non è la sola, anche a Mosca e Londra il peso degli investimenti in “cultura” non sono troppo lontani, ricevendo rispettivamente 2,4 e 1,6 miliardi di dollari. Un filo d'oro che lega la cultura a tutti gli aspetti della pianificazione urbana e della politica sociale e territoriale in città in ogni angolo del globo. E in Italia?
Il World Cities Culture Report 2015, stilato dal World Cities Culture Forum, aveva già mostrato come la percezione della cultura stesse evolvendo attestando l’intero settore e le sue molteplici sfaccettature, sempre più quale elemento fondamentale del successo delle grandi città. Questo perché il “capitale creativo” si rileva, consente di sviluppare una politica pubblica che oltre che basarsi sul proprio capitale fisso, di opere e architetture, riesce ad attivare e orientare quel capitale sociale frammentato e straordinario che vive nelle nostre città.
Il report consisteva principalmente in interviste e coinvolgeva artisti, rappresentanti della società civile, imprenditori e politici. Venivano chiesti punti di vista indipendenti su opportunità e difficoltà con cui le città si confrontavano quotidianamente e su come la “cultura” avrebbe potuto aiutare le amministrazioni locali ad affrontarle. I pareri ricevuti hanno indicato che, su scala “globale”, le principali città del mondo potevano godere di una crescita costante anche, se non soprattutto, grazie alla “cultura”. Un settore che aveva giocato, ed oggi gioca sempre più, un ruolo da protagonista nel continuo sviluppo urbano, sociale ed anche economico attestandosi tra i fattori principali della ripresa, passata e futura.
Inteso sia come settore di per sé, che attraverso il sostegno che la costellazione culturale è capace di dare all'innovazione ed al cosiddetto “soft power” che è stata in grado di generare, ciò che si evince nel report è che il settore culturale e creativo, se integrato in politiche urbane lungimiranti, ha concretamente aiutato intere aree urbane (nelle città mappate) ad affrontare una vasta gamma di sfide. Su tutte l'integrazione di nuove comunità ed il miglioramento della percezione comune degli spazi pubblici.
A onor del vero tra le pieghe delle varie testimonianze, si rileva anche qualche criticità. In più occasioni sono emerse serie preoccupazioni riguardo alcune conseguenze negative di questa particolare attenzione verso la “cultura” intesa come cardine della controtendenza economica. Alcune riguardano il crearsi di infrastrutture sovrapposte, spesso in conflitto; di disuguaglianze sociali di accessibilità che si sono acuite in aree prima più omogenee, a causa dallo spostamento di flussi economici prima assenti; o come il rischio di omogeneizzazione culturale spinta da necessità di “richiamo”. Inoltre, il successo economico di questi nuovi hub culturali mondiali pare possa rendere le grandi città “inospitali” per artisti locali e piccoli produttori culturali.
In generale, non ci sono né conferme né smentite univoche riguardo queste esternalità negative. Questo principalmente perché il variegato mondo della produzione culturale “diffusa” è endemicamente complesso da mappare ed in continua mutazione. Ciò rende difficoltoso ogni confronto diretto e trasversale, anche a distanza di breve tempo. Dati come le ricadute dirette ed indirette di attività culturali, o il coinvolgimento e l’interesse per il patrimonio culturale; o l'importanza ed il “valore” percepito e che gli viene attribuito e gli ostacoli all'accesso ed alla fruizione; o ancora la percezione d’importanza personale e dei valori a cui viene legato e l'impatto, reale e percepito, del patrimonio sul turismo e l'occupazione, sono solo alcuni degli indici più fluttuanti e “critici” di ogni analisi che riguardi il settore e la sua filiera. In questo senso, sia a livello locale che globale, necessariamente servirà lavorare molto nel prossimo futuro, soprattutto per definire nuovi confini che per focalizzarne i parametri di rilevazione.
Quel che è certo, comunque, è che, in un'epoca di capitale fisso sprecato e di capitale finanziario scarso, la valorizzazione del capitale sociale che la “cultura” è in grado di diffondere sul territorio, oggi come non mai, è una sfida necessaria per il governo delle nostre città.
In continuità con quanto detto finora e con il precedente report, il World Cities Culture Finance 2017, è uno studio comparativo globale che dettaglia analiticamente ciò che nel 2015 è emerso in termini aggregati.
I dati che il Culture Finance rileva hanno un orientamento specificatamente economico ed esaminano nel dettaglio quanto viene speso in “cultura” nelle principali città del mondo. Partendo “da chi spende”, fino a “dove finisce il denaro investito”, il report offre un quadro chiaro ed esaustivo di un paesaggio finanziario sempre più complesso.
La relazione propone un'analisi sia dalle singole città che comparativa, comprendendo i profili dettagliati del panorama finanziario culturale di: Amsterdam, Bruxelles, Istanbul, Londra, Los Angeles, Mosca, New York, Parigi, San Francisco, Seoul, Shanghai, Shenzhen, Stoccolma, Sydney, Tokyo e Toronto. E l'Italia? NP.
Alcuni dei risultati più significativi vedono le città cinesi investire sempre più in forme culturali nuove e più commerciali, in particolare nelle industrie creative; che nel mondo oltre 1/3 di tutti i finanziamenti della cultura è fornito dal governo locale, mentre nelle città degli Stati Uniti il finanziamento culturale è dominato dai privati; che al di fuori degli USA, ad eccezione di Tokyo, nessun'altra città ha più del 19% delle risorse provenienti da fonti private; che i “singoli individui” dominano la donazione privata alla cultura nei paesi anglosassoni, mentre le “corporazioni” dominano il dono privato in Asia; e che il finanziamento pubblico indiretto, inclusi gli sgravi fiscali e gli incentivi fiscali, sta crescendo di importanza.
Ciò che emerge in queste tabelle e numeri sottolinea ancora una volta quanto un investimento corretto al fine di implementare il valore aggiunto culturale — dato dalla creazione artistica, letteraria, audiovisiva e architettonica; dal lavoro creativo, dall'artigianato al folklore; dal patrimonio archeologico, storico, religioso ed etnografico fino ai dialetti, alla musica, agli alimenti ed alla gastronomia; o ancora dalle specificità paesaggistiche e naturali fino alle conoscenze e i saperi tradizionali, o il know how e le tradizioni viventi, ecc. — contribuisca a costruire e promuovere nuovi concetti di riprogettazione non solo dell’io personale ma anche degli spazi pubblici fisici (placemaking) e della capacità stessa delle comunità di apprezzarli ed interpretarli attraverso una viva partecipazione.
Dati importanti su cui riflettere e da cui trarre idee e preziosi insegnamenti per il futuro su come e perchè rafforzare il senso di appartenenza ad uno spazio condiviso sia una prospettiva da perseguire con determinazione. Perché in un mondo globalizzato e ricco di conflitti sempre più acuti, il patrimonio culturale si presenta come una risorsa ineguagliabile ed essenziale per la comprensione di una collettività umana composta di innumerevoli contesti culturali e ambientali; che svolge un ruolo di primo piano nella lotta contro la povertà e l'esclusione sociale in quanto fonte di crescita economica e coesione, di sviluppo personale e del senso comune degli individui; in cui e grazie al quale è possibile mostrare la capacità dell’essere umano di esprimersi e comprendersi nei modi più differenti.
E per quel che riguarda l'Italia? Sfortunatamente in questo report “globale” non vi è alcuna rappresentanza del paese che si fregia di possedere i 2/3 del patrimonio culturale mondiale. E questo è, forse più di tutto, il dato su cui dovremmo riflettere con maggiore attenzione.
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