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A Bologna i Capolavori della Collezione Giovanardi

  • Pubblicato il: 16/06/2017 - 19:26
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI D'ORIGINE BANCARIA
Articolo a cura di: 
Roberta Bolelli

Una delle collezioni più ricche e qualitativamente rilevanti dell'arte italiana del Novecento come rappresentazione dello straordinario momento storico e culturale del secondo dopoguerra in Italia
 


Bologna sta sviluppando un interessante rapporto con l’attualità e le tradizioni del mecenatismo culturale. Ne è eloquente testimonianza la mostra Costruire il Novecento. Capolavori della Collezione Giovanardi - promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e da Genus Bononiae. Musei nella Città, curata da Silvia Evangelisti - che espone nella sua interezza a Palazzo Fava, fino al 25 giugno prossimo, la Collezione di Augusto e Francesca Giovanardi, raccolta nell'immediato secondo dopoguerra dalla passione per la pittura del Novecento italiano e per l’impegno sociale dell’illustre scienziato, docente di Igiene nell'Università di Milano. Come osserva Silvia Evangelisti «È questa la natura del raccogliere opere d’arte di Augusto e Francesca Giovanardi; è, la loro, una storia di amicizie, di affinità culturali, di frequentazioni dirette degli artisti e dei galleristi».
La Collezione infatti riflette e rappresenta uno straordinario momento storico e culturale che, nella Milano e nell’Italia appena uscite dal dramma della guerra, vide imprenditori e personalità della società italiana, in particolare milanesi e torinesi, dedicare il proprio impegno all'arte e alla cultura, non solo per passione ma anche per finalità etiche e sociali. E’ d’obbligo ricordare in questo quadro il contributo di Gianni Mattioli, Riccardo Jucker, Emilio Jesi, Antonio Boschi, Lamberto Vitali, le cui Collezioni sono oggi a vario titolo divenute pubbliche proprio a seguito di lasciti e comodati a musei pubblici della parte più rappresentativa delle loro raccolte, come espressione di un particolare sentimento di responsabilità verso la propria comunità. Ma ci sono anche collegamenti con la cultura bolognese, sia per le origini emiliano-romagnole di Augusto Giovanardi, sia per gli artisti che hanno alimentato la sua passione di collezionista, in primis Giorgio Morandi e di Osvaldo Licini, giovani compagni di studio presso l'Accademia di Belle Arti di Bologna, divenuti protagonisti della pittura italiana del Novecento.
E in effetti la Collezione Giovanardi è oggi tra le collezioni più ricche e qualitativamente rilevanti dell'arte italiana del secolo scorso: novanta dipinti realizzati dai migliori pittori italiani, attivi tra le due guerre mondiali, risultato straordinario di trent'anni di ricerca e di un'attenta selezione delle opere degli artisti. Non a caso essa è vincolata dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e per quasi 20 anni (dal 1997 al 2015), grazie alla concessione in comodato, ha costituito il nucleo principale delle opere d’arte al Museo MART di Rovereto.
Dopo la scomparsa di Augusto Giovanardi (nel 2005 a 101 anni) la Collezione è curata dalla figlia Paola e dalla nipote Cristiana Curti Aspesi e, concluso il comodato al MART, ora avrà una gestione libera con l’obiettivo di assumere una valenza pubblica e non privata, come strumento di conoscenza e diffusione del Novecento italiano attraverso i vari filoni in cui essa si articola. Ed è particolarmente significativo, «per i legami della famiglia con la città» e per la tenacia del Presidente di Genus Bononiae Fabio Alberto Roversi-Monaco, che la Collezione venga presentata integralmente a Bologna., del cui ambiente culturale hanno fatto parte alcuni degli artisti al centro della raccolta. In precedenza solo altre due volte, in circa 20 anni, essa è stata esposta nella sua interezza: nel 1998 a inizio collaborazione con il MART e nel 2005 a Rovereto nella nuova sede museale progettata da Mario Botta.
Ha preso così forma un racconto originale sui principali snodi della pittura italiana del Novecento, in un percorso culturale che attraversa la prima metà del secolo scorso e riflette una visione complessiva (artistica, storica, sociale). La novità di questo approccio è sottolineato da Silvia Evangelisti nel Catalogo: «In questa occasione si è cercato di dare un taglio un po’ diverso dalla pura esposizione delle opere, adottando un criterio critico che si articola, per così dire, in macrotemi individuati all’interno della raccolta: il rapporto tra Osvaldo Licini e Giorgio Morandi, pittori amatissimi da Giovanardi; la passione per la pittura “costruttiva” di artisti come Sironi, Campigli e Carrà, e l’apertura verso il linguaggio meno formalmente definito di artisti che, alla fine degli anni Trenta, sentirono come la solidità dei volumi e la fermezza della forma stesse perdendo forza, quasi presentendo una mutazione dei tempi che, di lì a poco, avrebbe dato vita alla pittura informale
Ne derivano le tre sezioni in cui è articolata la Mostra: dal rapporto tra Licini e Morandi al rapporto tra pittura ed architettura nell'arte italiana tra le due guerre alla dissoluzione della forma nella pittura degli anni trenta. Per completezza di visione, accanto alle tre sezioni una piccola area con alcune opere plastiche del Novecento (Arturo Martini, Giacomo Manzù, Fausto Melotti e Lucio Fontana) tratte dalla raccolta di Genus Bononiae.
In particolare nella prima dedicata alle storie parallele e controverse di Giorgio Morandi e Osvaldo Licini è forte il collegamento con Bologna e il suo ambiente culturale, nel cui ambito si svilupparono le esperienze di questi artisti tra i più importanti maestri del ‘900. Amici nella giovinezza, "nemici" nella maturità. Si conoscono all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove studiano accanto a Mario e Severo Pozzati, Giovanni Romagnoli, Mario Tozzi e Antonio Sant'Elia. Condividono in quegli anni idee e pittura, sono protagonisti della esposizione "futurista" di un sol giorno tenutasi all'Hotel Baglioni tra il 21 e il 22 marzo 1914. Da questo rapporto giovanile il racconto della Mostra si dispiega confrontando le esperienze e le scelte dei due Maestri via via divergenti: Morandi mantiene una fondamentale unità e misura, Licini si libera progressivamente dai rapporti naturalistici per aprirsi all'astrattismo durante gli anni Trenta. Dopo la guerra la divaricazione si fa ancora più profonda: Morandi rimane legato alla sua città e ad una tradizionale vita “borghese” mentre Licini è esempio di anticonformismo, attratto dall’Europa e dalle sue nuove tendenze artistiche, soprattutto in seguito ai soggiorni parigini durante i quali stringe amicizia con Amedeo Modigliani ed entra in contatto con l’avanguardia internazionale.
Per usare ancora le parole di Silvia Evangelisti «La collezione diviene così non una semplice raccolta di oggetti, ma una raccolta di memorie, emozioni, sensazioni, sguardi; l’arte crea dipendenza. È questo potere dell’opera d’arte che conquista il collezionista “passionale».

 
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