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Autonomia operistica

  • Pubblicato il: 30/03/2014 - 11:51
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Michele Trimarchi

Sul palcoscenico, in fondo, le cose sono più semplici: il tenore ama il soprano, ma il baritono non vuole.
Dietro le quinte e nelle stanze ministeriali la trama è ben più fitta e intricata, e spesso non la si riesce a dipanare come in un libretto. Un tempo si chiamavano teatri d’opera, poi la smania nominalistica che attanaglia il nostro Paese li ha ribattezzati enti lirici e fondazioni musicali, ne ha irreggimentato ogni azione garantendone un finanziamento magari generoso, ma certo statico, e adesso – in tempore diluvii – ne fa oscillare il pendolo tra decreti, interventi tampone, norme straordinarie e nuove zavorre amministrative. Un feuilleton, più che un melodramma.
L’opera merita autonomia? Certamente sì. Ma l’autonomia è un’opportunità da associare a nuove responsabilità che non possono manifestarsi in regime di tutela. Il dilemma è chiaro: intanto non si capisce perché mai teatri diversi nell’esperienza, nel bacino territoriale, nelle dimensioni e negli orientamenti culturali debbano essere regolamentati in modo rigidamente uniforme; inoltre si dovrebbe prendere atto che i mercati culturali stanno evolvendosi in modo radicale e che le opzioni di autonomia e sostenibilità per l’opera sono molto più estese e incisive di quanto non potesse apparire negli anni Novanta; infine si dovrebbe incoraggiare l’espressione dei talenti e delle professionalità che pure vi albergano, e che finora si esprimono poco a causa di una normativa legnosa.
Deregolamentare non significa sottrarre sostegno o tutela; al contrario, potrebbe consentire la costruzione di strutture creative e produttive, di strategie gestionali, di connessioni artistiche e culturali in un modo che risulti pertinente a ciascun singolo teatro, superando l’illusione che la cultura si debba produrre e scambiare secondo modelli fissi e uniformi. Le risorse di ogni teatro d’opera potrebbero, in questo modo, esprimere il proprio valore combinando l’universalità dell’offerta con la site-specificity della gestione, dialogando con la città, stabilendo alleanze cosmopolite, percorrendo le vie fertile della cross-medialità che può aprire nuovi mercati.
Il traffico cittadino funziona quando il vigile urbano non è più necessario. Le puntate di questa soap-opera fatte da interventi d’emergenza rischiano di inaridire il sistema della lirica trasformandone la poesia in burocrazia. Farà anche rima, ma non ci piace.

Michele Trimarchi è Professore di Analisi Economica del Diritto all’Università di Catanzaro

da Tafter, edizione on line, 27 marzo 2014