La scuola che vorrei
Autore/i:
Rubrica:
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di:
Fabio Viola
“Siamo proprio sicuri che nel 2017 il mondo della scuola, del lavoro, le istituzioni pubbliche siano realmente progettate e disegnate per consentire alle nuove generazioni di esprimersi al meglio?”. Riceviamo una riflessione di Fabio Viola, esperto in gamification e audience engagement, nella giornata di inaugurazione della nuova sede della Fondazione Agnelli che da dieci anni studia l’istruzione, come chiave del progresso economico e sociale di un paese.
“Il nostro sistema scolastico soffre di gravi ritardi. Difficile rimediare a breve. Tra le aree in cui è più urgente agire: la scuola media, oggi senza missione, l’istruzione professionale, che non dà una formazione efficace a chi non se la sente di intraprendere studi teorici, l’università, lontana dal numero e dalla qualità dei laureati che servirebbero (..) realtà che stentano sul fronte della didattica ancorata a schemi cattedratici, quando nel resto del mondo avanzato si moltiplicano le modalità di apprendimento. La Fondazione Agnelli li sperimenterà con le scuole, nella sua nuova sede, nella sua sede laboratorio”. La scuola è la nuova frontiera. Così Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli-istituto indipendente di ricerca, presenta oggi a 50 anni dalla sua nascita, il rinnovamento avveniristico del proprio quartier generale firmato Carlo Ratti, un esempio di architettura digitale di 6500 mq, attenta all’ecologia che ospita anche uno spazio di co-working affidato a Talent Garden, per 350 innovatori, in mezzo a opere di Olafur Eliasson e Blair Thurman, con la Scuola di alta formazione al management e il Centro per l’innovazione del Politecnico, con collaborazioni con Google, Comau e altre imprese. . “Un palazzo aperto alla città per discutere di scuola, imprenditorialità, innovazione”. Una visione nuova di apprendimento, urgente.
Proprio oggi riceviamo una riflessione sulla scuola da parte di una delle nostre firme che abita la frontiera dell’innovazione. Fabio Viola, esperto di gamification, autore di un recente libro che è già successo “L’arte del coinvolgimento”.
Ho un amico, di nome Umberto, che attualmente frequenta il quarto anno di un istituto secondario superiore in Toscana. I voti in pagella ed i giudizi di alcuni dei suoi professori lasciano passare una immagine alquanto desolante del suo rendimento scolastico. Ha insufficienze piene in un paio di materie, ha perso già un anno e, onestamente, pochi sarebbero disposti a scommettere su una sua riuscita a livello universitario.
Venni casualmente a sapere delle sue performance in classe dopo oltre un anno di frequentazione quando la mamma, estremamente preoccupata, mi confidò questa situazione. Feci enorme fatica a crederci, la reazione iniziale fu di sorpresa e credetti si trattasse di uno scherzo. Come era possibile che lo stesso ragazzo che avevo conosciuto ed ammirato per le sue doti in un altro contesto potesse avere un rendimento così fallimentare a scuola?
E’ doveroso un passo indietro, dovete sapere che i videogiochi prima ancora di essere il mio lavoro da ormai quindici anni continuano ad essere una mia grande passione. Quando posso mi piace cooperare e competere online con altri giocatori sparsi per il mondo, e proprio in una di queste circostanze conobbi Umberto. Lui era il capo di un “clan” in un gioco online, a lui spettava coordinare le mansioni di quasi un centinaio di persone di ogni età ed estrazione sociale. Pianificava le missioni, delineava le strategie, studiava le nuove funzionalità del prodotto e ce le riassumeva, risolveva costantemente i problemi del gruppo comunicando in tempo reale in italiano ed inglese. Quando appresi la sua età rimasi alquanto sorpreso, a 17 anni aveva sviluppato una serie di capacità e competenze ambitissime in ambito aziendale.
Ma come è possibile che la stessa persona dalle 8 alle 13 fatichi enormemente a mettere in mostra le proprie capacità e creatività e poi dalle 18 alle 23, per giunta pagando, indossi i panni del leader in un sistema complesso?
Io credo che sia arrivato il momento di mettere in discussione una larga parte della nostra quotidianità. Siamo proprio sicuri che nel 2017 il mondo della scuola, del lavoro, le istituzioni pubbliche siano realmente progettate e disegnate per consentire alle nuove generazioni di esprimersi al meglio?
Tra le due antitetiche esperienze portate avanti da Umberto credo vi sia un punto di rottura, più di altri, la capacità di generare coinvolgimento. Come molti di voi sanno ho recentemente dedicato il mio ultimo libro – L’arte del Coinvolgimento edito da Hoepli - , scritto insieme all’amico Vincenzo Idone Cassone, alla centralità del coinvolgimento come motore pulsante delle relazioni sociali ed economiche del XXI secolo. Un libro basato sull’idea di mondo in cui si attui il passaggio dal “dover fare” al “voler fare”. Nel nostro racconto la scuola rappresenta il dovere, il videogioco il volere. Senza partecipazione emotiva e coinvolgimento diventa molto più complesso e faticoso immagazzinare le informazioni nella memoria a lungo termine. D’altronde basta fermarsi a osservare le espressioni facciali ed il body language di persone nell’atto di giocare e confrontarle con le espressioni di studenti sparsi per il mondo al termine di una giornata scolastica, è plasticamente evidente un corto circuito in atto.
Non sto suggerendo di sostituire la scuola con i videogiochi. E’ l’amore per l’istituzione scolastica che mi spinge a pungolarla, convinto che sia possibile ribaltare logiche di trasmissione del sapere inveterate da secoli e non più allineate alle aspettative, necessità e stati di animo delle nuove generazioni.
Purtroppo i dati ci restituiscono una situazione allarmante, secondo numerosi studi abbiamo circa 2/3 dei nostri studenti, ma percentuali similari si riscontrano anche nel mondo del lavoro, sono poco o scarsamente coinvolti in classe. Questo non è un dato da sottovalutare, soprattutto perché è in aumento generazione dopo generazione. Senza dilungarmi troppo, non è questa la sede, vorrei provare a inquadrare a grandi linee chi sono coloro che stanno minando dalle fondamenta un sistema che nasce durante la rivoluzione industriale del settecento e subisce gli ultimi scossoni all’inizio del secolo scorso.
La generazione Z, i nati dopo il 2000, presenta fortissimi distacchi rispetto ai propri padri e nonni. Sono la prima generazione ad essere nata dopo la terza rivoluzione industriale di cui internet è l’emblema. Hanno accesso in tempo reale a tutte le informazioni, prodotti ed esperienze: stampanti 3d, netflix, youtube, social network, kindle. Per una disamina più ragionata leggasi l’articolo “Quale Cultura per i Nativi Digitali”
Sono esposti in 24 ore ad una marea di stimoli che mio nonno non ha ricevuto in tutta la sua esistenza. Una generazione predisposta al multitasking, abituata ad esser premiata per la sola partecipazione, che si aspetta a una azione un feedback velocissimo, molto meno incline alla competizione e maggiormente propensa alla creazione, costantemente bisognosa di esser stimolata e sorpresa, con una curva media di attenzione di 8 secondi persino inferiore a quella di un pesciolino rosso.
Milioni di giovani e giovanissimi estremamente complessi da comprendere e decriptare attraverso le lenti di generazioni come quelle dei baby boomers (nati tra la seconda guerra mondiale ed il 1960) e generazione X (1960-1980).
Per dare una idea della criticità da affrontare, negli ultimi 45 anni il tasso di suicidi è aumentato del 60% su scala mondiale, con un incremento notevole nei giovanissimi, ed al contempo il quoziente intellettivo è cresciuto di quindici punti. Probabilmente un tipo di intelligenza meno creativa nel senso puro del termine, meno capacità di immaginare ma una amplificazione spasmodica della velocità e capacità di connettere i punti da parte delle nostre sinapsi. In fondo rispecchia il passaggio da generazioni cresciute in un mondo largamente testuale, che necessità di immaginazione per dar forme e colori a ciò che si legge, ad altre cresciute in un mondo quasi esclusivamente basato su foto, video, testi intrecciati velocemente tra di loro.
Non è un caso se per le ultime due generazioni, qui includiamo anche la Y composta dai nati tra il 1980 ed il 2000, i videogiochi siano diventati, per tempo e soldi spesi, il media di riferimento superando libri, cinema e musica. La spiegazione è molto semplice, creano esperienze largamente allineate alle aspettative delle persone di cui sopra. Non voglio scaldare ulteriormente gli animi, ma sono profondamente convinto che i videogiochi non siano solo creatività ma anche cultura; ma questa è un’altra storia!
Comprendere i cambiamenti generazionali in atto è, secondo me, una conditio sine qua non per riprogettare l’offerta formativa. Noi “adulti” abbiamo il compito di creare un mondo a misura delle nuove generazioni, e se le nuove generazioni presentano accelerazioni nei cambiamenti dobbiamo strutturarci per muoverci alla stessa velocità.
Le scuole non dovrebbero più guardare a loro stesse, ma pensare a Youtube o ad Angry Birds come modelli e rivali nell'attenzione, temporale e formativa delle nuove generazioni. Se questo può apparire ai più un triplo salto carpiato nel vuoto, basta guardare ai modelli formativi che negli ultimi 20 anni hanno ottenuto i migliori risultati, ad esempio nei test PISA, a livello mondiale. Tra questi sicuramente il caso della Finlandia, dove le flipped classroom, l’inizio della scuola obbligatoria posticipata a 7 anni e una costante inclusione del gioco sin dall’asilo come momento di crescita dell’individuo concorrono a corroborare una idea diversa di scuola.
Quello che auspico è che si ritorni a scoprire il gioco come elemento centrale di crescita dell’individuo. In fondo non è quello che accade a tutti noi nei primi anni di vita quando giocare è la nostra occupazione? Impariamo larga parte di quello che conosciamo del mondo giocando, esplorando liberamente, divertendoci senza alcuna imposizione alcuna o obiettivo. E poi misteriosamente accade che il gioco scompare totalmente dalla esperienza scolastica, inizia ad assumere addirittura una accezione negativa con frasi del tipo “questo non è un gioco” o ancora “smettila di giocare”. Negli ultimi anni qualcosa sta fortunatamente cambiando ed è collegata, in parte, allo straordinario movimento di animatori digitali, insegnanti ed operatori che stanno introducendo il mondo dello scratch ed altre modalità di interazione e partecipazione attiva. Tra i tanti, non posso non citare il lavoro di evangelizzazione e sperimentazione condotto dal prof. Alessandro Bogliolo dell’Università di Urbino!
Questa lunga, ma per me doverosa premessa resterebbe vuota senza alcune chiavi pratiche di azione per migliorare da domani le nostre classi ed il rapporto con i nostri studenti.
Alcune priorità:
- Al centro di ogni processo di cambiamento restano le risorse umane, gli insegnati! La passione, al pari delle competenze, dovrebbe essere uno dei criteri che guidano all’assunzione e alla valorizzazione del corpo docente. Una persona appassionata, ed essa stessa coinvolta, diventa contagiosa. Si pensi al professore americano Barry White Jr., insegnante di inglese in una problematica scuola “elementare americana”. All’inizio di ogni giornata scolastica, saluta individualmente ogni studente con uno saluto personalizzato che hanno progettato insieme. Questo semplice gesto ha contribuito non solo ad una ampia empatia studente/insegnante ma anche, e soprattutto, ad un innalzamento del rendimento scolastico nelle sue classi. Consiglio di guardare la testimonianza video!
- Il luogo in cui avviene l’apprendimento deve essere concepito intorno agli studenti dando loro modo di poter cooperare, muoversi, esplorare, essere autonomi, cambiare posizione. L’impatto sull’apprendimento, secondo molti studi, arriva al 25%. Spazi ampi, colorati, possibilità di sedersi su sedie, divanetti o palle mediche, vetrate che creino una continuità tra esterno ed interno, spazi ricreativi comuni e laboratori sempre accessibili.
- Infine la tecnologia, il digitale visto non più come una alternativa alla componente fisica ma piuttosto come due facce della stessa medaglia, l’individuo. E qui penso alla straordinaria esperienza che stiamo portando avanti con la cooperativa Formatica per ristrutturare la gestione della classe e la relazione studenti (drop out)/insegnanti utilizzando un software come Classcraft. O ancora gli esperimenti portati avanti utilizzando strumenti che abbracciano l’arco fisico e digitale come Bloxels fino ad arrivare a sofisticazioni come i curricula scolastici interamente game based, come ci ha mostrato il prof. Ananth Pai (vedi video).
Priorità a portata di mano per essere cittadini del tempo presente.
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