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L'anno che verrà

  • Pubblicato il: 23/01/2017 - 09:51
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OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Redazione

Il 2016 sarà ricordato come l’anno dei muri e della vittoria di Donald Trump, denso di nubi “illiberali” nel mondo e in Europa. Lascia la sensazione del “salto d’epoca”. L’America dichiara politiche protezioniste e isolazioniste. La neo-premier inglese Theresa May, scioglie i dubbi su quella che sarà una hard Brexit, senza appello: il Regno Unito penserà soprattutto a sé stesso. Il nuovo anno, decisivo per la stessa idea di Europa, ha il rebus delle prossime scadenze politiche elettorali che coinvolgono numerosi Stati membri con un peso complessivo di un terzo del Pil del Contenente. Lo sguardo deve essere sempre più costantemente strabico, verso la Turchia, il Medio Oriente, la Cina, l’Africa, verso tensioni, integralismi e migrazioni incessanti di coloro che oggi chiamiamo profughi, disincantati in una società dell’incertezza che alimenta il populismo. Le diseguaglianze sono in aumento con otto super paperoni censiti da Forbes che hanno la stessa ricchezza di metà dell’Umanità più povera del globo. In questo scenario abbiamo chiesto a persone di diversa estrazione e professione, che operano con e nel mondo della Cultura, di puntare il dito sui temi chiave. Emerge un racconto alto, di chi vuole guardare la foresta e nel contempo vedere il singolo albero. Un invito alla Cultura, a confrontarsi con i grandi temi tracciati dall’Agenda 2030 dello sviluppo sostenibile. Ai rischi di implosione, di fratture nell’Europa, di perdita dei diritti, della democrazia per la quale molti, a lungo, a duro prezzo hanno lottato. La risposta non può che essere culturale. Emerge il coraggio richiesto dai tempi: sostenere il rilancio, non limitarci a progetti di sopravvivenza, superando la dicotomia pubblico-privato, profit e non profit, per guardare al bene comune.
Hanno espresso il loro pensiero Massimo Minini - uno dei più autorevole galleristi italiani e Presidente della Fondazione Musei Civici di Brescia, Eva Frapiccini-artista, vive tra Torino e Leeds, Rosaria Mencarelli - Direttrice del Museo Nazionale del Ducato di Spoleto, Ciccio Mannino - operatore culturale con una formazione ed esperienze internazionali che ha scelto di tornare nella sua Sicilia, Catania gestisce uno dei luoghi identitari più vitali per la comunità e i giovani, Bertram Niessen- sociologo urbano, Marco Enrico Giacomelli- giornalista, Claudio Bocci-Direttore di FederCulture, Franco Milella- esperto di sviluppo locale e politiche di coesione europea, Paolo Castelnovi- architetto paesaggista, Maria Rebecca Ballestra-artista impegnata in progetti partecipati, in più continenti, sui temi della sostenibilità, Guido Geninatti - Presidente di Federsolidarietà-Confcooperative Piemonte. Li ringraziamo.

QUALE SARÀ LA SFIDA PIÙ PRESSANTE NEL 2017?
La sfida è la risposta culturale al principale problema che l'Europa sta affrontando: le migrazioni. (Bertram Niessen), sfida su cui l'Europa si gioca la faccia. La Comunità Europea riuscirà a essere coesa almeno sui diritti umani, che è in fondo il motivo per cui è nata nel dopoguerra? (Eva Frapiccini).

Occorre lavorare per arginare l'estremizzazioni identitarie, l’incapacità di dialogo con il “diverso” e la perdita di una “visione” politica su scala globale (Maria Rebecca Ballestra).

Dobbiamo comprendere che il mondo è cambiato, che abbiamo seminato male nel resto del pianeta e che ora stiamo raccogliendo i frutti amari, risultato della nostra distrazione, o peggio della nostra azione. Che il nostro malessere è parente del malessere di chi fugge. Che il problema è la distribuzione di ricchezza. Che la soluzione non è la guerra tra poveri, ma la lotta alla povertà. L’accoglienza e la solidarietà sono necessarie, ma vanno accompagnate da politiche sociali forti e coraggiose, evidenti e immediate che consolidino i popoli che accolgono. Non si può chiedere solidarietà a chi non la riceve, ma la si può attivare e facilitare se si avviano, ora, strumenti di equità sociale nei paesi europei.
Quindi aiuto alla comprensione, aiuto alla socializzazione, politiche sociali coraggiose orientate alla stabilità, alle opportunità, ai servizi essenziali. Il coraggio è rinunciare ad altro, mediante patti sociali con chi guida le economie forti di un Paese: un patto sociale “verso l’alto” (perché “verso il basso” si è raggiunto quasi il fondo) convincendo gruppi finanziari e imprenditoriali che il rischio dell’implosione è forte (Ciccio Mannino).

Scrivo nel giorno in cui l’Istat diffonde i dati relativi all’occupazione nel nostro Paese a novembre 2016. Non può che rallegrare il fatto che gli over 50 stiano ricominciando a nutrire fondate speranze di futuro: abbiamo ancora negli occhi i volti degli “esodati” e quel senso di fallimento che comunicavano, all’indomani della cosiddetta Riforma Fornero. E tuttavia, in quel che sembra un devastante rovescio della medaglia, la disoccupazione giovanile raggiunge la percentuale del 39,4. Pleonastico, banale, lapalissiano: questa deve essere la sfida da vincere nell’anno appena iniziato, da qualunque settore e punto di vista si guardi la questione (Marco Enrico Giacomelli).

Il lavoro ai giovani è la sfida: sono la popolazione che più di tutte sta pagando in questi anni. Una sfida porta ad azioni volte a ridurre la disuguaglianza sociale e al mantenimento della coesione sociale (Guido Geninatti).
Vanno attestate le capacità diffuse di decisione e di consapevolezza che la Democrazia richiede costantemente e che la rappresentazione della Politica per leader mediatici di fatto trascura o addirittura ostacola. L’occasione del referendum ha offerto all’Italia uno spunto per pensare bene in questa direzione, quando in altri paesi leader di Democrazia sta avvenendo il contrario. Ma la decisione e la consapevolezza derivano dal partecipare al funzionamento del paese attraverso il lavoro, intendendo per lavoro non un’occupazione con reddito, ma un’attività che dia un prodotto utile alla società: anche su questa precisazione del termine Lavoro, posto alla base della Costituzione, va aperta una sfida altrimenti non si trovano le forze per vincere quella della Democrazia (Paolo Castelnovi).

La Cultura va messa realmente al centro della vita sociale e delle comunità e i musei debbono accentuare il loro ruolo di centri di cultura attiva e partecipata. Vanno potenziate e rese più snelle le norme che regolano le attività del Terzo Settore, facendone un vero protagonista dello sviluppo sociale e culturale (Rosaria Mencarelli).

Occorre una nuova e diversa collaborazione pubblico privato e lavorare sulla costruzione di una immagine più forte dell'arte italiana, così importante nel XX secolo. A Milano, come ora a Roma con la bellissima risistemazione della Gnam, occorre un grande museo dell'arte italiana che non potrà non essere a Palazzo Reale (Massimo Minini).

Sin dall’inizio, il nuovo millennio ha perso il fantasmagorico sistema di aspettative e speranze che la fatidica data “2000” portava con sé. Alla fine il millenium bug si è verificato ed è riposto nelle nostre coscienze e, soprattutto, nel pensiero delle classi dirigenti dei Paesi più sviluppati. All’ineluttabile destino liberale della “Fine della Storia” alla Fukuyama sembra più opportuno sostituire il concetto della “Imperscrutabilità della Storia Contemporanea”, perché, a ben vedere, più si spacciano come universali i diritti umani, e perciò stesso esportabili e superiori a qualsiasi processo storico, più nell’intero pianeta sono trattati come feticci per occultare verità di senso contrario. Persino nei Paesi di questa parte di mondo che chiamiamo Occidente, non si fa più caso alla condizione in cui versa il 30% circa della popolazione sulla soglia dell’esclusione definitiva e della povertà.
Il concetto stesso di Progresso si è perduto in questo inizio di nuovo millennio: è assunto come lineare e disteso sul binario degli specialismi tecnologici. Ma cosa è la conoscenza specialistica se perde la sua radice nella comprensione dei problemi di interesse generale? Cosa è la conoscenza se non è rivolta a costruire nuove visioni del mondo? Cosa è lo specialismo cieco e sordo di fronte alle sfide del futuro? In fin dei conti: cosa è la Conoscenza senza Cultura?
Il 2016 sarà ricordato come l’anno dei Muri e della vittoria di Trump.
In entrambi i casi, le elites che governano Paesi e processi decisivi ne hanno piena responsabilità. In questo contesto si inscrive la crisi della stessa idea di Europa. Tanto è diffuso e dominante il pensiero della Politica confusa come “amministrazione delle compatibilità” piuttosto che come leva di emancipazione e cambiamento, in grado di coinvolgere i destini individuali e collettivi della maggioranza della popolazione, più si diffonde l’idea che si possa fare a meno della Politica tout court e dell’Europa come prospettiva.
Il 2016 è stato denso di nubi “illiberali” nel mondo ed in Europa. Occorrerà prima o poi comprendere quanto di questo “maltempo” non sia una malattia in sé, ma solo il sintomo di una malattia più grave, ovvero l’ancoraggio della democrazia alla ricerca, vana, di compatibilità con i processi più irrazionali della globalizzazione che risultano “escludenti” di per sé e sostituiscono il valore del consumo a quello della “cittadinanza e dei diritti universali” e che un giorno potrebbero fare a meno della “democrazia”.
La sfida più pressante nel 2017 è iniziare ad invertire questa rotta avventata, una rotta da naufragio sicuro.
Ricordarsi che non bisogna lasciare indietro nessuno, siano essi immigrati in cerca di fuga dalla guerra e dalla violenza che “cittadini senza cittadinanza” perché silenziosamente stati esclusi dai diritti “universali” della salute, del lavoro, dell’istruzione. Che occorre dare senso alla nostra Storia e che la Cultura non debba elitariamente riservarsi a pochi ma debba tornare ad essere la sostanza del progresso e della Conoscenza, magari restituendo la centralità che hanno avuto la Cultura e la Conoscenza “non utili”, cioè non direttamente vocate strumentalmente alla “competizione” nell’arena economica globale, nella costruzione delle democrazie nel mondo. Ecco la sfida del 2017 la chiamerei “Nessuno escluso” (Franco Milella).

Si fa sempre più strada la consapevolezza che la Cultura sia un fattore ‘costitutivo’ (e non aggiuntivo) dello sviluppo e che l’anello mancante tra tutela e valorizzazione del patrimonio culturale risieda nella sua gestione. Le numerose evidenze dimostrano come il processo di crescita dei territori, sia sotto il profilo economico che sociale, abbia delle precise costanti: da un lato, una visione consapevole delle determinanti dello sviluppo da parte delle autorità amministrative che si concretizzi in una governance forte, in grado di attivare un virtuoso partenariato pubblico-privato e, dall’altro, la capacità innovare il percorso di valorizzazione attraverso l’affidamento delle risorse culturali a organizzazioni di diritto privato promosse dalla mano pubblica (fondazioni, associazioni, consorzi, ecc.) con finalità di utilità sociale. Potremmo definire questo profilo di impresa come Impresa Culturale chiamata a gestire professionalmente con finalità pubbliche le risorse culturali del territorio, mentre potremmo definire Impresa Creativa l’impresa orientata al profitto che utilizza legittimamente la creatività ispirata dall’input culturale. L’esperienza ci dice che laddove prospera l’Impresa Culturale si determina un ecosistema favorevole allo sviluppo dell’Impresa Creativa. In tale prospettiva, nel 2017, Federculture e altre ‘filiere’ di soggetti che gestiscono le risorse culturali (Agis, sistema delle cooperative, Terzo Settore) intendono promuovere la Conferenza Nazionale dell’Impresa Culturale che aiuti anche l’introduzione di una specifica disciplina legislativa.
In tale contesto, sarà rilevante estendere la consapevolezza della necessità di un percorso di sviluppo a base culturale centrato sulla necessità di una nuova qualità progettuale integrata e partecipata che veda nell’infrastruttura gestionale la piattaforma organizzativa di creazione di valore del patrimonio culturale (Claudio Bocci).
  

QUALI EVENTI POLITICI, A SUO AVVISO, AVRANNO UN IMPATTO SULLA SUA AREA DI INTERVENTO?
Questo è un anno decisivo per la stessa idea di Europa e tutti leggono, dopo la Brexit, con apprensione il rebus delle prossime scadenze politiche elettorali che coinvolgono numerosi Stati membri. Francamente, le Politiche di Coesione europea, istituzionalmente deputate a ridurre le diseguaglianze tra i Paesi membri sembrano esse stesse dei feticci poichè non solo queste diseguaglianze non si riducono ma aumentano addirittura su scala continentale ed internazionale (Franco Milella).

Vivendo tra l'Italia e l'Inghilterra, guardo con attenzione all'evoluzione della Brexit e dei movimenti anti-europeisti. L'Italia vive uno psicodramma chiamato legge elettorale, che nessuno ha interesse a risolvere a palazzo. Piu' si tentenna piu' risorse si sprecano, umane ed economiche (Eva Frapiccini).

Sicuramente dalle elezioni politiche francesi, dipenderà se uno dei modelli di politica culturale più importanti di sempre si sgretolerà, e se dovremmo iniziare a pensare a qualcosa comeFrexit” (Bertram Niessen).

È semplicemente ipocrita, oltre che insensato e smentito dalla Storia, pensare che la Cultura sia svincolata dalla Politica. Va da sé, dunque, che le elezioni politiche dei prossimi mesi avranno un impatto importante sul settore. Così come le hanno avute – e non entro nel merito delle valutazioni – le elezioni amministrative appena trascorse, in particolare sulla gestione di città come Torino, Milano, Roma e Napoli. (Marco Enrico Giacomelli)
La stabilità politica è un aiuto allo sviluppo dell'arte. Si parla da tanto di un Italian Council. Facciamolo! (Massimo Minini).

C’è il rischio dell’eclisse dell’Europa nello scenario sia ideale che operativo, di chi lavora nei servizi per il welfare e lo sviluppo, con conseguente ritorno dello Stato e dei suoi metodi. Perciò, molto più di ora (che già ci pare troppo), si rifarebbero tappeti rossi per la sciatteria, il clientelismo, l’inutilità, abbassando in generale del livello di qualità dei progetti (il livello richiesto da Bruxelles è tale da penalizzare già oggi l’Italia che non ci riesce). D’altra parte la capacità di progettazione pubblica si riduce: il pensionamento della generazione dei funzionari fondatori delle regioni e della dirigenza dello Stato cresciuta ai tempi di Ciampi e di Prodi, senza aver curato la successione, porta la macchina pubblica a una fragilità da crisi, con conseguenti effetti nefasti sulle “ingenue” nuove leve di amministratori post-rottamazione (come si sta vedendo ogni giorno nella cultura, nell’assistenza sociale, e in particolare nell’accoglienza) (Paolo Castelnovi).

Serve una politica sociale integrata (ibrida) in cui chi finanzia sa che esce dalla dimensione episodica e temporanea, per diventare un seminatore intelligente in un ecosistema che cresce. Nei prossimi mesi, i cittadini e le loro organizzazioni (sempre più di base) devono pressare Governi (non solo nazionali) per avviare processi di sostegno ibrido a piani e progetti di inversione di rotta: non uno sportello informativo o solo una comunità di accoglienza, ma spazi e pratiche di comunità dove l’altro (il migrante, la donna, l’abitante della periferia, l’anziano) sia presentato e accompagnato all’inclusione, ad essere amico, e non nemico. Dovranno essere mesi di ricucitura, sia istituzionale che sociale (Ciccio Mannino).

Occorre più coraggio, meno burocrazia (il 30% del budget europeo annuale dei Fondi Strutturali è riservato ai “controlli” e a spese tecniche ed amministrative).
Ma soprattutto occorre rifondare un’idea di Europa basata sulle diversità piuttosto che sui grundrisse ordoliberisti. E occorre che la Cultura ancora di più ne sia il collante. Ci sono in Europa segnali positivi. Dopo vent’anni di scimmiottamento di “modelli economicisti” di importazione, la Cultura, anche grazie all’impegno profuso dalla delegazione italiana presso l’UE e dal lavoro grandioso di Silvia Costa, ha ri-assunto un suo peso specifico, non più legato a ruoli ancillari allo sviluppo economico turistico. Un importante contributo lo ha dato sicuramente anche la nuova consapevolezza che la Cultura e la Creatività sono di per sé un valore economico strategico riassunto nel paradigma delle “Industrie culturali e creative”. Quando sarà recuperato anche il valore “culturale” della Cultura, come valore non solo identitario delle nazioni, ma dei processi di innovazione ed emersione del talento e fautore di società inclusive ed aperte, il processo di reincardinamento delle nostre società europee sarà riavviato e la Cultura assumerà il ruolo che le spetta in Europa. Ma occorre ancora un grande lavoro e ci sono purtroppo molti rischi sul suo successo (Franco Milella).

La ‘Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società’, meglio nota come ‘Convenzione di Faro (che prende il nome dalla città portoghese in cui fu approvata nel 2005) è un documento programmatico rilevante i cui effetti non sono ancora pienamente dispiegati. Con il riconoscimento che il diritto all’eredità culturale è, in primo luogo, il diritto di ogni cittadino a partecipare alla vita culturale, la Convenzione di Faro innova radicalmente l’approccio al patrimonio culturale e al suo uso sostenibile destinandolo allo sviluppo umano e alla qualità della vita. La firma italiana, avvenuta nel febbraio 2013, attende ora la ratifica (che viene data per imminente) da parte del Parlamento. Si tratterà, poi, come spesso accade in Italia, di non arrestarsi alle pure affermazioni di principio e dare cogenza operativa alla reale partecipazione dei cittadini e alla necessaria e innovativa progettualità in campo culturale. A tal fine, Federculture ha messo a punto il ‘Cantiere di Progettazione’, una metodologia di progettazione integrata e partecipata che ha, appunto, nella gestione delle risorse culturali il suo punto di caduta (Claudio Bocci). 

Attendiamo la conclusione dell iter di riforma del Terzo settore e interventi in ambito delle politiche attive del lavoro e della lotta alla povertà (Guido Geninatti).

 
QUALE LINEA DI AZIONE DIVENTERÀ PIÙ IMPORTANTE NEL 2017?
Vale il detto post votum omne animal triste est. Per qualche mese si griderà di meno, meno twitter, meno media ossessivi. E’ un’occasione da non perdere per mostrare le capacità di incidenza sulla qualità della vita di tutti di chi lavora tra pubblico e privato, senza vantare speranze di risultati eclatanti, ma consolidando prassi realmente operative, coinvolgenti persone interessate. E’ una nebulosa quasi invisibile, offuscata dagli strepiti della politica mediatica, ma anche debole per la voce flebile, per il localismo o la settorialismo dei gruppi di lavoro, poco comunicanti tra loro e con il mondo. Quindi la linea di azione: dare voce e fare emergere soggetti aggregati, reti di imprese culturali, sociali, e dei servizi dove sia evidente il ruolo della intersettorialità e dell’integrazione in termini di efficienza e di efficacia per la qualità dei servizi che si erogano. E’ il modo per fare emergere un nuovo criterio di valore, in cui diventa chiaro per tutti che il vantaggio collettivo portato (la qualità dei servizi) è parte della sostenibilità economica di ciascuna impresa. Le imprese sul web dimostrano che quando un servizio diventa conveniente per tutti gli investimenti si trovano, indipendentemente dalla tinta di chi governa (Paolo Castelnovi).

Occorre riconoscere che paesi come l’Italia hanno bisogno di un new deal per contrastare povertà, disgregazione e “fascismi”, porterebbe a comprendere le opportunità di costruire un welfare ibrido (e dentro esso welfare culturale). E’ una difficile presa di coscienza, perché costerebbe ai paesi europei un cambio di rotta rispetto a politiche di apertura ad economie sempre più aggressive, basate su delocalizzazione, precarizzazione, espulsione dai processi produttivi, impoverimento, privatizzazioni e gentrificazione. Una politica di new deal potrebbe influire positivamente in direzione coesiva, una modalità strategica verso quella coesione sociale che l’UE chiede. Una politica di precarizzazione dei rapporti di lavoro si trasformerà in precarizzazione maggiore dei rapporti sociali, producendo divisioni e conflitti. L’economicismo che emerge in tempi di crisi è assai rischioso per i Governi che lo accettano come inevitabile (nell’istruzione, nella cultura, nei servizi sociali) (Ciccio Mannino).

Se la sfida è quella del lavoro giovanile, una linea d’intervento importante, sempre più importante, concerne il fenomeno del brain drain. Nel settore culturale – un esempio fra tanti – si assiste a una vera e propria emorragia delle figure più interessanti, lucide, propositive. E di converso non si assiste, se non in numeri assai risicati, a un fenomeno complementare di “in”. Stante il fatto che la circolazione delle persone e delle loro menti è necessaria e auspicabile, occorre lavorare seriamente sia al rendere l’“out” una scelta e non una necessità, sia alla costruzione delle condizioni atte a generare un movimento attrattivo (e non è impossibile, come dimostrato dal numero importante di “stranieri” fra i venti direttori dei grandi poli museali nominati dal ministro Franceschini) (Marco Enrico Giacomelli).

Concentrarsi sul sostegno all'immagine di un ristretto gruppo di artisti importanti italiani nel XX secolo. Preparare una grande mostra itinerante con 50 nomi e cento capolavori che circoli nei musei del mondo x 5 anni, finanziata. Naturalmente con un curatore d'eccezione, possibilmente non italiano che abbia grandi relazioni con i musei del mondo. Norman Rosenthal (che é libero), oppure Obrist ( che é impegnato) pagati bene, con  un anno di tempo per scegliere i nomi, le opere, i contatti. Poi si parte. Niente Ministero. Niente Regioni. Cinque musei italiani gestiscono l'impresa: Castello di Rivoli, Triennale, Gnam, Madre, Mart (Massimo Minini).

Puntare sul welfare culturale (Rosaria Mencarelli).

La Politica deve essere fondativa e generativa di opportunità e non solo amministrazione condominiale, anche se di un condominio complesso (ma quale non lo è?...). La capacità di ascolto e innovazione dei “decisori”, in uno scenario così delicato, appare determinante anche per l’immediato futuro. Questa attenzione differente, vocata alla sperimentazione e alla fiducia, piuttosto che al controllo preventivo e alle compatibilità, appare ancora più decisiva in un Paese come l’Italia che stenta, da sempre, nella definizione di Politiche pubbliche appropriate. Nello specifico della Cultura come fondamento concorrente al successo nei processi di sviluppo a varia scala, occorrono molte cose. Tra queste, di certo, una linea di azione fortemente orientata a garantire accessibilità ai fattori culturali, alle attività culturali, al consumo e alla produzione culturale ed una capacità di sostenere i soggetti che ne sono attori (Franco Milella).

Con la ratifica da parte del Parlamento Europeo della Comunicazione della Commissione “Verso un approccio integrato al patrimonio culturale per l’Europa” prende forma un indirizzo di policy ormai non più eludibile che pone la Cultura al centro di un processo interdisciplinare in grado favorire la crescita sociale ed economica dei territori. In questa direzione Federculture ha proposto la costituzione di una sorta di Comitato Interministeriale per la politica economica Cultura, Turismo, Industrie Creative di cui facciano parte oltre, al Mibact, le molte deleghe interconnesse: Sviluppo Economico, Infrastrutture, Esteri, Istruzione e Ricerca, Risorse Agricole, Ambiente, Lavoro e Politiche Sociali (Claudio Bocci).

Occorre lo sviluppo di una economia maggiormente inclusiva dov'è l'impresa sociale possa esprimere pienamente il proprio potenziale nel paradigma della economia civile (Guido Geninatti).
 

QUALE MODALITÀ D’INTERVENTO VA PRIVILEGIATA?
Vanno costruiti solidi legami internazionli sia per le organizzazioni di base che per quelle di secondo livello (Bertram Niessen).

Occorre creare sempre di più progetti collaborativi, interdisciplinari e orizzontali che possano permettere un dialogo transnazionale su temi di grande urgenza e utilizzare l'arte come territorio neutro in cui costruire dialoghi, immaginare nuovi modelli di sviluppo e soprattutto per discutere le prospettive e le modalità del nostro modo “di fare civiltà” (Maria Rebecca Ballestra).

Le Istituzioni sono lente nel capire le soluzioni. In Grecia e in Germania varie iniziative dal basso hanno dimostrato che ci sono modi per dare dignità umana a chi ne ha più bisogno. Gli attivisti europei hanno iniziato a occupare strutture in disuso, cinema, hotel, ex stazioni ferroviarie. Perché la gente deve dormire in tenda, congelare e vivere di stenti quando ci sono luoghi abbandonati all'usura? Il tessuto di impegno civile italiano traumatizzato da alcuni eventi (G8 di Genova), si è dissolto e le nuove generazioni sono cresciute senza poter condividere esperienze di scambio sociale e cooperativo. In Italia siamo in balìa del populismo più che altrove (Eva Frapiccini).

Il sostegno all'innovazione sociale va trasformato facendone una "questione di Stato" e curando con attenzione il controllo sugli impatti reali, abbandonando l’economicismo della sostenibilità, pur verificando che non si tratti di rigurgiti di sperpero di denaro (pubblico o privato). La finanza d’impatto è molto interessante da questo punto di vista. Quindi, definire a livello nazionale metodi di analisi (osservatori) e indicatori di impatto condivisi, da applicare alle politiche, ai piani strategici e ai progetti, così da chiedere a chi applica di lavorare (anche su piccoli segmenti) dotandosi di visione ampia. Vanno sostenuti progetti di rilancio, non di sopravvivenza e va avviare un percorso di riconoscimento del concetto e delle politiche di welfare culturale, come base per disseminare consapevolezza, benessere, conoscenza. (Ciccio Mannino)
Potremmo interrompere il patetico inseguimento, destinato fatalmente all’insuccesso, di modelli “sviluppisti” che forse attecchiscono in Paesi nei quali è avvenuta, un paio di secoli fa, una rivoluzione borghese che in Italia non si è mai verificata. Un approccio lucido e civile alla decrescita sarebbe una strada da percorrere, anche soltanto per comprendere quali orizzonti ci porterebbe alla vista, per poi decidere se ci aggradano o meno (Marco Enrico Giacomelli).

Sarà vincente puntare su azioni che sviluppino l'Empowerment delle organizzazioni e delle persone, il sostegno alle persone, ma anche alle reti di terzo settore. Inoltre andranno promosse modalità di lavoro che facilitino le collaborazioni e le contaminazioni tra imprese sociali e ordinarie, come maggiori interazioni tra politiche sociali, del lavoro, della formazione e della cultura (Guido Geninatti) e le politiche delle amministrazioni locali (Rosaria Mencarelli).

Mi basta raccontare l’esperienza della Commissione Cultura della Camera dei Deputati, prima all’appuntamento di Artlab a Mantova, poi capitalizzata nell’appuntamento leccese successivo.“Democrazia in diretta” è stato il tweet, tra i dieci principali su scala nazionale, della giornata di Mantova. La Commissione Cultura si è prestata a un confronto serrato con operatori culturali di ogni parte d’Italia e, tra loro, molti tra quelli che stanno radicalmente modificando il paradigma stesso della produzione culturale, quelli che nel nostro Paese, tra mille difficoltà, silenzi, ostracismi, passano sotto il segno emblematico dell “innovazione sociale e culturale”. La Commissione Cultura aveva redatto una prima bozza di un disegno di legge per riconoscere e sostenere le start-up culturali e creative in Italia. Tra Mantova e Lecce, e questo fa onore ai deputati della Commissione, il disegno di legge ha avuto sostegno e collaborazione nella stessa elaborazione dell’articolato normativo e ha assunto finalità più estese di riconoscimento dello status e del valore dell’impresa culturale non solo delle start-up tecnologiche in ambito culturale. Un grande risultato di democrazia, di capacità di ascolto e di innovazione. E lo dico, non è solo una questione di “competenza”, è anche una storia di passione che si fa sostenibile e diventa interesse generale. Occorre mettere ancora di più le imprese for profit in condizione di investire in Cultura, come già fanno nel resto del mondo, in logiche non direttamente legate al proprio core business, ma per nuove forme di mecenatismo, per farsi parte d’interesse generale oltre il confine della propria azione economica-produttiva (Franco Milella).
 

COSA PERDERÀ RILEVANZA?
Si è scoperto che la paura della miseria fa più presa del sogno europeo. Sarà sempre meno importante avere contatti fuori dal proprio Paese, avere un bagaglio di esperienze e capacità di adattamento, a vantaggio di chi sa muovere i fili giusti nel proprio territorio (Eva Frapiccini).
Perderanno le relazioni digitali fine a se stesse, che non ricercano costruzione di senso (Bertram Niessen).
Temo che perderanno ulteriormente rilevanza le relazioni tra le persone, sempre più sostituite dalle relazioni virtuali, tramite i canali social. (Guido Geninatti)
I progetti di sopravvivenza sociale saranno sempre meno efficaci sul medio e lungo periodo, diventando deboli argini temporanei all’inarrestabile ondata divisiva. Una comunità di accoglienza per minori o migranti ha senso se lavora anche sul generare connessioni solide con la comunità di riferimento; se diventa un carcere felice (nel migliore dei casi), tampona il problema ma forse sui suoi confini lo amplifica, lo incendia.
La corsa all’oro dei “nuovi” mercati delle industrie culturali e creative (comprese la gestione del patrimonio) è certamente una dimensione interessante, che però riguarda l'Occidente che ancora può permettersi il lusso di investire e consumare quei prodotti e servizi. Il rischio è che si perda il senso educativo e coesivo delle culture e delle attività che le alimentano, in funzione di una ipotetica chiave risolutiva di tale settore per economie in crisi. Alcuni settori culturali vanno letti diversamente, pena il loro indebolimento o la sopraffazione di logiche economiciste. (Ciccio Mannino)
Perderanno rilevanza i record stupidi dei prezzi. Auspico un ritorno ai contenuti (Massimo Minini)
Tutto ciò che non abbia al centro il principio di patrimonio culturale come bene comune (Rosaria Mencarelli).
E pratiche artistiche troppo concentrate sul sistema dell'arte. Auspico meno mostre più progetti – meno manufatti – più processi). (Maria Rebecca Ballestra)
Senza posizioni ideologiche, auspico che un minor utilizzo dell’aggettivo grande per opere, eventi, mostre. Non nego a priori la possibilità di realizzare un’opera, un evento, una mostra di elevata caratura. Quello che va recuperato è il senso critico nel valutare le opzioni a disposizione. Perché, per citare un’efficace réclame di qualche tempo fa, spesso non è necessario “un grande pennello, ma un pennello grande” (Marco Enrico Giacomelli).
Non c’è più spazio alla lamentela senza capacità di dare alternative, alla politica economica senza progettualità, per i progetti senza visione credibile del futuro, per glii interventi senza gestione della realizzazione (Paolo Castelnovi).
La distinzione pubblico-privato e profit-not for profit perderà rilevanza. Sarà determinante la capacità di costruire partenariati operativi tra soggetti pubblici e soggetti privati e gli effetti di liberazione e generazione di risorse da investire in Cultura è determinante per il futuro stesso della Cultura. Occorre avere coraggio e rapidità d’azione. Auspico che la portata, solo accennata nel terzo comma dell’art. 151 del nuovo codice degli appalti, dove si sostengono nuove forme di partenariato pubblico-privato per la tutela, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale materiale ed immateriale, deve essere spinta con chiarezza e capacità di sperimentazione sull’intero patrimonio culturale italiano e non solo su quello dello Stato. Apprezzo il valore enorme e l’impegno dei soggetti del cd. Terzo settore nel nostro Paese, ma non mi convince del tutto l’impianto della riforma. Ma indipendentemente da essa e dal ruolo centrale del Terzo Settore, che in Italia è protagonista di nuove forme di welfare culture based, occorre mettere ancora di più in condizione le imprese for profit di investire in Cultura, come già fanno nel resto del mondo, in logiche non direttamente legate al proprio core business, ma per nuove forme di mecenatismo, per farsi parte d’interesse generale oltre il confine della propria azione economica-produttiva (Franco Milella).
Se, come ci auguriamo, si affermerà un processo integrato alla valorizzazione del patrimonio culturale dovrebbe perdere rilevanza l’assegnazione di risorse in assenza di un piano di gestione, il solo in grado di consentire, insieme, tutela e valorizzazione (Claudio Bocci).
 

QUALE PERSONAGGIO L’HA MAGGIORMENTE ISPIRATA NEL 2016? PERCHÉ?
Non credo nei personaggi, sono tutti preconfezionati o seguono uno schema per piacere. Mi ispirano di più i gesti di coraggio e dignità di persone normali, perchè hanno piu' da perdere, o chi fa in maniera onesta il proprio lavoro. Conservo vari esempi incontrati nel mondo nel 2016, per fortuna (Eva Frapiccini).
Nino Leonardi, geometra. Per conto dell'Università di Catania ha seguito per 30 il cantiere di recupero del Monastero dei Benedettini, complesso architettonico divenuto nel 1977 sede universitaria. Grazie all'incontro con il visionario Giancarlo De Carlo, l'architetto della partecipazione e con Giuseppe Giarrizzo, storico e preside della Facoltà di Lettere, ha partecipato alla trasformazione di un edificio travisato e violentato da ottusi usi civili in uno dei luoghi più permeabili e accessibili della città. Il Monastero è un palinsesto storico, una architettura di luce e di aria, dove ogni giorno migliaia di giovani coltivano aspettative e promesse per il proprio futuro; e dove altrettanti "non universitari" vivono esperienze di aggregazione, conoscenza, riappropriazione del patrimonio culturale e costruzione di capitale sociale. Leonardi ha dedicato i suoi ultimi dieci anni di vita a trasferire ai più giovani le sue "scoperte", le sue esperienze, le sue curiosità, dentro e fuori l'archivio di cantiere che ha gestito. I "giovani" siamo stati noi, che abbiamo avuto la fortuna di incontrarlo e di condividere con lui questa parte dell'esperienza di apertura e restituzione di un bene comune all'umanità. Nino Leonardi è scomparso a 79 anni a novembre del 2016 (Ciccio Mannino).
Cristiana Collu contro ogni logica passa dalla periferia dell'impero alla Capitale, destando molti dubbi. Ha rigirato la Gnam in pochi mesi in modo incredibile. Le mancano solo i soldi per comunicarlo maggiormente: visitate la Gnam, visitate l'Italia (Massimo Minini).
Il Premio Goldman Environmental per l'Africa 2012, Ikal Angelei, che ho avuto il piacere di invitare al Festival for the Earth, a Venezia a novembre scorso con il suo intervento sull'importanza di cambiare le nostre coscienze, di considerare il processo dell'essere come premessa del processo del fare (Maria Rebecca Ballestra).
La musicista e artista inglese M.I.A. cerca sempre nuove strade per affrontare i temi della complessità usando in modo non scontato i linguaggi della popular culture (Bertram Niessen).
Bernie Sanders ha dato speranza anche in un paese depresso e senza futuro. Ora andrebbe sostenuto perché quelli a cui da voce rinnovino in radice il partito democratico che ha ostacolato Obama e favorito i Clinton (Paolo Castelnovi).
Silvia Costa, Presidente della Commissione Cultura del Parlamento Europeo, ha dimostrato con il suo operato determinazione e lucidità programmatica, consentendo di far recuperare alle politiche culturali europee una centralità determinante (Rosaria Mencarelli).
Vorrei citare due personaggi, entrambi operanti nel mondo della cultura. James Bradbourne per quanto ha fatto e sta facendo a Brera: questo intendo – senz’altro forzando quanto sostiene Serge Latouche – quando parlo di decrescita. Bradbourne non ha organizzato alcuna “grande mostra”, si è limitato a sistemare alcune sale, a rinnovare le didascalie, a ragionare su “dettagli” di questo genere. Il risultato è una curva in evidente salita. Il secondo è George Didi-Huberman: figura ormai assai nota di studioso, ha curato una mostra notevole al Jeu de Paume di Parigi. Si intitola Soulevèments e nei prossimi mesi circolerà in tutto il mondo. L’immagine-guida della mostra e del catalogo rappresenta alcuni giovani mentre scagliano pietre contro dei blindati. Siamo nell’Irlanda del Nord. La reazione di gran parte delle persone che guardano è pavloviana: si è dalla parte di questi Davide contro Golia, di questi giovani irlandesi oppressi del Regno britannico. Peccato che invece la foto sia stata scattata durante una manifestazione lealista, a Belfast. Ecco: cerco di farmi ispirare, sempre, da chi mette in dubbio le mie certezze e da chi, quindi, solletica l’esprit critique (Marco Enrico Giacomelli).
Alex Zanardi. Un uomo che ha saputo reagire alle tragiche avversità cui la vita lo ha sottoposto, insegnandoci una accezione nuova del concetto  di limite e di disabilità (Guido Geninatti).
La lettura de ‘Lo Stato innovatore’ di Mariana Mazzuccato è stata sicuramente fonte di grande ispirazione. La tesi dell’economista, romana di nascita e inglese di adozione, è che la crescita di un paese sia una variabile dipendente, prima ancora che della quantità, della composizione della spesa pubblica. Lo Stato che spende soprattutto per pensioni e stipendi ma trascura ricerca, istruzione ed innovazione, è condannato inevitabilmente al declino. Peraltro, trovare sostegno a politiche di questo tipo è ora praticamente impossibile per le regole ottusamente rigide imposte dal fiscal compact, che limita la spesa degli Stati dell’Unione Europea senza prevedere eccezioni per quelle tipologie di spese che possono produrre crescita attraverso innovazione e investimenti produttivi. Per costruire un ‘ecostistema dell’innovazione’ è necessario –a parere dell’autrice- stabilire un rapporto simbiotico e non parassitario tra pubblico e privato costruendo collaborazioni che accrescano l’impegno e il coinvolgimento di tutti gli attori in gioco e favorendo l’affermarsi di un modello win-win. Nel suo lavoro, Mariana Mazzuccato inserisce anche il patrimonio culturale che “diventerà un vero patrimonio nazionale solo quando sarà posto al centro di una strategia di crescita che utilizza i poteri della rivoluzione informatica per diffonderla e divulgarla a livello internazionale” (Claudio Bocci).