Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

L'ebanista del re

  • Pubblicato il: 13/09/2013 - 11:20
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI CIVILI
Articolo a cura di: 
Redazione
Pietro Piffetti

Torino. Dal 13 settembre al 12 gennaio, nella sala dei pannelli cinesi, il Museo Accorsi-Ometto ospita la mostra «Pietro Piffetti. Il re degli ebanisti, l’ebanista del re». Si tratta della prima mostra interamente dedicata al miglior ebanista italiano (Torino, 1701-77) del Settecento che, dopo la formazione torinese, andò a Roma dove, grazie al marchese Vincenzo Ferrero d’Ormea, entrò in contatto con la corte torinese. Tornato a Torino nel 1731, Carlo Emanuele III di Savoia lo nominò suo ebanista, gettando le basi di un rapporto proficuo con la corte sabauda che lo vide impegnato fino alla morte e che portò alla creazione di non meno di 220 opere tra mobili, cassette preziose ecc., delle quali solo una settantina è oggi nota.
Il percorso, suddiviso in due sezioni (una dedicata alle più numerose opere profane, l’altra a quelle, più rare, di ambito sacro), prende avvio dal raro (sia per l’autore, sia per la tipologia del mobile, ossia una specie di raffinata cassaforte trasportabile, un tempo chiudibile per mezzo di una complicata serratura) cofano-forte recentemente acquistato dalla Fondazione Accorsi-Ometto per il museo e ritenuto uno dei tre esemplari realizzati da Piffetti per il re Carlo Emanuele III nel 1732, 1745 e 1760. Accanto sono esposti altri capolavori: un arcolaio, due cofanetti, uno dei quali firmato e datato «Petrus Piffetti fecit et schulpi Taurini 1738», uno scrittoio in legno violetto, legno di rosa e avorio del 1760 ca, un paio di cassettoni, tra cui quello in avorio colorato, madreperla e legni pregiati di proprietà del Museo Accorsi- Ometto, e tavolini, alcuni inediti, altri noti, come quello di Palazzo Madama, concesso in prestito. Tra le opere
sacre, si segnala un inginocchiatoio da parete in legno e avorio del 1755-60 circa.
Inoltre a Palazzo Lascaris, sede del Consiglio Regionale del Piemonte che ha collaborato all’organizzazione, sono esposte altre tre opere: uno dei due tabernacoli conservati a Bene Vagienna e la coppia di stipi del Museo Accorsi-Ometto di Torino, quest’ultimi con decorazioni in avorio, sulle quali compaiono pirografate scene tradotte da L’art de tourner en perfection del frate Charles Plumier che, stampato a Lione nel 1701, fu uno dei massimi trattati sulle tecniche di tornitura dell’avorio di tutto il Sei e Settecento europeo.

da Il Giornale dell'Arte numero 334, settembre 2013