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Africana

  • Pubblicato il: 27/04/2013 - 01:55
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Rubrica: 
FONDAZIONI E ARTE CONTEMPORANEA
Articolo a cura di: 
Redazione

Milano. Era il 1989. Jean Hubert Martin, al Centre Georges Pompidou, con «Le Magiciens de la Terra» sdogana l'arte africana - e non solo, ma l'arte del pianeta tutto - portandola nelle istituzioni. Una mostra impressionante con tre milioni di visitatori in pochi mesi, dalla quale  nacque  uno sguardo attento dell'occidente per l'arte globale.
Tra i primi ad interessarsi della produzione artistica contemporanea africana, Jean Hubert Martin viaggiò per mesi con il suo collaboratore Andrè Magnin, per conoscerla sul campo per il suo progetto rivelatore, simbolo del risveglio anticolonialista.  Ancora da scoprire oggi sotto il profilo collezionistico,  farà salva la raccolta infinita di Pigozzi, che abbiamo apprezzato alla Pinacoteca Agnelli e alla CAAC (The Contemporary African Art Collection) di Ginevra, diretta dallo stesso Magnin.
La Fondazione Mudima oggi attualizza la ricerca con un progetto curato da Achille Bonito Oliva,  impegnato sulle espressioni del continente nero dal 1970 e del quale consigliamo la lettura del saggio introduttivo al catalogo: un vero e proprio apologo in cinque paragrafi che presenta un Paese con le credenziali istituzionali ed artistiche per poter esprimere la propria identità  alla fine del travagliato ventesimo secolo.
Un'operazione resa possibile dai fecondi rapporti con la Fondazione del poeta visivo Isaia Mabellini, in arte Sarenco, che in Africa opera da oltre trent’anni.
Sei gli artisti alla Mudima, tre uomini e tre donne, due dei quali, Ester Mahlangu (Sudafrica) e Seni Camara (Senegal), «scoperti» da Jean Hubert Martin, accompagnati da imponenti sculture ritratto di Sarenco in omaggio ai suoi Maestri (Apollinaire, Marinetti, Tzara e Breton) e dal lavoro fotografico di Paola Mattioli e Fabrizio Garghetti sugli artisti africani. Louise Bourgeois, uno dei pilastri dell'arte occidentale, definì Seni Camara una delle artiste più importanti del XX secolo.
«Ancora in questi giorni assistiamo impotenti alle ennesime manovre degli antichi paesi colonizzatori che non vogliono mollare la preda. Ma questo sarà il secolo dell'Africa. Nessuno potrà fermare la marcia di decine di popoli che aspirano a diventare liberi, a gestire le loro risorse umane e naturali. Non ci sono più i Nasser, i Lumumba, i Ben Bella  a cui va il nostro omaggio, ma ciò che è stato seminato non può che fiorire» scrive Gino di Maggio, patron della Fondazione Mudima, che presenta la vitalità culturale del Paese, per troppo considerata «un'enorme discarica di veleni coloniali e postcoloniali...che vive tra globalizzazione e ineluttabili forme di tribalizzazione, dopo l'abbandono al loro destino da parte delle potenze coloniali»  secondo Achille Bonito Oliva.
Da vedere.

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