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Originalità e complessità delle «nuove» Fondazioni per l’arte e la cultura

  • Pubblicato il: 08/06/2012 - 11:49
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Alessandro Hinna
Alessandro Hinna

Le analisi svolte per il Rapporto confermano come il comparto delle fondazioni italiane di diritto civile dedicate all’arte e alla cultura si presenti, oltre che in crescita,  in profonda trasformazione, restituendo un quadro fenomenologico piuttosto articolato e di non semplice lettura, che da tempo ha suggerito un progressivo passaggio dalla tipicità alle tipologie. La relazione tra mutamento del sistema economico e sociale nel suo complesso e lo sviluppo delle organizzazioni del Terzo Settore  ha assunto connotati di particolare rilievo per questi soggetti. Questi, infatti, più di altre forme istituzionali di tipo non profit, hanno trovato il favore del Legislatore nel gestire processi di trasformazione o esternalizzazione delle aziende pubbliche, creando nuove forme di partneriato pubblico-privato, dove quest’ultimo è chiamato non solo a concorrere al finanziamento periodico di singole iniziative, ma anche alla costituzione (o alla progressiva formazione) del patrimonio delle singole realtà. 
Emergono due scenari evolutivi. Il primo è quello delle «fondazioni classiche» nate in contesti politici e sociali ben diversi dagli attuali, che devono gestire (in un arco temporale breve) l’obsolescenza del modello strategico finora adottato, tentando d’individuare modelli operativi alternativi. Il secondo scenario, di cui sono testimonianza la gran parte delle fondazioni inserite nel campione di indagine, è quello delle fondazioni neo-costituite («nuove fondazioni») create pensando di attivare nuove forme di collaborazione pubblico-privato per la gestione di beni e delle attività culturali.
Il Rapporto evidenzia chiaramente come queste «nuove fondazioni», siano  individuate dalla prassi o disposte per legge, si differenziano radicalmente dai modelli di «fondazione classica», sia sul piano della governance istituzionale, sia sul piano della gestione aziendale. Sul piano istituzionale, evidentemente, la partecipazione di soggetti diversi, di natura sia pubblica sia privata, ne complica i processi decisionali, con importanti impatti sulla natura e sulla quantità delle attività. Allo stesso tempo, la riscontrata diffusione di fondazioni di partecipazione, con strutture patrimoniali a formazione progressiva, pone radicalmente in discussione alcuni degli elementi tipici della «fondazione classica», con ripercussioni importanti in termini di economia aziendale. Nel primo caso, la gestione patrimoniale è il fulcro delle combinazioni economiche attuate dall’organizzazione e una delle principali fonti di finanziamento:, la dotazione patrimoniale non è condizionata dagli obiettivi stabiliti e dalle modalità di raggiungimento degli stessi, ma ciò che maggiormente condiziona la scelta delle finalità perseguibili è la sua dimensione. Non a caso, il riconoscimento della fondazione da parte dell’autorità è, per legge, subordinato a un giudizio di merito sull’adeguatezza del patrimonio rispetto allo scopo perseguito. Al contrario, in molte delle fondazioni osservate, il rapporto tra patrimonio disponibile e obiettivi perseguiti, sembra assumere una dinamica tipica delle aziende di produzione. In molte «nuove fondazioni», il patrimonio e gli obiettivi sono strettamente interdipendenti: le possibilità di crescita del primo sono legate alla capacità del management di realizzare gli obiettivi, i quali –nel rispetto delle indicazioni statutarie – potranno dimostrarsi sempre più ambiziosi con il progressivo crescere della consistenza patrimoniale. D’altra parte, la mancanza di un patrimonio di partenza adeguato allo scopo, evidenzia la necessità di dedicarsi al reperimento di risorse o all’implementazione di attività di tipo economico, con importanti ripercussioni sul piano della complessità gestionale, tanto più nel caso in cui si tratti, come in molte delle organizzazioni censite, di fondazioni operative che, quindi, producono direttamente beni e servizi di utilità collettiva, anche attraverso la realizzazione interna di interi processi di produzione di beni e servizi.
La maggioranza delle fondazioni del campione indagato assume quindi caratteristiche di complessità certamente originale anche rispetto ad altre esperienze internazionali, prime fra tutte quelle museali d’oltre oceano, alle quali vengono spesso assimilate. Queste ultime, infatti, sono fondazioni tradizionali di diritto privato e, quindi, (a) istituzioni private, (b) che gestiscono musei quasi sempre privati, (c) la cui fonte principale di entrata è data dai proventi da investimento del patrimonio finanziario di dotazione e (d) dalle donazioni private. Molte delle fondazioni osservate, invece, sono (a) istituti privati, (b) che gestiscono beni e servizi pubblici, (c) non dotate di un patrimonio finanziario di partenza, (d) né di un mercato consolidato di donazioni. Sono differenze  forse scontate, ma che pongono interrogativi assolutamente originali sulle loro reali condizioni di consolidamento e sviluppo. Il dubbio, ovviamente, è che la crescita del comparto delle «nuove fondazioni» dedicate all’arte e alla cultura risponda a una moda, che affida alla scelta della forma giuridica istituzionale la possibilità di innovare la gestione dei beni e delle attività culturali, non curante di elementi di complessità organizzativa che, se non adeguatamente presidiati, potrebbero mettere in seria discussione la loro sostenibilità del medio e lungo periodo. Per questo è prioritaria l’attivazione di efficaci sistemi di accountability dei risultati economici e sociali, finalizzati alla massima trasparenza sulla gestione (oltre che sui risultati). Ciò sarebbe funzionale sia agli enti fondatori nello svolgimento del loro compito di indirizzo e controllo sull’operato del management sia a conquistare il consenso e fiducia della comunità nel suo complesso, quali condizioni fondamentali per l’attivazione di qualsiasi azione o strategia di fundraising e, quindi, di legittimazione e sostegno del comparto nel suo insieme.
 
 
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Alessandro Hinna è Professore Associato di Organizzazione aziendale e Coordinatore delMaster in Economia della cultura promosso dal CentroInterdipartimentale di Studi Internazionali sull'Economia e loSviluppo (CEIS) dell'Università degli studi di Roma Tor Vergata