Piccolo è brutto, anche se agevolato
Come leggiamo dall’edizione del 2011 di questo Rapporto, si ritiene che le fondazioni private operanti in Italia siano più di 10mila. Pochi anni prima se ne erano censite poco più che 1.500 ed è forse opportuno interrogarsi sui motivi della proliferazione. A fronte di un diffuso convincimento - basato soprattutto sull’ignoranza e sull’attitudine nazionale al piagnisteo - della mancanza di forme di incentivazione fiscale per il supporto degli enti culturali, ritengo che la ragione dell’improvviso incremento sia invece proprio la moltiplicazione delle incentivazioni.
In Italia, infatti, esistono ormai numerosissime forme di agevolazione fiscale agli atti di mecenatismo e, comunque, di sostegno di imprese e privati cittadini a favore delle fondazioni che operano nel campo della cultura, che ha favorito il pullulare di enti. La maggior parte dei quali operanti con un orizzonte individuale o al più familiare. Moltissimi sono infatti i singoli collezionisti o le famiglie che operano – in senso fiscalmente vantaggioso – in campo culturale e artistico, non come privati cittadini, ma attraverso una fondazione.
Forte indizio a sostegno di questa tesi sta nel noto problema della diffusissima sottocapitalizzazione di queste realtà. La stragrande maggioranza – per non dire la quasi totalità – delle fondazioni costituitesi negli ultimi anni in Italia ha infatti un patrimonio pari o di poco superiore al minimo richiesto dalla prassi. A titolo di esempio, molte Prefetture richiedono, per una fondazione destinata a operare a livello nazionale, una dotazione minima di circa 100mila euro, sia in beni che in danaro. Dopo aver costituito una fondazione con questo microscopico capitale, l’attitudine predominante è quella di finanziarla di anno in anno, giovandosi delle agevolazioni fiscali previste dalla legge. Il risultato è che queste «micro-fondazioni» vivono alla giornata e non sono in grado di sviluppare programmi di lungo periodo o di ampio respiro. Si crea quindi un vero e proprio fenomeno di nanismo delle fondazioni che operano in campo culturale con un piccolo cabotaggio, che fa da triste contrappeso al nanismo predominante tra le imprese italiane. E le conseguenze, non sorprendentemente, tendono ad esser analoghe. Questo stato di perenne prossimità all’incapienza finanziaria, fa sì che anche difficoltà finanziarie temporanee del fondatore o di altri iniziali sostenitori mettano a rischio l’attività dell’ente. A questo punto, come previsto dalla legge, i beni e l’attività della fondazione saranno devoluti – salva diversa disposizione dello statuto – ad enti con finalità analoghe e, quindi, quasi inevitabilmente allo Stato o a qualche ente locale, che, volente o nolente, si troverà a sobbarcarsene i costi.
Un sistema piuttosto perverso: micro-fondazioni nelle mani dei privati fino a quando essi potranno avere una convenienza fiscale a gestirle, per trasferirne gli oneri agli enti pubblici non appena la fase «privatistica» si sia esaurita.
Sarebbe quindi opportuno un forte intervento legislativo volto a favorire fondazioni con patrimonializzazioni superiori alle attuali, consentendo solo a queste benefici fiscali consistenti. In altri termini, si potrebbe ipotizzare una diversità di regime tra le «micro-fondazioni», che dovrebbero imparare a finanziarsi da sole e godere di modesti benefici fiscali, e le «macro-fondazioni» a cui lo Stato riservi un trattamento di assoluto favore, in quanto solo queste ultime potranno realizzare dei progetti culturali di reale importanza in un mondo globalizzato. In breve, uscire una volta per tutte dalla logica, ormai fuori tempo massimo, del «piccolo è bello» e favorire invece ciò che è importante e rilevante.
La cultura non ha bisogno di ulteriori norme fiscali di agevolazione fiscale (che, al limite, sono addirittura troppe) ma di progetti di alto livello.
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Avv. Massimo Sterpi
Presidente del Comitato di Diritto dell'Arte dell'International Bar Association.
Sintesi del quadro fiscale
- le sponsorizzazioni, semplici contratti pubblicitari in cui si scambia denaro con visibilità del brand all’interno di un evento culturale (v. art. 120 Codice Beni Culturali e 108 TUIR), creano un costo integralmente deducibile per l’impresa.
- L’art. 100 c. 2 lett. m) TUIR prevede che le imprese e società commerciali possano dedurre dal proprio imponibile l’intero importo di donazioni mecenatistiche realizzate a favore di associazioni riconosciute, fondazioni e associazioni legalmente riconosciute che operano in ambito culturale; non ci sono limiti per l’entità di tale donazione, né in termini assoluti né in termini percentuali rispetto al volume d’affari dell’azienda.
- La L. 80/2005, cd “più dai e meno spendi”, prevede che imprese e società commerciali, nonché le persone fisiche, possano dedurre dal reddito complessivo dichiarato, nel limite del 10% dal reddito e comunque nella misura massima di 70.000 Euro, liberalità in danaro o in natura erogate a favore di ONLUS, associazioni di promozione sociale, fondazioni e associazioni riconosciute aventi per oggetto la tutela, la promozione e la valorizzazione dei beni di interesse artistico, storico e paesaggistico.
- In via alternativa, i privati possono effettuare delle erogazioni liberali beneficiando della detrazione sull’Irpef pari al 19% ai sensi dell’art. 15, comma 1, h) del TUIR in caso di donazioni a favore di enti pubblici e fondazioni.
- L’art. 40, comma 9, del cd decreto “Salva Italia” (d.l. 201/2011, convertito nella Legge 214/2011) che ha previsto, sia per i privati che per le imprese e società commerciali, la possibilità di autocertificazione in sostituzione dei documenti necessari per usufruire delle agevolazioni fiscali relative alle erogazioni liberali in favore della cultura.
- Con la recentissima disposizione introdotta dal comma 46 dell’art. 23 del d.l. n. 98/ 2011, a partire dalla dichiarazione dei redditi presentata nel 2012 (e relativa ai redditi 2011), il contribuente può destinare il cinque per mille dell’Irpef anche al finanziamento di attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici.