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LA BELLEZZA FA BENE?

  • Pubblicato il: 15/04/2018 - 09:00
Autore/i: 
Rubrica: 
SAPER FARE, SAPER ESSERE
Articolo a cura di: 
Francesca Neri

Parte a fine marzo da una riflessione pubblica interdisciplinare sulla cornice teorica, epistemologica della bellezza e del suo potere, fuori da ogni retorica, in collaborazione con la Fondazione Atena, il progetto di innovazione sociale di Fondazione Exclusiva. Secondo step a fine maggio un workshop di design sociale per un cantiere di ri-significazione di un luogo di cura a Roma per migliorarne il volto e il ben-essere percepito. Un progetto partecipato che coinvolgerà gli operatori, i pazienti, giovani professionisti del mondo dell’architettura e del design, gli studenti di licei artistici con il loro corpo docente e, più in generale, la comunità, che verrà realizzato grazie al supporto di Oikos
 


Roma. I luoghi ci abitano. Anche un intervento architettonico semplice e puntuale ha bisogno di essere attuato con cautela, per riuscire a portare beneficio alle persone, al loro ben-essere psico-fisico, alle loro relazioni interpersonali.  La letteratura scientifica e le evidenze cliniche sono ampie quanto consolidate in merito all’impatto, misurabile, della qualità dei contesti sul ben-essere percepito, contributo alla loro resilienza, al loro empowerment che stanno alla base del concetto di salute socialmente determinata cara all’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità. Posizione che va oltre i poli opposti della presenza o assenza di patologie.

Per questo Fondazione Exclusiva, nell’approccio multisciplinare che la caratterizza nell’affrontare l’ipercomplessità della modernità, ha avviato un confronto su questo tema con alcuni studiosi di discipline diverse che hanno fornito una cornice teorica, scientifica ed epistemologica da cui partire per portare avanti costruzione di competenze e concreti progetti pilota nella Capitale. Con la Fondazione Atena, attraverso il convegno “La bellezza fa bene”, ha quindi affrontato, al di fuori della retorica, il tema come una manifestazione naturale, neurologica e intersoggettiva dell’esperienza dell’uomo, ma al tempo stesso dinamica e impossibile da cristallizzare in una definizione statica al di fuori dalla pratica dell’esperienza del soggetto. Un kick off che vedrà i relatori impegnati nella commissione scientifica di un progetto di ri-generazione in infrastrutture sociali romane, partendo dagli ospedali.

Fabio Mazzeo -Presidente di Fondazione Exclusiva, imprenditore, architetto e designer -  ha lanciato il percorso parafrasando il titolo dell’incontro “La bellezza fa bene” si potrebbe anche trasformare in “la bellezza del far bene”, nel duplice significato di fare le cose bene e di fare il bene attraverso le cose. Per arrivare a questo occorre ritornare con urgenza a considerare l’estetica non solo una proprietà associata all’aspetto esteriore delle cose, ma anche alla qualità delle relazioni fra le persone, soprattutto nei luoghi di cura dove luce, ombra e colore – argomenti che un architetto può trattare con facilità – possono contribuire ad alleviare le sofferenze inevitabili di chi li frequenta.
La comprensione della bellezza è un tema allo stesso tempo antichissimo e nuovissimo. Per lungo tempo abbiamo dato importanza strategica ad altri tipi di investimenti, apparentemente più remunerativi, ma a cui mancava la capacità di radicamento e di persistenza. Nel passato e oggi di nuovo con urgenza, ci chiediamo se la bellezza sia una qualità dell’oggetto o del soggetto. Noi crediamo che ogni tipo di bellezza nasca dal di dentro; non può esserci bellezza al di fuori se non è proiezione di una densità di valori che risiede all’interno di ognuno di noi. Promuoviamo, quindi, la priorità del soggetto, di colui che crea l’oggetto e la bellezza è sempre l’esito di un’azione soggettiva sia nella sua percezione che nella sua realizzazione. È l’individuo il vero agente di cambiamento.

Per il prof. Ugo Morelli, docente di psicologia dell’innovazione e della creatività, Master di Art and Culture di Trentino School of ManagementLa bellezza non è nel soggetto, né nell’oggetto, ma è intersoggettiva.  Per capire questa dimensione, è utile associare l’esperienza della bellezza a quella straordinaria manifestazione della competenza estetica dell’uomo che è il non accontentarsi mai di quello che c’è già e di non coincidere mai con se stessi. L’Homo Sapiens cerca di comprendere se un oggetto, che si è fatto in un determinato modo, non si possa fare diversamente: così si compie l’atto creativo, frutto del mettere in discussione la continuità e la consuetudine. La “tensione rinviante” è il modo in cui abbiamo definito questa caratteristica che distingue l’Homo sapiens come specie, che prevede il tendere oltre.
Volendo poi descrivere la bellezza non come un atto contemplativo e spiegandola piuttosto, naturalisticamente, possiamo definirla facendo ricorso alle neuroscienze che hanno individuato nel cervello la capacità di “risonanza incarnata”, ovvero quel processo in base al quale siamo in grado di sentire e percepire quello che dice l’altro prima ancora che ce lo dica. La bellezza, allora, può essere definita come una risonanza particolarmente efficace tra io e altro e tra io e mondo, in grado di estendere il modello neuro-fenomenologico di sé, cioè in grado di ampliare il modello di sé, la concezione di sé, quello che ognuno sente di essere e di potere”.

Per il prof. Giulio Maira, neurochirurgo Senior Consultant Humanitas di Milano e Presidente Fondazione Atena onlus Il nostro cervello possiede i meccanismi per apprezzare il bello e che lo spingono a ricercarlo. Tutte le cellule del cervello e tutte le sue fibre concorrono a rendere possibile la tendenza al bello e al miglioramento dello stato sociale. La dopamina, un mediatore chimico del piacere, viene rilasciata ogni volta che proviamo piacere leggendo un libro, sperimentando un attimo di creatività, vedendo una cosa bella o quando ci innamoriamo. La dopamina coinvolge alcune aree del cervello che ci permettono di recepire come piacevole un’esperienza e ci spingono a ripeterla. Queste aree sono il sistema limbico (che è il nostro cervello più antico), di cui ci interessano in particolare l’amigdala e l’ippocampo: la prima è deputata all’elaborazione dell’emotività, mentre l’ippocampo è la sede della memoria. Fra amigdala e ippocampo c’è una strettissima correlazione, perché tutto ciò che ci emoziona viene depositato nei sistemi della memoria. Ma essendo noi degli esseri ragionevoli, non basiamo i nostri comportamenti solo sull’istinto: la dopamina attiva quindi anche il cervello più moderno, la corteccia prefrontale, sede del raziocinio. La scoperta del 2000 del team di neuroscienziati dell’Università di Parma, Rizzolati e Gallese, dei neuroni a specchio ha dimostrato che il nostro cervello si attiva non solo quando facciamo un’azione, ma anche quando vediamo qualcuno che fa quell’azione. Vedere qualcuno che agisce attiva quello stesso meccanismo motorio nella nostra mente, come se fossimo noi stessi a fare quell’azione. Quando vediamo qualcuno che prova un’emozione (che si tratti di una persona in carne e ossa o di una sua rappresentazione artistica), noi ricreiamo lo stesso meccanismo e questo conduce all’empatia, a identificarci con chi prova quell’emozione, proprio grazie ai neuroni specchio. Grazie al gioco fra dopamina, sistema limbico dell’emotività e sistema razionale dell’area prefrontale, il nostro cervello è in grado di recepire il pensiero, la creatività, l’emotività e la cultura altrui per mezzo dell’attività dei neuroni a specchio”.

Secondo Alfredo Pirri “come artista mi occupo quotidianamente della bellezza, ma non ho una convinzione totale che il bello possa salvare l’esistenza. I poeti e i filosofi del passato ci hanno tramandato questa speranza, che il bello salvi la civiltà, l’essere umano, che dia una prospettiva di vita più interessante a tutti noi. Non bisogna però dimenticare che una certa idea di bello ha generato catastrofi: nei lager, ad Auschwitz si è espressa una certa idea di bello, intesa come raziocinio, organizzazione sociale, organizzazione del lavoro ed infine massacro. Un’idea che è diventata pratica e che ancora orienta parte della nostra società. Una certa idea di bellezza nata all’interno del nostro mondo, l’Occidente è, come promesso dal nome stesso di Occidente, tramontata. E il fallimento di una certa idea di bellezza ha prodotto una momentanea bruttezza: le nostre città sono caratterizzate in larga misura da immagini di edifici che degenerano, che fanno pensare alla tragedia. Ma sono in transizione e se veramente vogliamo metterci alla prova (perché questo è quello che richiede la bellezza), dobbiamo avere la capacità di rifondarne continuamente il concetto e la pratica, accettando gli stimoli che la bruttezza genera. L’armonia è una forma dinamica in cui l’elemento di brutto e di bello non solo convivono ma instaurano una lotta. Questa lotta continua e permanente fra bello e brutto, in cui non abbiamo certezze, è l’unico modo per concepire, immaginare, realizzare forme di bellezza, che siano dinamiche.
La bellezza rifondata sulla non certezza, sul momentaneo e dinamico non può fermarsi all’analisi, ma spinge all’affermazione, che è una forma di responsabilità. Se dovessi dire che cos’è la bellezza, io direi che è un’assunzione di responsabilità, è un dito che indica qualcosa: questo affermare non necessariamente lega le persone fra di loro (trova un consenso intersoggettivo), ma questa è una condizione che dobbiamo accettare.

Con questa presa di posizione sull’opportunità di prendere posizione siamo entrati nella seconda parte del dibattito moderata da Annalisa Cicerchia, dell’Università di Tor Vergata, che più direttamente ha lanciato il workshop tematico di design sociale, che si terrà il 29 e il 30 maggio a Roma propedeutico al cantiere di pratiche trasformative.

Giorgia Turchetto, Segretario Generale di Fondazione Exclusiva,  spiega che “finalità del workshop è quella di dare vita ad una due giorni di tavoli di co-progettazione partecipata per delineare una o più linee di intervento in uno spazio fisico di un Ospedale di Roma. In tale contesto la sostenibilità (ambientale, sociale, economica) delle soluzioni, la cura non solo clinica e il benessere degli utenti, i modi della comunicazione e il fattore umano richiedono la massima attenzione da parte di chi progetta e applica le soluzioni tecniche. Il workshop di progettazione partecipata sarà dedicato all’ascolto dei bisogni e delle percezioni della comunità (operatori sanitari, caregiver, pazienti) e allo stesso tempo sarà un’occasione di formazione learning by doing per gli studenti di un liceo artistico, guidati da creativi esperti con cui esplorare il ruolo del design rispetto ai nuovi e sempre più emergenti bisogni espressi dalla comunità”. 

Già la prima parte della riflessione aveva posto al centro del dibattito le relazioni, ma Stefano Canitano, Consigliere Ordine dei medici di Roma, spiega, dal suo punto di vista di operatore, che nel suo quotidiano la “bellezza è racchiusa negli operatori e nei pazienti e aspetta di essere disvelata, di essere aiutata ad emergere”.

Con questo progetto Fondazione Exclusiva si propone di intervenire in una delle strutture “che non sono in grado di accogliere, in uno di questi spazi residuali, che sono pubblici ma che non sono di nessuno, non sono degli operatori e nemmeno degli utenti e sono quindi vissuti da entrambi con rassegnazione”, come li definisce Cristian Campagnaro, Professore Associato in Design, Politecnico di Torino, che sarà il coordinatore scientifico del workshop. “La certezza è quella che lavorando insieme, con un apporto partecipato e anche con un’idea di comunità, questa trasformazione sia possibile, sia concreta e riesca a costruire una differenza rispetto al punto da cui siamo partiti”.
 
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