Fondazioni di comunità sotto la lente: prima conferenza e prima guida by Assifero
Cresce l’attenzione sulle Fondazioni di Comunità, infrastrutture del dono e della cittadinanza attiva. Oltre 30 sono le fondazioni attive sul territorio italiano, non solo come intermediari filantropici, ma come veri e propri innovatori sociali, al servizio di settori e gruppi eterogenei delle proprie comunità di riferimento. Grazie ad Assifero si è tenuta in Italia la prima conferenza nazionale sul tema, dopo la prima conferenza europea tenutasi a Cardiff nel mese di settembre. Una guida delle realtà italiane, prodotta da Assifero grazie a Compagnia di S. Paolo, va ad aggiungersi a quelle tedesca, inglese ed europea, nell’ambito di una collana promossa da ECFI – European Community Foundation Initiative.
Lo scorso 24 novembre a Roma, presso la Sala del Senato di Santa Maria in Aquiro, Assifero ha organizzato, in collaborazione con ACRI, la prima Conferenza Italiana delle Fondazioni di Comunità, occasione per presentare la relativa Guida, realizzata grazie al contributo di Compagnia di San Paolo. La conferenza ha proposto un intervento del prof. Mauro Magatti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore dal titolo “Nuove istituzioni per le comunità del futuro”, uno sguardo oltralpe e oltreoceano con le testimonianze della European Community Foundations initiative e del Global Fund for Community Foundations, la presentazione di alcune esperienze di promozione della filantropia di comunità e infine una riflessione sulle implicazioni della riforma del Terzo Settore per questa particolare tipologia di fondazione.
La versione italiana della guida va ad aggiungersi a quelle tedesca, inglese ed europea, nell’ambito di una collana promossa da ECFI – European Community Foundation Initiative, che proprio nel mese di settembre aveva promosso la prima conferenza europea delle fondazioni di comunità (Cardiff, 11-12 settembre).
L’impegno di Assifero prosegue anche sul fronte delle fondazioni di impresa, anche grazie alla partnership avviata nel 2016 con il Premio Cultura+ Impresa, che ha portato ad un importante riconoscimento: nel novembre 2018 sarà infatti l’Italia, grazie alla candidatura di Assifero, ad ospitare l’incontro europeo delle fondazioni di impresa «ECFKE- European Corporate Foundations Knowledge Exchange», promosso da DAFNE-Donors and Foundations Networks in Europe.
Dati sulle Fondazioni di comunità in Italia
La guida è il frutto di un lavoro di approfondimento realizzato la scorsa estate da Assifero, attraverso la realizzazione di interviste individuali e la somministrazione di un questionario, al quale hanno risposto 21 delle 37 fondazioni censite (di cui 4 inattive), a cui si aggiungono 2 fondazioni ibride quali Fondazione Emmaus per il Territorio (Alba, CN) e Fondazione Wanda di Ferdinando (Fano, PU). Il documento «costituisce allo stesso tempo il traguardo di un importante processo di condivisione e valorizzazione e l’inizio di un ecosistema più informato, connesso ed efficace a livello nazionale» (Carola Carazzone e Marco Demarie, p.3).
Ne emerge un quadro variegato in termini di distribuzione geografica e di patrimonio, ma con numerose analogie in termini di settori di intervento e di tipologie di beneficiari. La polarizzazione al Nord e al Sud dello stivale è attribuibile al ruolo chiave di promozione di queste particolari fondazioni, rispettivamente di Fondazione Cariplo (con Compagnia di San Paolo e Fondazione di Venezia) e di Fondazione con il Sud. La Lombardia detiene il primato con 13 Fondazioni di Comunità, a cui seguono Veneto (9), Piemonte (4), Campania (3), Sicilia (3), Liguria (2), Puglia (1), Valle d’Aosta (1), Emilia-Romagna (1).
Delle 21 fondazioni che hanno risposto al questionario, quasi la metà (9) opera in una comunità con un numero di abitanti compreso tra 500.000 e 1 milione, 5 in comunità tra i 250.000 e i 500.000 abitanti, 4 tra i 100.000 e i 250.000 e le restanti in comunità più piccole (2 tra 20.000 e 60.000, 2 tra 60.000 e 100.000, 1 soltanto in una comunità con oltre 1 milione di abitanti).
Quanto al patrimonio netto delle fondazioni, 4 superano i 20 milioni di €, 5 si collocano tra i 10 e i 20 milioni di €, 5 tra 1 e 10 milioni di €, 7 sotto il milione di €. Quanto all’ammontare cumulato erogato dalle Fondazioni (dalla costituzione al 31.12.2016), si registra una marcata eterogeneità, con valori che variano da un minimo di 1.000€ ad un massimo di 48 milioni di €. Lo stesso vale per le donazioni al patrimonio, da un minimo di 37.390€ ad un massimo di 22.070.747€.
Tra le tipologie di intervento, l’erogazione di grants/contributi a fondo perduto risulta la principale, insieme all’erogazione di servizi, a cui si aggiungono in maniera minoritaria investimenti sociali/in imprese sociali, prestiti/microcredito, costruzione di reti.
Relativamente alla tipologia di beneficiari, i principali sono giovani e minori, persone con disabilità, immigrati e rifugiati, terza età, donne, e a seguire con un discreto distacco famiglie in difficoltà economica, comunità, disoccupati ed ex detenuti.
I settori di intervento prioritari risultano essere: povertà, educazione-formazione, servizi alla persona, arte-cultura-tutela del patrimonio artistico, disoccupazione, sviluppo locale, ambiente, contrasto alla violenza, a seguire eguaglianza di genere, cooperazione internazionale, welfare ed economia civile, sport, gestione beni comuni-riqualificazione urbana.
Fondazioni di comunità: ruoli e prospettive
Che le fondazioni di comunità non siano più o non siano soltanto meri intermediari filantropici è ormai evidente. Costituiscono infatti serbatoi di potenzialità sociali sempre più preziosi nell’ecosistema civico, con ruoli di grant makers, di catalizzatori, di innovatori e di sperimentatori. I risultati raggiunti da molte di queste fondazioni costituiscono infatti patrimonio di conoscenze e competenze ma anche di modelli di sviluppo, seppur nati da progetti ed esperienze su misura per le varie comunità di riferimento[1]. Nella guida, interessanti riflessioni degli attori coinvolti mostrano come il futuro delle fondazioni di comunità non possa che essere in ascesa e verso un contributo al welfare sempre maggiore.
Queste istituzioni si rivelano infatti «un reale acceleratore ed amplificatore professionale di “buone azioni” (…) favorendo una maggiore consapevolezza dei bisogni e delle opportunità presenti sul territorio ed amplificando un comune senso di appartenenza e coesione sociale» (Marta Petenzi, p.9), «un tassello fondamentale di nuovi ecosistemi locali di innovazione sociale (…). Una sorta di “terzo luogo”, non fisico, ma veicolo di appartenenza e di partecipazione attiva alla comunità» (Vittoria Burton, Dimitri Buracco Ghion p.11). Una prospettiva che appare senz’altro impegnativa ma che varrebbe la pena sperimentare: «Le Fondazioni di Comunità potrebbero divenire sistemi territoriali di tipo relazionale non più centrate sulla mera raccolta ed erogazione di risorse economiche, ma sulla ideazione, sostegno e valutazione di vere e proprie policy durevoli, orientate a sperimentare e promuovere approcci economici capaci di porre, quali vincoli esterni alla logica di massimizzazione del profitto, la progressiva espansione delle libertà strumentali delle persone più fragili, la progressiva costruzione di capitale sociale, la sostenibilità ambientale e la bellezza» (Gaetano Giunta, p.10). E se «il vero patrimonio della fondazione è la comunità» (Giorgio Righetti p.8), una sua conoscenza approfondita appare il punto di partenza necessario per la progettazione di qualsiasi intervento. Ed è così che, sull’esempio del mondo anglosassone, la Fondazione Comunitaria del Nord Milano ha intrapreso, grazie al supporto dell’Università Bicocca, un percorso di rilevazione dei dati quantitativi sul territorio (i cosiddetti vital signs) con la collaborazione di diversi attori locali, quali rappresentanti di Assessorati, dell’associazionismo, del mondo imprenditoriale, scolastico etc. Questo processo di analisi consente di individuare bisogni anche emergenti della comunità locale, allo stesso tempo potenziando la rete tra i soggetti coinvolti e restituendo i dati raccolti.
Quanto alla riforma del Terzo Settore, le fondazioni di comunità sembrano rientrare nella categoria enti filantropici, ma «appare forse più idoneo qualificare le Fondazioni di Comunità come organizzazioni della filantropia comunitaria, in cui si esce dal modello classico basato su patrimonio fondativo, rendite, erogazioni, per focalizzarsi sulla missione stessa della filantropia comunitaria, che è lo sviluppo dell’identità territoriale e del benessere della comunità» (Pietro Ferrari Bravo, p.25).
Tra le implicazioni della riforma di maggior interesse per queste fondazioni si individuano l’allargamento degli ambiti di intervento della filantropia comunitaria (al momento limitati per le FC Onlus), e la fiscalità di vantaggio. L’inclusione degli enti filantropici nel registro unico nazionale comporterà una serie di benefici fiscali «che potrebbero valorizzarne le finalità, sia sotto il profilo dei vantaggi per chi effettua erogazioni liberali, sia con riferimento alla gestione del patrimonio in dotazione dell’ente» (Gabriele Sepio, p.27).
In un tempo in cui assordante è il rimbombo delle troppe domande senza risposta, in Italia le Fondazioni di comunità si rivelano tra i pochi attori sociali in grado di intercettare le connessioni tra le complesse dinamiche che abitano la nostra società e di rielaborarle generando soluzioni fattive e feconde. Un faro di cui le comunità hanno urgente bisogno.
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[1] Per alcuni esempi, si vedano i casi presentati nei vari articoli correlati sotto riportati.
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