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What’s Art For

  • Pubblicato il: 15/12/2017 - 00:00
Rubrica: 
SAPER FARE, SAPER ESSERE
Articolo a cura di: 
Camilla Riolfi, Giulia Gabos

WRÅD: UN'ETICA EST-ETICA. Gli studenti dell’Accademia delle Belle Arti di Verona, per il ciclo “What’s Art for? A cosa serve l’arte oggi” concepito dalla nostra testata nel 2016, hanno incontrato il giovane imprenditore della moda etica Matteo Ward che vi avevamo presentato qualche mese fa su queste colonne. Ed è stato subito amore dall’incontro di buone generazioni. “Dicono che siamo la generazione che non combatte. Rappresentiamo il sogno infranto delle generazioni passate. Dicono che siamo la generazione dell'ansia, delle crisi di panico.
Eppure da piccoli sognavamo di cambiare il mondo come tutti, di farlo migliore per noi. Forse non siamo "tutti per uno, uno per tutti", ma qualcuno di noi riesce ad immaginare, anche non più bambino, un mondo migliore e riesce a trasformare questo immaginario nella forza necessaria a realizzare quello in cui crede. A noi studenti del biennio specialistico in Atelier Direction dell'Accademia di Belle Arti di Verona, a questo proposito, è capitato di conoscere Matteo Ward. Lui, la nostra generazione. Lui, un combattente vero. L'eccezione che conferma la regola? Non direi.” Ecco cosa significa dar largo ai giovani. Lo diciamo e lo facciamo. Nuove penne.
 

Per l’apertura dell’edizione 2016 di ArtVerona, la fiera del contemporaneo, partendo da un’idea del Giornale dell’Arte, la testata che ci ha generati, abbiamo ideato un format di incontro tra mondi per e con gli studenti dell’Accademia delle Belle Arti seguiti dalla prof. Elena Ciresola, che si sta rivelando generativo. Un ciclo di incontri con mondi apparentemente lontani, sollecitati dalla domanda “What’s art for? A cosa serve l’Arte oggi?”.
 
Nell’anno accademico 2016-2017, Valeria Cantoni ha portato la relazione dell’arte con l’impresa, Stefania Crobe ha parlato di arte e spazio pubblico e rigenerazione urbana e sociale, Alessandra Gariboldi ha portato il suo vissuto di ricerca e progetti europei sul tema del coinvolgimento e dell’ampliamento dei pubblici dell’Arte.
 
Proprio questa riflessione è stata incipit per un lavoro di ascolto in profondità tra pari che gli studenti hanno condotto con altri giovani iscritti alle facoltà umanistiche del territorio, rivelando ciò che per noi è stata un’amara sorpresa e per loro solo una constatazione: la cultura è percepita dai giovani come mero intrattenimento, marginale e non come elemento costitutivo di un modo di essere. Responsabilità delle nuove generazioni, dell’educazione, delle istituzioni culturali? Lasciamo la domanda aperta.
 
Abbiamo ripreso le lecture in occasione dell’apertura dell’edizione 2017 della Fiera. Sono stati protagonisti i ragazzi e non un guest speaker. Hanno restituito i numeri con un’originale interpretazione artistica che ci ricorda che il pubblico “conta, non si conta”. In quella sede hanno incontrato il giovane imprenditore Fabio Viola, tra i più autorevoli nell’industria della gamification a livello internazionale, autore del primo video gioco museale –Father and Son, realizzato al MANN di Napoli- arrivato a oltre 1,2 milioni di download. Un’apertura di prospettive su mondi nuovi che incrociano la relazione con i pubblici e la loro partecipazione attiva, con una nuova narrazione del patrimonio.  
A seguire, a fine novembre, l’incontro con Matteo Ward, altro giovane imprenditore della moda etica che seguiamo fin dagli esordi e al quale abbiamo dedicato un approfondimento su queste colonne. L’incontro è stato dirompente. Il business può e deve essere sociale. La creatività ci può portare a concepire una nuova società.  Vi invitiamo a leggere le parole della generazione che molti indicano come “perduta”.

Le prossime lecture in programma: "Design sociale" con Fabio Mazzeo, "Arte e Scienza" con Salvatore Iaconesi e Oriana persico, "Cultura e Salute" con Catterina Seia.

 
 
A 23 anni Matteo Ward entra nel mondo della “Fashion Industry” grazie all’assunzione da parte dell’azienda “Abercrombie & Fitch”, per la quale lavora prima a Londra, poi a Milano e infine in diverse città della Germania; qui si deve occupare dell’apertura di nuovi punti vendita e di tutto ciò che ha a che fare con il ramo della comunicazione. Proprio quest’ambito gioca un ruolo molto importante per l’azienda, il cui obiettivo principale non è solo quello di vendere un prodotto, bensì più specificamente quello di trasmettere un vero e proprio “stile di vita”.
 
Nel 2013 avviene il tragico crollo del Rana Plaza, in Bangladesh, un edificio commerciale di otto piani impiegato per la produzione tessile, che intrappola e uccide più di mille persone e ne lascia ferite più di duemila. Quest’evento colpisce Ward a tal punto da spingerlo a rendersi conto che in quei 7 anni in cui ha lavorato nell’industria della moda non si è mai interrogato davvero sulla provenienza e la produzione dei capi d’abbigliamento, né su come fosse possibile che arrivassero a costare così poco.
 
Lavora in azienda per altri due anni, durante i quali riflette su come riuscire a cambiare gradualmente le cose dall’interno, senza darsi pace e sentendo che ormai quello non è più il suo posto.
Nel 2015 decide così di licenziarsi e di intraprendere un nuovo percorso di cambiamento radicale, tramite il quale poter ribaltare il mondo del “Fast Fashion” e generare consapevolezza in quante più persone possibile sui danni causati dalla seconda industria più inquinante al mondo.
 
Inizia un viaggio in diverse città europee, a partire da Barcellona, in cui testa le proprie abilità e le diverse modalità con cui coinvolgere le persone in ciò in cui crede. Decide di investire i suoi risparmi in questo viaggio e di documentare tutto su Instagram, arrivando ad avere un considerevole numero di follower; ottiene inoltre il sostegno del movimento globale “Fashion Revolution” e quello di altre aziende fra cui la “Surfrider Foundation”, che si occupa della salvaguardia degli oceani e delle spiagge, e la “Green Pop”, che si impegna nel rimboschimento e nella preservazione e ripristino di risorse naturali.
 
Ward sente poi la necessità di imparare da zero l’impostazione di un Business Plan, che sintetizzi al meglio i contenuti e le caratteristiche del suo progetto e che aiuti così a comunicare al meglio il proprio “purpose” per coinvolgere quante più persone in modo efficace. Nasce Wråd Living, associazione di persone che contribuiscono alla diffusione di uno stile di vita più consapevole e che desiderano darsi e dare ad altri una possibilità di cambiamento.
 
Il primo grande evento che dà a Wråd Living la possibilità di divulgare il proprio progetto e i propri obiettivi al mondo esterno è la Fashion Revolution Run, svoltasi il 13 dicembre 2015 presso il Parco Sempione di Milano: qui Matteo e i suoi collaboratori occupano cinque stazioni in cui chiunque può chiedere informazioni riguardo a tutto ciò che sta dietro alla produzione di capi d’abbigliamento e al suo impatto sulle risorse ambientali ed umane, con l’obiettivo di generare consapevolezza nelle persone. All’evento partecipa la stilista italiana Marina Spadafora, grande sostenitrice di una moda etica e coordinatrice della Fashion Revolution in Italia. Un grande contributo viene inoltre dato dalla rivista di moda “Vogue Italia”, che dedica all’evento un intero articolo e che cita il contributo di Wråd Living come associazione portatrice di consapevolezza e motivazione di agire.
 
Ward sente ora di aver raggiunto maggior consapevolezza riguardo ai propri obiettivi e ai mezzi con cui desidera raggiungere il proprio scopo e decide così di cominciare l’approccio a diverse aziende del settore che sostengano la sua causa e che collaborino nella ricerca di soluzioni.
 
Nel 2016 crea una campagna che spieghi l’intero percorso che Wråd Living ha compiuto e che ne illustri la “mission”: ispirare riflessioni intorno al tema fondamentale dell’impatto sull’ambiente e sulle risorse naturali della Fashion Industry e in particolare del Fast Fashion, il tutto tramite dei prodotti tangibili, dei “prodotti-manifesto” che veicolino consapevolezza e che incentivino al cambiamento.
 
Wråd vuole essere un movimento culturale dedito all’educazione e decide così di instaurare una collaborazione con diverse scuole, all’interno delle quali andare a fare interventi e workshop per coinvolgere quelle nuove generazioni che potranno più di chiunque altro portare in un futuro cambiamento e innovazione.
 
Wråd inoltre si pone fra i diversi obiettivi quello di divenire “innovatore tecnologico” e inizia questo percorso partendo da un’importante collaborazione, quella con Perpetua La Matita: si tratta di un’intuizione unica che vede racchiusi in una semplice matita quindici grammi di grafite altrimenti destinata ad essere sotterrata, poiché materiale di scarto. Quella che si viene a creare è infatti un’economia circolare: partendo dal blocco di grafite utilizzato durante la produzione di elettrodi si viene a creare una polvere non tossica che costituisce un mero costo aggiuntivo per il suo smaltimento. Grazie a Perpetua lo scarto diviene innovazione tecnologica, poiché la polvere, tramite un processo e delle tecniche innovative, viene trasformata in una matita interamente composta di materiale riciclato.
 
Dopo l’incontro con Perpetua Matteo Ward scopre che nell’antica civiltà romana la grafite veniva utilizzata come tintura per gli indumenti e che esiste un paesino della Calabria, Monterosso calabro, in cui il lino e la seta prodotti venivano spesso tinti proprio con la grafite. Ward e i suoi collaboratori più stretti decidono dunque di recarvisi per parlare con le anziane del paese e scoprire se vi sia ancora chi si ricorda delle antiche tecniche di tintura con grafite. Per sviluppare il progetto riescono inoltre a riaprire l’ultima cava di grafite esistente in Italia e a sviluppare nel corso di due anni una tecnica di tintura innovativa che non utilizza sostanze chimiche e recupera, per l'appunto, la grafite di scarto. Nasce in questo modo la “Graphi-tee”, una maglia in 100% cotone organico certificato GOTS, vincitrice nel 2017 del RedDot Design Award.
Ora che ha il prodotto, Ward deve tornare ad occuparsi della sua diffusione e della comunicazione della mission di cui esso è il veicolo.
 
Si concentra sul fatto che vi siano tre principali crisi di valori a livello mondiale: quella sociale, quella spirituale e infine quella ecologica. Proprio di quest’ultima fa parte la Fashion Industry che necessita ora più che mai di una rivoluzione nella produzione tessile, poiché la richiesta è arrivata a superare di gran lunga le risorse.
Ma proprio la crisi può diventare la migliore opportunità di progresso: la chiave sono gli individui, poiché proprio essi muovono il sistema e proprio essi hanno il potere di trovare alternative e soluzioni. Ciò che conta è che questa crisi emerga, che venga resa nota, che le singole persone possano venirne a conoscenza. Proprio per questo un primo passo avanti può essere compiuto anche solo smettendo di ignorare il problema, di chiudere un occhio e voltarsi dall’altra parte; come ha fatto ad esempio Stella McCartney, che produce un 10% del proprio abbigliamento in modo ecosostenibile e che riconosce e rende dunque nota l’effettiva esistenza di una crisi.
 
Durante gli incontri che Ward riesce a organizzare nelle scuole, vi è una parte laboratoriale introdotta dalla presentazione delle “cinque stazioni”: esse rappresentano i cinque principali “topics” della produzione tessile che hanno a che vedere con le risorse naturali, l’ambiente ed il suo inquinamento. Una volta terminata la loro presentazione, gli studenti vengono divisi in gruppi che dovranno rappresentare al meglio uno dei diversi argomenti appena elencati che li abbia particolarmente colpiti; per fare ciò dovranno produrre un vero e proprio capo di abbigliamento utilizzando scampoli di stoffe scartate e presentandolo poi con una sfilata.
 
La prima stazione è quella dell’acqua. Ward spiega come la produzione di una sola maglietta richieda in media l’utilizzo di 2720 litri d’acqua, mentre quella di un solo paio di jeans addirittura 9500. Il denim è inoltre il materiale più inquinante in assoluto e proprio per questo la città che ne produce i 2/3, Xintang in Cina, viene considerata la più pericolosa al mondo per il tasso di inquinamento presente.
La stessa coltivazione del cotone richiede un utilizzo spropositato di acqua, terreno fertile e pesticidi, rendendo questa pianta estremamente inquinante e impattante a livello ambientale. Ma rispettandone i cicli naturali e riuscendo così a evitare anche l’utilizzo di pesticidi, si riesce a risparmiare l’80/90% delle risorse d’acqua altrimenti impiegate ed è proprio questo ciò che si riesce a realizzare con la coltivazione di cotone organico.
 
La seconda stazione è quella delle sostanze chimiche: nello specifico dell’industria tessile, quelle utilizzate sono nove miliardi. Inoltre delle duemila sostanze chimiche generalmente impiegate per la produzione di un capo di abbigliamento, solo sedici sono approvate.
 
La terza stazione si occupa invece di combustibili fossili, spiegando come diversi derivati del petrolio, combinati con le fibre del tessuto tramite numerosi processi chimici, rendano il prodotto finale non riciclabile e dunque estremamente inquinante. Si consideri che una tonnellata di poliestere corrisponde a cinque tonnellate di anidride carbonica.
 
Vi sono infine la stazione dello scarto e la stazione del cambiamento climatico, che portano l’attenzione a quello che vuole essere uno dei numerosi “purpose” di Wråd e sicuramente ciò che ognuno di noi dovrebbe tentare di proporsi: allungare la vita degli indumenti che compriamo, rompendo il ciclo frenetico che il Fast Fashion ci induce a seguire e cercando di passare dai 35 giorni di vita media che un capo di abbigliamento ad oggi possiede, a quei 9 mesi di vita media che possono ridurre del 35% gli sprechi.
 
Camilla Riolfi, studentessa del secondo anno del biennio di Atelier Art Direction dell’Accademia delle Belle Arti di Verona
 
 
Diario di un incontro. Verona. 23 novembre. Accademia delle  Belle Arti
 
Dicono che siamo la generazione che non combatte. Rappresentiamo il sogno infranto delle generazioni passate. Dicono che siamo la generazione dell'ansia, delle crisi di panico.
Eppure da piccoli sognavamo di cambiare il mondo come tutti, di farlo migliore per noi.
Forse non siamo "tutti per uno, uno per tutti", ma qualcuno di noi riesce ad immaginare, anche non più bambino, un mondo migliore e riesce a trasformare questo immaginario nella forza necessaria a realizzare quello in cui crede.
A noi studenti del biennio specialistico in Atelier Direction dell'Accademia di Belle Arti di Verona, a questo proposito, è capitato di conoscere Matteo Ward.
Lui, la nostra generazione. Lui, un combattente vero.
L'eccezione che conferma la regola? Non direi.
 
Incontrare Matteo Ward è stato illuminante. Lui è come un vulcano: esplode. E noi non possiamo fare altro che seguirlo. Quando ci racconta la sua esperienza non sembra che debba scegliere le parole giuste da usare. Si fida delle sue parole così come si è fidato del suo intuito quando Wråd è cominciato. Matteo Ward porta avanti una rivoluzione che in questo momento storico è di fondamentale importanza e lo fa con stile, sotto tutti i punti di vista. Getta le radici per una rivolta di cui tutti vorremmo essere partecipi.
Ed è credibile.
"Wråd non è un brand, è uno stile di vita"- ci dice per cominciare il suo intervento. Si, perché non vende solo moda, ma l'idea, soprattutto, di una moda pulita. E noi, consumatori di immagini e di tutto, non possiamo che essere dalla sua parte.
L'esperienza che il biennio specialistico ha fatto con Matteo Ward è stata davvero incredibile. Noi siamo quella fetta di gioventù che ama parlare in modo diversi, nuovi. Ecco perché noi stiamo dalla parte di Wråd: è pura innovazione, ciò di cui noi ci cibiamo, quello che noi siamo, che dovremmo essere.
Nella promozione della sua grande idea Matteo Ward ha progettato un laboratorio che porta nelle scuole secondarie come "prova" che ciò che potrebbe sembrare un miraggio, con noi può essere realtà. Durante gli incontri che Ward riesce a organizzare nelle scuole, vi è una parte laboratoriale introdotta dalla presentazione delle “cinque stazioni”: esse rappresentano i cinque principali “topics” della produzione tessile che hanno a che vedere con le risorse naturali, l’ambiente e il suo inquinamento. Una volta terminata la loro presentazione, gli studenti vengono divisi in gruppi che dovranno rappresentare al meglio uno dei diversi argomenti appena elencati che li abbia particolarmente colpiti; per fare ciò dovranno produrre un vero e proprio capo di abbigliamento utilizzando scampoli di stoffe scartate e presentandolo poi con una sfilata.
Anche noi accettiamo la sfida e ci mettiamo alla prova nel suo laboratorio: si tratta di "vestire un'idea", di mettersi in gioco, buttarsi nel mondo con la forza di una voce che sa dove vuole arrivare. Non è così semplice ma abbastanza stimolante per arrivare a porsi delle domande a cui daremo delle risposte. Forse. Un giorno.
 
Dicono che siamo la generazione che non combatte. Ma noi siamo gli unici che possiamo dire, e lo facciamo, che NON È COSÌ!
 
Giulia Gabos, studentessa del secondo anno del biennio di Atelier Art Direction dell’Accademia delle Belle Arti di Verona
 
 
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