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Welfare di prossimità e raccolta fondi: come cambia il ruolo del fundraising se il welfare cambia

  • Pubblicato il: 15/07/2015 - 18:33
Rubrica: 
CONSIGLI DI LETTURA
Articolo a cura di: 
Marianna Martinoni

 

 Un volume concreto e operativo, scritto da professionisti del fundraising e del Terzo Settore per educatori sociali e operatori che si occupano di servizi alla persona, ma soprattutto per dirigenti di cooperative, presidenti e direttori di associazioni, amministratori delegati di fondazioni. Uno strumento efficace, da tenere nella propria cassetta degli attrezzi, con una grande sfida alla base: cambiare la mentalità delle organizzazioni non profit, perché la vita o la qualità della vita di moltissime persone dipende dalla capacità che avranno di pensare «out of the box»

Sulla copertina del volume – il cui titolo è «Raccolta fondi e welfare di prossimità. Fundraising e peopleraising per le professioni del sociale» (Libreria Universitaria Edizioni 2015) – c’è in bella evidenza un pittogramma: la sfida è quella di unire tutti 9 punti senza mai staccare la penna e l’unica soluzione per riuscire nell’impresa è “thinking outside the box”, l’uscire dai nostri stessi schemi mentali, tanto radicati quanto invisibili.
E’ questo il messaggio di fondo sotteso al bel volume curato da Luciano Zanin, consulente,  fundraiser e formatore, dal 2011 Presidente di ASSIF – Associazione Italiana Fundraiser e profondo conoscitore del Terzo Settore che rivolge alle organizzazioni non profit che operano con le comunità e con i territori un forte invito a credere che il cambiamento di paradigma sia possibile, oltre che più che mai necessario e urgente.
 
E’ vero infatti che il periodo di crisi che il nostro Paese sta attraversando da anni ha prodotto una trasformazione nelle scelte dei donatori (che, si badi, nonostante le difficoltà, continuano a sostenere le organizzazioni non profit). Uno di questi cambiamenti è la preferenza sempre più netta a donare per bisogni espressi dalle comunità, per sostenere servizi sociali per anziani, disabili, minori, nuove povertà, ma anche cultura, ambiente, sanità e scuola.
Un testo rivolto a tutti coloro che lavorano nel sociale ai diversi livelli, ma soprattutto a coloro i quali si trovano oggi a dover far fronte ad un contesto completamente mutato, in cui la necessità di trovare risorse diverse da quelle pubbliche sta spingendo le organizzazioni del Terzo Settore a rimettersi in gioco, alla ricerca di nuovi sostenitori, alla ricerca di donatori.
 
Ben lungi dall’idea di sostituire l’intervento della Pubblica Amministrazione con uno di tipo privato, Zanin e gli altri autori illustrano come sia possibile cercare e trovare all’interno delle stesse comunità in cui le organizzazioni operano competenze, risorse economiche, strumentali e umane che già esistono e che possono essere attivate attraverso lo strumento del dono, facendo convergere atteggiamenti pro-sociali e di sviluppo locale.
 
Per fare questo è però urgente che gli operatori stessi cambino la propria forma mentis, il loro modo di porsi con i propri stakeholder, siano essi finanziatori, potenziali donatori, fruitori dei servizi o pubblica amministrazione. Tutto questo all’interno di un sempre più auspicato nuovo modello di welfare, dove pubblica amministrazione, privato for profit e settore non profit si integrino, rispondendo così ai crescenti bisogni delle persone in modo sostenibile nel tempo.
 
 
All’interno di questa visione la domanda a cui gli autori danno risposta nel testo è quindi la seguente: in questo contesto, il fundraising può essere uno strumento utile?
E se sì, possono funzionare i modelli mutuati da esperienze estere e sbilanciati più sulle technicality che sulla relazione con il donatore?
Nel community fundraising più che la tecnica, potrà la relazione, ovvero quello speciale legame che si crea tra donatore e beneficiario che ha bisogno di aiuto per cambiare la propria situazione.
 
Bernardino Casadei - già presidente di ASSIFERO – anticipa nella prefazione al volume la nuova visione di fundraising e del ruolo del fundraiser che gli autori vogliono proporre. La sfida è quella di invertire il modo di pensare: anzichè partire dai bisogni delle organizzazioni che perseguono finalità sociali (ovvero risorse, in forma sia di denaro sia di volontariato) ci si concentri su ciò che le organizzazioni non profit hanno in abbondanza – ovvero senso, emozioni, relazioni  (tutti beni di cui la nostra società è affamata).
Al fundraiser venga dato il compito di valorizzare queste ultime, e quindi non tanto il compito di raccogliere soldi «vendendo» la buona causa dell’organizzazione, ma piuttosto quello di far incontrare persone interessate a soddisfare il proprio bisogno di senso, di relazioni e di emozioni con quelle organizzazioni operanti nel sociale che sarebbero perfettamente in grado di appagare questi bisogni, di dare risposta a tali esigenze, ma che, prive di adeguate risorse economiche, faticano a sopravvivere.
«In questo prospettiva – scrive Casadei – il donatore non sacrifica parte del suo reddito per aiutare gli altri, ma soddisfa i suoi bisogni più profondi. Il valore del contributo non è più nel fatto che il 90%, piuttosto che il 100% vada effettivamente a sostenere la causa scelta e nemmeno che l’ente stia utilizzando le somme raccolte nel modo più efficace, ma che la persona (il donatore ndr) è stata coinvolta in quell’iniziativa, che ne ha colto l’autenticità e che per questo la sua esistenza ne è stata illuminata».
Fundraising non più come mera messa in pratica di competenze e tecniche per raccogliere denaro dunque, ma vero «accelleratore di processi innovativi di organizzazioni e sistemi», fattore scatenante, detonatore che avvia nuovi percorsi virtuosi di cambiamento all’interno delle comunità per le comunità stesse. Il compito del fundraiser non sarà più tanto quello di raccogliere fondi o trovare volontari, ma quello di coinvolgere persone, aiutando le organizzazioni non profit a prendere coscienza del «tesoro nascosto al loro interno», di imparare a valorizzarlo e comunicarlo con l’obiettivo di «coinvolgere un numero crescente di cittadini in un’esperienza degna di essere vissuta».
 
Il volume nasce da un’esperienza sul campo di oltre quindici anni con organizzazioni che erogano servizi alla persona, cooperative sociali, associazioni, fondazioni, enti religiosi. Strutturato in 9 capitoli e articolato in circa 170 pagine, il testo offre un approccio e uno sguardo nuovo sul fundraising: i primi 3 capitoli illustrano le basi del fundraising, con definizioni e principi fondamentali che permettono al lettore di entrare nel mondo del fundraising. I capitoli 4 e 5 raccontano con dati aggiornati mercati e strategie utilizzabili a seconda degli interlocutori da coinvolgere. Il capitolo 6 affronta il tema della comunicazione, conditio sine qua non perché una organizzazioni non profit possa fare oggi fundraising. Il capitolo 7 è interamente dedicato al tema del people raising, tema spesso erroneamente considerato residuale rispetto a tutte le politiche di una organizzazione non profit. L’ottavo capitolo affronta con chiarezza  precisione gli aspetti fiscali del fundraising in Italia, con dati aggiornati fino all’introduzione della Legge di Stabilità 2015.
 
 
Nelle conclusioni, Luciano Zanin ribadisce il concetto che il welfare di comunità, o welfare 2.0 o qualunque modello di welfare che verrà, avrà bisogno di risorse che potranno arrivare solo dai privati. Come relazionarsi e coinvolgere i privati è la vera sfida di dirigenti e operatori delle organizzazioni non profit. Che devono cambiare e possono farlo, perché ci sono tantissime persone la cui vita o qualità della vita dipenderà da quanto i primi sapranno pensare «Out of the box».
 
Raccolta fondi e welfare di prossimità. Fundraising e people raising per le professioni del sociale, a cura di Luciano Zanin, Libreria Universitaria Edizioni, aprile 2015
 
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