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Uniti nella diversità

  • Pubblicato il: 20/12/2015 - 21:41
Rubrica: 
VOCI DALL'EUROPA
Articolo a cura di: 
Erminia Sciacchitano

Erminia Sciacchitano, esperto Mibact in forza alla Comunità Europea, ripercorrre un 2015 che ha segnato discontinuità paradigmatiche nelle politiche culturali comunitarie, che guardano ad una visione olistica, che abbatta le tradizionali frontiere di intervento settoriale, i «silos», realizzate attraverso una maggiore interazione fra i diversi settori, valorizzando le diversità. La sfida è complessa, ma avviata, complice l’accelerazione delle tecnologie,  in una direzione che interpreta la cultura come «commons», agisce innovazione sociale e pensa a governance partecipate
 
 
L’Europa ha scelto di percorrere una strada complessa: mettere la diversità culturale nel cuore del progetto europeo, tanto da adottare il motto Uniti nella diversità. Un modello che caratterizza l’Europa nel profondo, che individua nel rispetto per la diversità la precondizione per generare il senso di appartenenza ad uno spazio comune dove le persone interagiscono  su base egualitaria. La promozione e protezione della diversità culturale è infatti un obbligo previsto dai trattati e dalla Convenzione UNESCO del 2005 sulla protezione e promozione della diversità delle espressioni culturali che l’Europa ha sottoscritto e ratificato.
Ma come stiamo tristemente constatando in questi giorni, in assenza dello sviluppo di canali appropriati di espressione e mediazione, le differenze possono dividere le comunità anziché unirle, separarle, fino a minacciare le basi stesse della coesistenza pacifica nel nostro continente. Per questo motivo la promozione del dialogo interculturale e della diversità culturale sono due principi cardine che “informano” ognuna delle azioni condotte in campo culturale dall’Unione Europea.
Il 2015 è stato marcato da un passaggio importante nelle politiche culturali. Se, infatti, per lunghi anni ci siamo preoccupati di “giustificare” il sostegno alla cultura alla luce dell’impatto sull’economia e sulla società, oggi si riflette piuttosto su come generare questi benefici, attraverso scelte di politica economica e culturale capaci di valorizzare questa nostra ricca e preziosa diversità culturale.
Come testimonia questo giornale, ogni giorno, in Europa come in Italia, alcune “avanguardie” stanno sperimentando esperienze di innovazione sociale a base culturale, sviluppando in tal modo il capitale culturale, i raccordi trasversali e le competenze che occorrono per dare corpo a questa nuova generazione di politiche culturali, più integrate, inclusive e sostenibili. Ma è necessario agire in modo sistemico, proteggere e fare crescere le radici dell’innovazione a base culturale, per fare in modo che queste esperienze e queste energie non vadano disperse.
Non basta infatti convincere il resto del mondo che la diversità della cultura e del patrimonio culturale hanno un valore enorme come capitale sociale e per la qualità della vita dei cittadini europei, e per il loro contributo in termini di occupazione e indotto. Serve anche incentivare i settori culturali e creativi a guardare con occhi nuovi al proprio ruolo nella società, che è anche quello di mediatori, capaci di costruire ponti fra diverse comunità, aggregare diversi ambiti disciplinari, contaminare creativamente politiche settoriali apparentemente distanti, incentivare la partecipazione.
Come infatti osserva Pier Luigi Sacco, la cultura è un software sociale, “che ha effetto sulle dinamiche di innovazione ed è capace di generare a livello macroeconomico impatti indiretti economici e sociali decisamente maggiori di quello della produzione culturale.” Gli effetti possono essere certamente amplificati dalla crescita dei settori culturali e creativi, ma solo se la partecipazione è la più alta, inclusiva e attiva possibile, e pertanto consente la “riappropriazione” da parte dei cittadini e delle comunità delle risorse culturali, non solo come memoria del passato, ma come elementi fondativi per progettare il proprio futuro.
Questa è una delle motivazioni alla base del rapido aggiornamento dei quadri di policy culturale europei, che mirano a supportare gli Stati membri e i portatori di interesse nella gestione del cambiamento, riconoscendo e inserendo in un quadro sistematico le buone pratiche e approcci innovativi che si sono dimostrati efficaci, orientando e stimolando l’intelligenza collettiva. Su questo tema, in particolare, a maggio 2015 il Consiglio dell’Unione europea ha adottato Conclusioni sui crossover creativi per stimolare l’innovazione, la sostenibilità economica e l’inclusione sociale, sotto la Presidenza Lettone UE (vedi http://www.ilgiornaledellefondazioni.com/content/incroci-creativi-due-conferenze-sulla-cultura-nel-semestre-di-presidenza-lettone-dell%E2%80%99unione  )
Uno dei settori che ha più bisogno di rinnovare lo sguardo e’ il patrimonio culturale. Per questo l’attenzione si è concentrata su questo settore, e nel 2015, alle due Conclusioni del Consiglio sul “Patrimonio culturale come risorsa strategica per un Europa sostenibile” e sulla “Governance partecipativa del patrimonio culturale”, e alla Comunicazione della Commissione europea “Verso un approccio integrato per il patrimonio culturale per l’Europa, adottate nel 2014, già esaminate insieme (http://www.ilgiornaledellefondazioni.com/content/%E2%80%8Bdalleuropa-uno-sguardo-nuovo-al-patrimonio-culturale) si sono aggiunte un Opinione del Comitato delle Regioni e una Risoluzione del ha già espresso la sua opinione positiva sulla Comunicazione Parlamento europeo Verso un approccio integrato per il patrimonio culturale per l’Europahttp://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2015-0293+0+DOC+XML+V0//IT. Una lunga lista di documenti, adottati in meno di due anni, tanto più significativa se si pensa che le ultime conclusioni del Consiglio incentrate sul patrimonio culturale erano del 1994, 20 anni fa. Ci si sta infatti rendendo conto che le sfide di oggi trascendono i confini nazionali e che tutti portatori di interesse devono lavorare insieme per un approccio più integrato e partecipato a livello nazionale e di UE.
Questi documenti rompono alcuni schemi che impedivano l’affermarsi di una visione più olistica e integrata, mettono al centro la persona, sancendo l’abolizione delle barriere fra le dimensioni materiale, immateriale e digitale, e fra le dimensioni tangibile e intangibile, sostenendo il principio che creazione e conservazione sono elementi di un unico ciclo.
La nuova attenzione alla centralità della persona si riflette anche nella gestione e valorizzazione del patrimonio culturale, che diventano sempre più partecipate. Allo stesso tempo l’attenzione sembra spostarsi gradualmente dalla proprietà all’appartenenza, un concetto che rimanda all’insiemistica: perché siamo piuttosto noi ad appartenere a un luogo, più spesso che il contrario, ed è nutrendo e coltivando questo legame che si attiva il senso di responsabilità dei cittadini e delle comunità verso il patrimonio culturale, visto come risorsa condivisa e bene comune. Come è emerso alla Conferenza di Torino del 24 settembre 2014 Patrimonio culturale bene comune http://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/documents/1411369321904_Conferenza_Patrimonio_culturale_come_bene_comune,_Torino,_23-24.09.2014.pdf, il premio Nobel per l’economia Elinor Ostrom, (e come ben noto nel settore dell’ambiente) la percezione della limitatezza delle risorse è uno degli elementi di base perché una comunità possa  sviluppare una “terza via alla governance” dei beni comuni a livello collettivo, riuscendo così a evitare il sovra-sfruttamento e il degrado delle risorse. Non è un caso che l’attenzione internazionale sul valore del patrimonio culturale sia stata recentemente rinnovata da episodi di distruzione e traffico illecito. Peraltro recentemente il Comitato delle Regioni ha adottato il primo parere delle istituzioni europee sul tema della dimensione locale e regionale dell'economia della condivisione, aprendo a nuove prospettive in questo senso. http://cor.europa.eu/it/activities/opinions/pages/opinion-factsheet.aspx?OpinionNumber=CDR%202698/2015
Il valore aggiunto della prospettiva del patrimonio in quanto bene comune (commons) inoltre permette di affrontare  trasversalmente tutte  le  categorie  del  patrimonio  (materiale,  immateriale, digitale),  con un approccio interdisciplinare capace di legare insieme temi e aspetti generalmente trattati in modo distinto,  e di mettere in evidenza la questione della governance.
Il progetto “Cultural Heritage Counts for Europe: Towards a European Index for Cultural Heritage”, finanziato dal programma europeo Cultura (2007-2013) conferma che l’approccio integrato è la strada giusta se vogliamo agire “upstream”, costruire politiche in grado di generare impatti attesi. Ma l’architettura del sistema culturale è un prodotto del XIX secolo, in parte inadatta ad affrontare le sfide poste dalla competizione globale. Per questo motivo il Piano di lavoro per la cultura 2015-2019 ha istituito un gruppo di lavoro di esperti di Stati membri per individuare modelli innovativi per la Governance del patrimonio culturale, affrontando il tema di una migliore cooperazione tra diversi livelli di governance, settore pubblico, soggetti privati e la società civile. Il gruppo, che vede una partecipazione altissima degli Stati membri (25 + la Norvegia), produrrà un manuale di buone pratiche per la fine del 2016. Riferisce Rosaria Mencarelli http://www.ilgiornaledellefondazioni.com/content/verso-una-governance-partecipata
Utile a tal fine segnalare due studi realizzati dall’European Expert Network on Culture, su commissione della DG Educazione e cultura, hanno prodotto una riflessione utile a livello di policy http://www.eenc.info/eencdocs/papers-2/participatory-governance-of-cultural-heritage/ e un Mapping delle pratiche di governance partecipativa del patrimonio culturale esistenti negli Stati membri http://www.eenc.info/eencdocs/reports-documents-and-links/mapping-of-practices-in-the-eu-member-states-on-participatory-governance-of-cultural-heritage/
Parallelamente, la Commissione ha lavorato sullo stesso tema con la società civile, attraverso la nuova edizione della piattaforma di dialogo strutturato con la società civile: The Voices of culture, i cui partecipanti hanno elaborato un interessante documento di “brainstorming”. http://www.goethe.de/mmo/priv/14903520-STANDARD.pdf
Per lavorare con maggiore approccio integrato livello europeo è fondamentale che anche Stati membri, Regioni, enti locali, associazioni, portatori di interesse condividano questo approccio. Una prima occasione per mettere in pratica alcuni dei principi di visione integrata che abbiamo enunciato è fornita dalla programmazione dei Fondi strutturali, le stime ci dicono infatti che il FESR destinerà ancora di più che nella passata programmazione: circa 4.77 Miliardi di Euro per il patrimonio culturale (in confronto ai 3.2 Miliardi di Euro della stagione 2007-2013), di cui 4.26 alla “protezione, sviluppo e promozione del patrimonio culturale pubblico” e 504 milioni allo sviluppo e promozione dei servizi relativi alla cultura e patrimonio, oltre a Euro 251 milioni per la promozione degli asset creativi. Cifre da rivedere e confermare il prossimo anno, dato che programmi operativi regionali non sono stati ancora tutti approvati, ma che già ci dicono che le Regioni hanno scelto di investire in cultura più che nella passata stagione.  L’Italia è l’unico Stato membro ad avere dedicato un Programma Operativo Nazionale interamente dedicato alla cultura, quindi l’attenzione sul nostro paese è alta.
Per facilitare la messa in pratica di di questa nuova visione integrata, la Commissione europea ha pubblicato una guida per favorire le sinergie tra i fondi strutturali e di investimento europei, Orizzonte 2020 e altri programmi dell’Unione in materia di ricerca, innovazione e competitività. http://ec.europa.eu/regional_policy/it/information/publications/guides/2014/enabling-synergies-between-european-structural-and-investment-funds-horizon-2020-and-other-research-innovation-and-competitiveness-related-union-programmes
Ma bisogna continuare a promuovere e testare l’approccio integrato e intersettoriale anche a livello nazionale e locale perché questo funzioni. ICOMOS UK, è stata la prima organizzazione a reagire alle proposte europee, lanciando ha un manifesto in occasione del suo cinquantenario, cha va esattamente in questa direzione “Mainstreaming Cultural Heritage: Global Approaches” http://www.icomos-uk.org/about-us/50th-anniversary-conference/
 
Fino a due anni si usava ripetere che la cultura era ad un bivio. Per lunghi anni ci siamo preoccupati di “giustificare” l’intervento culturale valutandone l’impatto. Oggi il bivio è finalmente dietro alle spalle. Siamo più consapevoli che i settori culturali e creativi sono la spina dorsale di una nuova economia fondata sulla conoscenza e sui contenuti, contribuiscono concretamente alla crescita e occupazione e sono fattori di promozione della coesione sociale e del senso di appartenenza ad una comunità. Ma anche che occorre abolire le tradizionali frontiere di intervento settoriale, i “silos”, verso una politica culturale di carattere orizzontale, realizzata attraverso una maggiore interazione fra i diversi settori. Ci auguriamo che a quella di ICOMOS UK seguano altre iniziative nazionali per trasformare insieme l’Europa in un laboratorio di innovazione, e valorizzare la straordinaria diversità culturale europea.
 
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