Un Nuovo Umanesimo per la cultura manageriale del XXI secolo
Da “con la cultura non si mangia” a “la cultura è business” il passo è ardito. Spiragli di cambiamento nella visione?
Da quel non lontano 14 ottobre 2010, quando l’allora Ministro dell’Economia Tremonti uscì con l’infelice frase che fece il giro del Paese e ancora resta agli atti, sono trascorsi quasi sei anni. Il 20 maggio 2016, Stefano Cuzzilla, Presidente di Federmanager, la federazione che raccoglie i dirigenti e i manager dell’industria italiana, ha invertito il vento e dichiarato che cultura e management d’impresa devono viaggiare insieme perché in Italia cultura e business non sono mondi separati e ostili come da tempo molti provano a farci credere oppressi della logica dell’efficienza a breve tempo. E non solo per sottolineare l’importanza delle competenza manageriali all’interno delle organizzazioni culturali, ma proprio per ribadire che è nella relazione tra cultura e impresa che sta la partita che il nostro paese può vincere. Testo e contesto, diremmo noi, territorio e prodotto, bellezza e valore aggiunto.
L’occasione è stato il convegno promosso a margine dell'assemblea annuale di Federmanager Vicenza svoltasi nella sede del Cuoa a villa Valmarana Morosini intitolato "Il Rinascimento del XXI secolo: cultura, impresa, management".
Imprenditori illuminati, amanti della cultura e del bello ne abbiamo parecchi, dal Piemonte al Veneto alle Marche alla Calabria, persone che hanno saputo fare della loro passione per le arti una leva strategica per arricchire il loro brand e i loro prodotti di valori, significato e senso. Per restare nel Veneto, dove si è svolto il convegno, pensiamo a Bisazza, Trend, Arclinea, Dainese, Foscarini. Se si vuole andare più lontano, nelle Marche, Cucinelli impera con il suo borgo Solomeo ed Elica con i programmi per gli artisti e gli operai; non mi dilungo sulla lista, ma imprenditorialità e cultura vanno a braccetto da tempo.
Diverso è per i manager, più difficilmente stanabili, concentrati sulle trimestrali, sulla performance, sull’incubo dell’MBO o MBR (management by objectives o results, gestione per obiettivi o risultati) che basa la valutazione e la ricompensa solo sui risultati raggiunti a fronte di obiettivi prefissati, e non sulle competenze espresse né tantomeno sull’automotivazione, in un clima dove c’è poco spazio per la cultura, vissuta come perdita di tempo.
In un recente incontro all’interno del progetto “Pensieri stupendi” che conduco per i manager di CFMT sul valore del riposo e del silenzio, Pier Luigi Celli, ex manager nelle più importanti aziende italiane e autore di numerosi libri anche molto critici sul management, ha ribadito che sono molti i manager a non aver mai letto un romanzo.
Semplicemente non ne riconoscono il valore, troppo impegnati a raggiungere gli obiettivi di business ed efficienza fissati da un capo x sopra la loro testa. “La logica che guida le aziende è l’efficienza, ha detto Celli, che vuole il tempo breve, il quale impedisce di pensare a lungo, attività inefficiente. L’orientamento al fare prende il sopravvento e si perde la logica dell’azione che prevede una riflessione, prevede del tempo perso, unico modo per guadagnare tempo”.
E per questo Celli per anni ha sperimentato nelle aziende dove è stato dirigente e spesso capo del personale iniziative di meditazione d’impresa, lettura, filosofia, incontri con le neuroscienze, momenti di riflessione anche all’alba, per manager persi nella rete dell’efficienza, tessuta più di posizioni raggiunte che di soddisfazione personale e relazioni umane.
È solo fermandosi a pensare, a guardare, a stupirsi di fronte alla bellezza dell’ingegno umano, della mano dell’uomo, della scrittura del poeta, della capacità di pensare e osservare del filosofo, è solo “perdendo tempo” che si possono riconnettere i frammenti che i manager vivono tutti i giorni, nel format della vita aziendale.
Fortunatamente cominciano a emergere studi e ricerche che sembrano andare in una direzione che vede alla base delle dinamiche motivazionali un forte peso della motivazione autonoma, che avviene quando una persona sente una pulsione interiore nel fare una certa attività o nel perseguire un determinato obiettivo. Là dove invece la motivazione estrinseca o controllata si manifesta quando una persona si sente forzata o spinta a comportarsi in un certo modo e a raggiungere certi traguardi.
Lo ha detto bene John Whitmore, uno dei padri del coaching, spiegando che “Il bastone e la carota sono motivatori pervasivi e persuasivi. Ma se tratti le persone come asini, otterrai una performance da asini.”
Proprio per non lavorare come asini ma come esseri umani motivati e non solo forzati dai risultati, dotati di senso e non solo alimentati da obiettivi di guadagno veloce o guidati dalla logica della procedure, consapevoli dei significati che traghettano nel loro lavoro e non solo concentrati sul valore della merce che vendono (che sia prodotto o servizio), i manager di oggi hanno più che mai bisogno di cultura.
E al convegno di Vicenza è emerso molto chiaramente, in una logica di consapevolezza che in tempo di crisi, di tsunami finanziari, di perdita delle certezze date, le imprese hanno bisogno di avere persone che non si fanno cogliere di sorpresa dall’evolversi della situazione e del contesto entro il quale devono operare, persone non affette da “fissità cognitiva” o concentrate eccessivamente sulle vie dirette, lineari, connesse al raggiungimento del risultato, ma piuttosto invece capaci di esplorare alternative, magari meno immediate.
“Guardando alla nostra storia si può osservare, riportava l’invito al convegno, che in un altro periodo lontano si sono manifestate situazioni molto simili a quelle attuali: grandi cambiamenti degli assetti geo-politici, profonde mutazioni nel panorama sociale ed economico, conflitti locali, nazionali ed internazionali. In questo panorama, caratterizzato da instabilità e forti rischi, è nato il Rinascimento Italiano. Proprio in quel periodo e in quello scenario, così critico, sono nate le forme più geniali e innovative della creatività nell’arte, nell’ingegneria, nell’economia, nella politica, nella scienza, nella manifattura e perfino nella comunicazione. Va ricordato che il Rinascimento è stato l’unico grande fenomeno culturale, artistico e scientifico tutto e solo italiano e che ha profondamente condizionato analoghi movimenti, comunque successivi, degli altri Stati europei. Un movimento che dalle antiche radici delle civiltà del passato ha saputo creare, sviluppare e diffondere opere, invenzioni e innovazioni in tutto il mondo allora conosciuto.”
Riportare la situazione attuale al Rinascimento è stato da parte di Federmanager un efficace stimolo per sollecitare gli interventi di alcuni manager illuminati quanto coraggiosi: Carlo Urbinati, che promuove l’azienda senza la fabbrica, fondatore di Foscarina, un’azienda nata nel 1983 a Murano che produce lampade dal Design Italiano, è stata sponsor della Biennale di Venezia per 7 edizioni dal 2008 al 2014, sostiene Inventario, un progetto editoriale che guarda al mondo del design, dell’architettura e dell’arte e nel nel 2014 è stato premiato con Compasso d’oro di ADI. “Non so se oggi ci sono i presupposti per un nuovo Rinascimento, ha detto Urbinati. L'unico punto di contatto è che ieri la centralità era la persona, oggi la centralità è di chi, alla fine, decide di comprare o no. Nessuno ormai può fare a meno dell'innovazione. Ma questa deve garantire un valore aggiunto al cliente”. E Foscarini al centro mette anche chi gli oggetti li produce, perché non avendo fabbrica, può affidarsi ad artigiani straordinari, a persone specializzate in una cosa precisa magari usata in altri settori che applicata all’illuminazione crea innovazione e bellezza.
La persona al centro dunque, come valore riemerso dalle spoglie del Rinascimento o meglio ancora dell’Umanesimo. La persona che ci spinge a guardare avanti, a orizzonti lunghi, senza i quali si fa fatica a sopravvivere. “L’orizzonte è molto più ampio dei sei mesi o dell’anno e, se non c’è lungimiranza, questa orizzontalità è difficile che possa mantenere la sostenibilità delle aziende nel tempo, sempre Celli a parlare. Guardando le aziende che vent’anni fa erano all’onor del mondo, ne sono rimaste pochissime. È evidente la strage che ha fatto una logica dell’efficienza”.
A intervenire a Vicenza c’era anche Paolo Franceschetti, amministratore delegato di Solwa, del Santex Rimar Group. Giovanissimo, geniale, ha trasformato la sua tesi di laurea in un’impresa molto innovativa, che desalinizza le acque e produce sistemi anche di piccole dimensioni per essiccare i fanghi. Lui, con la visione dell’ambiente come approccio culturale ampio e partecipativo, ha parlato invece di «sensibilità ambientale come cultura sociale». A 34enne ha "rivoluzionato" il sistema di depurazione dell'acqua e ha adottato nella gestione aziendale un sistema di condivisione mentale” nei Paesi dove esporta, e sharing manageriale qui in Italia. In azienda sono in 5 e prendono in prestito manager e ingegneri al bisogno; nei paesi ad alto tasso di povertà dove esportano la loro tecnologia, non vendono macchine ma brain. “Il futuro, ha detto, sarà costituito più da una condivisione di idee che di oggetti. Oggetti che devono essere su misura di chi è intenzionato a comprare”.
Si prospetta così una nuova era dove l’Italia può divenire una grande fabbrica di idee, là dove gli oggetti vengono prodotti a basso prezzo altrove.
Un’altra sopresa nel parterre di Vicenza è stato il direttore del museo Egizio di Torino Christian Greco, invitato perché vicentino di origine, trasportato in Olanda per gli studi e approdato a Torino con visione e spirito d’impresa eccezionali. Mette in guardia sul ruolo del museo, che non deve essere solo luogo di intrattenimento ma sempre più di formazione. “La cultura è un valore aggiunto solo se alle spalle ci sono programmazione e investimenti, ha detto. E per fare i manager nella cultura ci vogliono competenze specifiche». La ricetta, sostiene Greco “è trasformare i musei in centri di ricerca in modo da permettere di trovare le risorse per nuove esposizioni e incrementare il patrimonio”. L'Egizio di Torino è in questo senso un esempio di gestione virtuosa, “tanto che si mantiene da solo”. E tanto da aver ricevuto da un grande manager americano un dono di 200 mila dollari dopo che il suddetto signore ha fatto una visita guidata al Museo Egizio raccontato da Greco.
John Kotter (professore emerito di leadership alla Harvard business School e autore di Guidare il cambiamento. Rinnovamento e leadership) scriveva sulle pagine dell’Harvard Business Review che la grande sfida dei manager e degli imprenditori è quella di restare competitivi in un contesto di turbolenza e rottura, che sembra mettere in continua discussione la cultura organizzativa come la si è conosciuta fino a ora. L’articolo è del 2012, vale nel 2016.
Oggi parliamo di Rinascimento del XXI secolo. Torniamo per un momento al Rinascimento del XIV secolo, quello nato a Firenze e che segna il passaggio dal Medioevo all’età moderna. Un periodo di grandi cambiamenti economici, politici, religiosi e sociali. Anche allora vivevano la questione orientale con l’ espansione dell’impero ottomano e dall’altro si stavano affacciando i nuovi Stati Moderni e le monarchie nazionali come quella della Francia e dell’Inghilterra.
Oggi, insieme alla questione orientale, si prospetta il rafforzamento dei nuovi grandi centri di potere economico dei paesi non più in via di sviluppo, ma ormai da tempo pienamente sviluppati.
In ambito economico la scoperta dell’America corrisponde oggi alla scoperta e diffusione della rete e dunque della globalizzazione.
In ambito religioso siamo nel periodo della riforma protestante che aveva l’obiettivo di rinnovare la chiesa romana corrotta. E oggi? Non c’è qualcuno che all’interno della chiesa stessa sta cercando di rinnovarla? È un uomo della svolta, così almeno appare.
In ambito artistico poi i parallelismi sono ancora più facili.
La parola Rinascimento pare sia stata coniata da Jules Michelet che la usò nel 1855 per definire la scoperta del mondo dell’uomo e poi Burchardt la ampliò alla nuova percezione dell’uomo e del mondo che gli stava attorno.
Homo faver ipsius fortunae, l’uomo è artefice della propria fortuna.
Oggi questo concetto viene ampliato in l’uomo è artefice della fortuna propria, dei suoi simili e delle generazioni che vengono.
Come ha spiegato bene in una recente intervento lo scrittore Jostein Gaarder (autore de Il mondo di sofia e de Il mondo di Anna), impegnato ambientalista, si deve ampliare il principio di reciprocità, non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te, verticalizzandolo in fai alla prossima generazione ciò che vorresti che la generazione precedente avesse fatto a te.
Va recuperato il concetto di Comunità, come diceva Olivetti e come scrive ora lo psicanalista Luigi Zoja, non come nucleo chiuso, ma come sistema di relazioni prossime che vive su valori condivisi, non sclerotizzati né congelati, ma messi in continuazione alla prova, questionati e rinnovati, permeabili e insieme radicati su principi storici.
Come scrive Piero Bassetti nel suo “Svegliamoci Italici” pubblicato da Marsilio, “la nuova comunità italica non disporrà di linee divisorie o confini netti e riducibili a documenti formali. Ma dovrà costruirsi attorno a collanti che potranno sovrapporsi ai richiami nazionali. Tali collanti dovranno basarsi su prassi di tipo organizzativo e su simbologie altre da quelle superate. L’identità non nascerà da bandiere o glorie belliche, ma prenderà forma intorno a elementi come storia e valori condivisi da ricercare nell’ambito di logiche nuove”.
In fondo cosa sono le Organizzazioni se non sistemi di relazioni, insiemi di connessioni spesso invisibili e del tutto indipendenti dalle gerarchie formalizzate negli organigrammi?
Ciò che siamo lo dobbiamo alla relazione con il contesto che ci circonda e con le persone con cui ogni giorno entriamo in contatto, direttamente o indirettamente, consapevolmente o in maniera automatica. Di queste persone siamo chiamati a prenderci cura, a queste persone siamo chiamati a prestare ascolto, si, prestare, perché poi l’ascolto ci torna indietro in ascolto, attenzione e condivisione.
E chi è il manager oggi se non un grande orchestratore di reti, relazioni e flussi? Colui che è chiamato a creare il contesto giusto perché le persone comunichino tra loro, lavorino con passione e agiscano per il bene dell’azienda senza sacrificare il proprio benessere?
La parola Innovazione è un mantra, ma in questi ultimi dieci anni anche i contenuti di questa parola sono molto cambiati. Possiamo oggi vedere, oltre all’innovazione incrementale e radicale, anche l’Innovazione sociale (la trasformazione dell’economia attraverso la trasformazione delle dinamiche sociali e relazionali, ossia attraverso la trasformazione delle persone e delle loro relazioni, tra di loro e con il contesto che le circonda), che è la grande rivoluzione di questi ultimi dieci anni: si basa su diversità, partecipazione, co-creazione, identità plurali e muove dinamiche centrali nell’economia e nelle organizzazioni di oggi:
- Motivazione (tra i beni più preziosi delle imprese)
- Dialogo (necessario perché nessuno può più lavorare da solo)
- Confronto (necessario per fare scarti nella ricerca e in ogni processo di sviluppo)
- Senso di appartenenza e di poter incidere in prima persona nel cambiamento
- Tolleranza
- Rottura dei confini del sapere (barriere che si rompono e confini di sapere o di competenze che si muovono)
- L’unione di competenza verticali con competenze orizzontali (parleremo di questo dopo)
Il futuro dell’innovazione dipende
- dal coraggio delle visioni di chi la guida
- dalla capacità di mettere in comune le idee
- dalla forza delle nostre speranze in un mondo migliore
- dalla capacità di imparare dai nostri errori
In quest’ottica si dovranno concentrare tutti gli sforzi nel creare prodotti e servizi non solo utili ma anche dotati di senso e contenenti, di un pensiero, prodotti e servizi che aiutano le persone a vivere meglio producendo significati e non solo rifiuti.
Da questo punto di vista, elemento cruciale è quello di costruire territori di apprendimento reale, non tanto di nozioni e contenuti imparati in maniera meccanica, ma di esperienze ed emozioni, dove le persone imparano ad imparare (ossia a conoscere cose nuove in maniera umana), a dialogare, a scambiare saperi e metterli a fattor comune. E questo nella scuola, nell’università e nelle organizzazioni d’impresa.
© Riproduzione riservata
Bibliografia
John Whitmore, Coaching, Alessio Roberti Editore (3 ottobre 2012)
Pier Luigi Celli, Capitani senza gloria. Vizi e virtù dei manager, Codice Edizioni (18 marzo 2016)
Daniel Pink, Drive – The Surprising Truth About What Motivates us, Canongate Books (13 gennaio 2010)
L’Impresa Rivista Italiana di Management, “La motivazione non si compra con il denaro”, nr. 7 luglio-agosto 2014
John Kotter, Guidare il cambiamento. Rinnovamento e leadership
Piero Bassetti, Svegliamoci Italici, Marsilio (12 marzo 2015)
Jostein Gaarder, Il mondo di Anna, Longanesi (24 aprile 2014)
Link:
https://complessita.wordpress.com/2014/07/09/quando-obiettivi-ed-mbo-abbattono-la-performance/