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UN ARCHIVIO DI STORIE E MEMORIE NEL CUORE DI NAPOLI

  • Pubblicato il: 14/04/2017 - 23:38
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI D'ORIGINE BANCARIA
Articolo a cura di: 
Arianna Rosica

Oltre 330 stanze nel cuore del centro storico di Napoli, quattro piani, faldoni su faldoni: è l’Archivio Storico del Banco di Napoli, l’archivio bancario che racchiude le memorie degli antichi banchi pubblici napoletani dal 1539.  Storie e memorie della città raccontate ai visitatori grazie alla Fondazione il Cartastorie con il suo percorso multimediale permanente Kaleidos.  Tante le attività culturali, fra cui la mostra di Antonio Biasiucci, che nel 2016 ha inaugurato il programma Residenze d’Artista – Arte Contemporanea Fondazione Banco di Napoli, curato da Gianluca Riccio, docente universitario, critico e curatore. 
In quanto ente strumentale della Fondazione Banco di Napoli, la Fondazione il Cartastorie è entrata a far parte del circuito Museimpresa per perseguire, insieme all’Associazione, obiettivi di interesse sociale e di promozione dello sviluppo economico e culturale, cercando di coinvolgere il territorio nazionale con una apertura al panorama internazionale. “L’idea è quella di utilizzare ogni possibile forma di arte per fare in modo che l’Archivio possa narrare e divulgare alcune delle storie che sono in esso racchiuse. In tale ottica abbiamo organizzato un Museo multimediale permanente, laboratori di scrittura, laboratori teatrali, un laboratorio di poesia, residenze d’artista”, commenta Daniele Marrama, presidente della Fondazione Banco di Napoli. Scopriamone le specificità  attraverso il racconto a due voci dei suoi protagonisti.
 


Avete inaugurato il programma di residenze della Fondazione Banco di Napoli con la mostra di Antonio Biasiucci, artista di fama internazionale, ma fortemente radicato al territorio napoletano. Come proseguirete questo progetto anche alla luce delle storiche esperienza delle installazioni in Piazza del Plebiscito, sempre sostenute dalla Fondazione, che negli anni hanno visto succedersi gli interventi di Mimmo Paladino, Jannis Kounellis, Mario Merz, Gilberto Zorio, Giulio Paolini, Anish Kapoor, Joseph Kosuth, Rebecca Horn, Richard Serra e Luciano Fabro?
Gianluca Riccio, curatore. L’idea di fondo è accostare, nell’arco del primo triennio di attività, artisti che siano espressione del genius loci napoletano e campano con artisti provenienti da geografie apparentemente distanti da Napoli e dalla sua storia artistica, almeno da quella più recente. L’impegno della Fondazione verso l’arte contemporanea ha incrociato nel passato esperienze centrali nel rilancio di Napoli sulla scena artistica internazionale. La scelta di partire con il doppio progetto Codex / Moltitudini di Antonio Biasiucci in qualche modo interpreta il senso di un legame forte con la stagione cui facevi riferimento, culminata nell’apertura del Madre, ma allo stesso tempo indica la volontà di riprendere il filo di una storia che affonda le sue radici più indietro nel tempo, tra anni settanta e anni ottanta. Antonio è figlio di quella stagione e tutto il suo percorso di ricerca risente in profondità della contaminazione tra l’ancoramento del suo immaginario a una dimensione antropologica e naturale fortemente connotata e la sperimentazione d’avanguardia che si sviluppa a Napoli in quegli anni quando si assiste a un contatto e, per certi versi, a un’ibridazione tra alcune delle più importanti esperienze della ricerca artistica internazionale che arrivano in città grazie all’azione di alcuni galleristi illuminati (con Lucio Amelio in testa) e le nuove realtà del teatro sperimentale che fioriscono in Campania in connessione con la ricerca europea e internazionale (Falso Movimento guidato da Mario Martone, che esordisce proprio negli spazi della galleria Amelio di Piazza dei Martiri, Antonio Neiwiller, il Teatro Studio di Toni Servillo, esperienze poi confluite nel progetto di Teatri Uniti).  Stiamo valutando per il 2017  in questi giorni la possibilità di sdoppiare l’offerta ‘annuale’ della Fondazione realizzando, in tempi diversi, due interventi site-specific nello spazio dell’Archivio. Il 2018 invece si aprirà con  Christian Boltanski, che da poco abbiamo ospitato a Napoli per un primo sopralluogo, e si concluderà con un progetto collettivo ispirato alle origini del Banco che vedrà coinvolti i diversi artisti ospitati in residenza in questo primo triennio insieme ad altri tre o quattro invitati a realizzare una mostra ‘diffusa’ nel territorio cittadino imperniata intorno allo spazio dell’Archivio storico. Nel caso delle residenze così come in quello del progetto di mostra collettiva è riflessa l’idea alla base dell’intero progetto, che se da un lato insiste sulla necessità di ospitare artisti che a Napoli non sono mai stati, non hanno avuto l’occasione di lavorare o che l’hanno conosciuta in un passato ormai lontano, dall’altro, lungo questa strada, tenda a rinforzare il dialogo tra generazioni diverse in grado di offrire punti di vista trasversali intorno a uno spazio comune.

Una peculiarità del progetto è il dialogo con lo spazio molto connotato dell’Archivio Storico. Quali le caratteristiche principali di questa architettura? Come si rapportano gli artisti con essa?
Gianluca Riccio. L’Archivio è ospitato nel seicentesco Palazzo Ricca alla fine di via dei Tribunali, nel cuore del centro storico della città, cardine di una ‘geografia’ che nello spazio di poche centinaia di metri comprende tra gli altri, Pio Monte della Misericordia, Museo Madre, Fondazione Morra Greco, la più recente Made in Cloister e, appena più a nord, il Museo Archeologico Nazionale, formando uno straordinario circuito di offerta culturale in cui l’incontro tra antico e contemporaneo restituisce la fisionomia di un luogo in cui memoria e sperimentazione convivono come parti di un dialogo ininterrotto attraverso la storia secolare della città che arriva sino ai giorni nostri. La struttura dell’Archivio, distribuito su quattro piani, si presenta come uno spazio labirintico articolato in una ininterrotta sequenza di oltre 330 stanze. Di fronte a questo luogo così fortemente connotato, la prima reazione degli artisti, almeno di quelli che finora lo hanno visitato ed abitato, è quasi sempre di sgomento. Tutti, diversamente, dichiarano in partenza l’enorme fascinazione verso il luogo e al contempo il senso di un’impossibilità a intervenire, a sovrapporre il proprio segno a quello così marcato che il tempo sembra aver scolpito in quelle stanze. Quello che ne scaturisce è una fase di elaborazione e di confronto, talvolta di vero e proprio corpo a corpo, tra la sensibilità degli artisti e la forza evocatrice dello spazio da cui, ogni volta, scaturisce l’identificazione di un perimetro che si fa misura della relazione tra l’io dell’artista e la moltitudine d’incerte identità nascoste nelle pieghe di quei faldoni secolari.
Questa idea di limite, segnato dall’identità dell’Archivio e dalla presenza dei materiali che custodisce, mi ha affascinato enormemente sin da quando, su indicazione di Daniele Marrama ho iniziato ad elaborare il progetto: da subito cioè, sono stato persuaso di dover costruire un percorso teso alla forzatura dei limiti che rendono quel luogo una struttura completamente autosufficiente, in un certo senso anche da un punto di vista estetico, ma, al tempo stesso, convinto che tale forzatura avesse ragione di essere solo se tesa a una trasfigurazione o a un rilievo del patrimonio materiale e simbolico dell’Archivio e che fosse perciò indirizzata a marcare ulteriormente, e magari ad allargare, quei confini apparentemente immobili e immutabili.
 
Quali sono i criteri in base ai quali sono individuati gli artisti? C’è uno specifico “fil rouge” che li accomuna?
Gianluca Riccio Dal principio, per strutturare le linee guida del progetto ho avuto in mente un’idea preordinata alla ricerca di un possibile filo rosso – tematico, generazionale, stilistico, ecc. – che mi guidasse nella scelta degli artisti. Si tratta del concetto di ‘pubblica intimità’, che, desunto dal titolo di un libro di Giuliana Bruno, mi ha offerto la possibilità di dichiarare in partenza le ipotesi e la direzione in cui intendevo muovermi, insistendo da un lato sulla necessità di recuperare il valore dell’esperienza singolare dell’arte e della storia per arrivare a interrogare il presente, e dall’altro, su questa base, dar vita a un progetto culturale essenzialmente pubblico, fuori dai limiti talvolta un po’ asfittici della museificazione in cui l’arte è sempre più costretta
 
Alcune domande ora al Presidente Daniele Marrama, in questi giorni nelle cronache  per presunte irregolarità nel ruolo da privato professionista nel progetto “Le porte dei parchi” che riguarda interventi su aree monumentali e a interesse storico-culturale in provincia di Caserta.  Lasciamo fare alla magistratura il suo corso e concentriamoci sul ruolo che svolge la Fondazione Banco di Napoli su un territorio dove operano già molte realtà attive nel campo della cultura. Quale la vostra specificità?
Nel nostro territorio le realtà attive nel settore della cultura non saranno mai troppe. C’è tanto da valorizzare. Il centro storico di Napoli può trovare una nuova primavera solo attraverso la  sua offerta turistico-culturale. In nessun luogo al mondo si può trovare tanta ricchezza in un così piccolo fazzoletto di terra. La nostra specificità è quella di custodire, all’interno del nostro Archivio, le storie di ognuna di quelle realtà, dalla loro edificazione alla loro attività quotidiana.
Intorno al nostro Archivio abbiamo costruito un progetto culturale che abbiamo denominato il Cartastorie. L’idea è quella di sfruttare ogni possibile forma di arte per fare in modo che l’Archivio possa narrare e divulgare alcune delle storie che sono in esso racchiuse,  in doppia lingua (italiano e inglese).
 
Negli anni la Fondazione Banco di Napoli ha supportato molte iniziative culturali. Con la sua presidenza che obiettivi si è posto? Quale la sua mission?
Aprire la Fondazione Banco di Napoli alla città e non solo e di “lanciarla” nel terzo millennio. Al di là del progetto di valorizzazione artistico-culturale del nostro Archivio e della nostra storia secolare, la Fondazione – statutariamente – conferisce contributi economici a realtà del terzo settore che operano in quattro settori: educazione e formazione; arte e beni culturali; volontariato ed assistenza; ricerca scientifica.  Questo approccio, in ogni ambito.
 
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