Un apolide nella città delle donne
Mamiano di Traversetolo (Pr). L’ossessione di Massimo Campigli (Berlino, 1895-Saint-Tropez, 1971) per l’enigma femminile, più volte indagato nelle sue opere, può essere interpretata in una lettura psicanalitica della sua infanzia anomala di figlio illegittimo di una benestante adolescente tedesca che lo rese tedesco di nascita, italiano di formazione, parigino per cultura, egizio, etrusco, romano, mediterraneo per elezione. Alla Fondazione Magnani Rocca, a cura di Stefano Roffi, dal 22 marzo al 29 giugno, la mostra«Campigli. Il Novecento antico» propone le donne simbolo del pittore: eleganti, ingioiellate, prigioniere (nella foto, «Ritratto di Irene Brin», 1954). Sono esposte oltre 80 opere dagli anni Venti agli anni Sessanta e per la prima volta affiancate quattro tele che l’artista teneva nel proprio atelier. La concomitanza tra la pubblicazione del catalogo generale realizzato dagli Archivi Campigli (cfr. lo scorso numero, p. 20) e la mostra riporta l’attenzione su uno dei pittori di spicco del Novecento italiano, assente dalla grande scena espositiva dopo una retrospettiva in Germania nel 2003. Cinque le sezioni dell’attuale rassegna: «Ritrattistica», con personalità della cultura, della mondanità, dell’entourage dell’artista; «La città delle donne»; «Figure senza identità» ritratte in scene di gioco, spettacolo e lavoro; «Dialoghi muti» fra coppie fisicamente vicine ma incapaci di comunicare; «Idoli», dalle figure ieratiche degli anni 1920 a quelle di ispirazione primitiva dagli anni 1950 in poi. Il catalogo è pubblicato da Silvana Editoriale con testi di Luca Massimo Barbero, Nicola Campigli, Mauro Carrera, Nicoletta Pallini, Paolo Piccione, Stefano Roffi, Rita Rozzi, Sileno Salvagnini, Eva e Marcus Weiss.
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da Il Giornale dell'Arte numero 340, marzo 2014