Un anno del nuovo corso del Giornale delle Fondazioni
Con gli auguri per il 2016 ai lettori crescenti della nostra testata, la riflessione dell’editore, prof. Giuliano Segre su un anno del nuovo corso del Giornale delle Fondazioni
L’editoria giornalistica italiana è alla ricerca di una dimensione congruente con un mercato attraversato da crisi grandi della carta stampata, da resistenze incerte dei supporti televisivi e da speranze diffuse su tecnologie innovative capaci di raggiungere l’individuo.
L’età media dei lettori sale ormai da tempo; quella degli spettatori televisivi (in senso lato, streaming compreso) non tende più a diminuire; quella dei comunicatori solitari è incalcolabile, su un numero sempre crescente di appartenenti a tutti i livelli della piramide demografica. Dunque un consolidamento di esperienze di comunicazione, fatta e/o ricevuta, piuttosto ripetitive nei modi e di difficile innovazione specifica negli strumenti, che portano informazione sempre più minuta (e incontrollata). Il substrato culturale dell’informazione si va assottigliando e con esso le parole, che vengono sempre più spesso sostituite dalle immagini: prendiamone atto e lavoriamoci su.
Una via, ormai matura ma non esaurita, di informazione si appoggia sulla tecnologia della comunicazione istantanea, anche se riguarda fenomeni che hanno avuto un percorso esistenziale di più lunga durata. Dunque l’informazione deve giungere «subito» al ricevente, senza controlli, nemmeno quelli diretti dell’informatore. Il mondo “social” così lavora e man mano l’informazione viene offerta «con beneficio di inventario», inventario che deve fare il ricevente, ma che sovente non fa. L’informazione è quindi virtuale e diviene reale solo quando il fatto è sotto gli occhi di tutti. A quel punto però non interessa più.
Il ritorno a sistemi più compiuti è ora necessario, anzi diventa una garanzia di percorso culturale che può/deve diventare collettivo. A questo si è dedicata la Fondazione di Venezia e questo – che è ora in lettura – è il prodotto. Dopo un anno - l’anno di un nuovo inizio, l’avevamo chiamato a gennaio - se ne possono trarre i primi consuntivi
La testata – nata per iniziativa dell’editore torinese Umberto Allemandi e quindi fortemente connotata da stilemi dedicati alla cultura – ha una origine cartacea in accompagnamento al «Giornale dell’arte». Il supplemento, allora annuale, dedicato alle Fondazioni si è poi evoluto in un sito capace di produrre informazione on-line permanente sui medesimi argomenti. Quel sito venne ceduto tre anni fa alla Fondazione di Venezia all’interno di una complessa operazione azionaria, all’esito della quale la Fondazione usciva dal capitale della Allemandi Editore, mantenendo il più possibile un ruolo – anche amicale – nei confronti della casa editrice torinese e del suo geniale inventore. Dal sito la Fondazione estrasse una vera e propria testata giornalistica (non lo era ancora), poi depositata.
La Fondazione di Venezia è una delle ottantotto fondazioni di origine bancaria, nate nel 1990 da una legge, intestata all’allora Ministro del tesoro Giuliano Amato, essenzialmente preoccupata di privatizzare il nucleo pesante delle banche italiane che era ancora di natura pubblica. Avviata ad una vita responsabile verso la cultura (e a Venezia che altro poteva avere un così forte traino!) la Fondazione giunse presto a contatto con l’editoria, in un percorso che la portò negli anni duemila prima ad assumere una partecipazione azionaria in Allemandi Editore di Torino e poi in Marsilio Editori in Venezia. Di lì a poco nacque anche una esperienza editoriale autonoma consolidata in una rivista bimestrale «Venezia Musica e Dintorni», di grande qualità e successo, che giunta peraltro al n. 50 venne poi trasferita – anche in questo caso nell’ambito di una operazione azionaria – alla Fondazione «La Fenice», una delle tredici fondazioni liriche, volute inizialmente nel 2001 dal Ministro dei beni culturali Walter Veltroni: per la fondazione il carico redazionale – nonostante fosse ben coperto dalla competenza editoriale e scientifica di Leonardo Mello – era troppo pesante per la Fondazione di Venezia, staffata in maniera insufficiente.
Dopo un breve periodo di sospensione, le pubblicazioni sono ricominciate all’inizio del 2015. Con la sola pausa di agosto, ogni mese abbiamo cercato di tenere alto il dibattito su arte, cultura, e soprattutto su quello che è il vero centro delle nostre ricerche: le modalità di collaborazione tra pubblico e privato in questi settori, il racconto delle cosiddette best practices e la segnalazione di difficoltà o problemi nella cooperazione. Non sono i freddi quanto confortanti numeri – 70mila lettori, quasi 200mila pagine visitate – a sancire il ruolo che il Giornale delle Fondazioni ha saputo ritagliarsi nel mondo editoriale che si occupa di arte e cultura, bensì la rete di relazioni che si è creata in questo mondo.
Che non è piccolo: secondo il nono censimento generale Istat, le istituzioni non profit che nel 2011 si occupavano di «attività culturali e artistiche» erano 54.163. Quelle che hanno forma giuridica di fondazione sono 1.377 , incluse le 88 Fondazioni di origine bancaria. È vero che tra queste molte sono piccole o piccolissime, e con interessi molto particolari, mentre altre sono sicuramente più grandi ed efficienti. E poi ci sono anche le fondazioni di origine bancaria, che sono 88 ma che, per legge, si occupano anche di altri settori.
È un mondo che esiste ma che fatica a fare massa critica, che si muove in modo disomogeneo: una testata come questa diviene luogo di incontro privilegiato (probabilmente unico) fra realtà diverse, tra enti pubblici e attori privati, tra fondazioni e associazioni che si occupano di arte e cultura. Ma anche luogo di studio delle profonde modifiche nel mondo dei musei, dopo la riforma del Ministro Dario Franceschini; delle possibilità offerte dalla tecnologia per la conservazione e la valorizzazione dei beni culturali; del secondo welfare e del terzo settore, con un’attenzione particolare alla Expo Universale di Milano, della quale ora seguiremo e studieremo i lasciti culturali.
Con un rigore scientifico che ci viene riconosciuto dai lettori, abbiamo provato a tirare un po’ le fila in un mondo complicato ma mosso da molta energia e voglia di fare. Il progetto è appena agli inizi: la redazione verrà continuamente rinforzata, non tanto nel numero – che la composizione attuale è davvero interessante – ma negli argomenti e nelle fonti di informazione ad essa necessari.
A Catterina Seia spetta il merito della continuità fra la gestione «Allemandi» a Torino e quella fondazionale a Venezia: oltre ad aver edificato quel ponte ad essa ora compete la sostanziale direzione scientifica ed editoriale delle uscite programmate. Nell’ambito veneziano Giuliano Gargano assicura i collegamenti tecnico operative nella produzione e alla web factory Fine Tuning di Verona va il ringraziamento per la conversione digitale e per la collaborazione tecnica necessaria.
La mia presenza nel ruolo di direttore responsabile si associava a due caratteristiche totalmente personali, piuttosto che ad una vera competenza direttoriale: iscritto all’Albo da più di trenta anni fui – per una durata quasi analoga – Presidente della Fondazione di Venezia, quella che inizialmente era la Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia, che risulta ora essere il proprietario della testata. Il 1° luglio di quest’anno luglio ho lasciato quell’incarico per somma insuperabile di mandati espletati, perdendo uno dei due connotati per la presenza direzionale del Giornale, ma approdando contestualmente all’incarico di portare a termine il progetto flagship della Fondazione nella attuazione e nell’avvio di di un intervento di rigenerazione urbana che investe un ettaro centralissimo nella parte di terraferma della città di Venezia, che sta ora divenendo il fulcro della Città Metrcopolitana voluta dalla legge n. 56/2014. L’intervento attuerà nel suo spazio urbano un progetto edilizio di grande qualità elaborato dallo studio internazionale Sauerbruch e Hutton di Berlino e in corso di edificazione dalla impresa Maltauro di Vicenza; l’edificio ospiterà il Museo multimediale del Novecento la cui apertura è prevista per i primi mesi del 2018.
Il Giornale delle Fondazioni avrà un ruolo non da poco come antenna e come diffusore della cultura delle fondazioni a partire proprio da questo luogo culturale e dalla sua progressiva realizzazione e io con esso.
Ma «Una hirundo non facit ver» per le fondazioni di origine bancaria e esse dovranno – a parere di chi scrive – sempre più farsi progetto di una loro specifica attività, cercando così di superare la cattiva evidenza di pessimi azionisti di banche locali che in questi giorni stanno acquisendo in via sempre più diffusa. Il processo culturale che auspicabilmente ciascuna saprà avviare sarà l’alimentazione epistemologica per questo Giornale. Ecco perché questo secondo anno di nuova vita continuerà per lungo tempo a far crescere quello che nel primo abbiamo tutti attuato.
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