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Un anno ad arte

  • Pubblicato il: 23/06/2014 - 09:56
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Rubrica: 
FONDAZIONI D'ORIGINE BANCARIA
Articolo a cura di: 
Stefano Luppi

Firenze. Cos’è «Firenze 2014. Un anno ad arte», programma espositivo del Polo Museale di Firenze organizzato dalla società Civita e dai musei fiorentini con il sostegno economico dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze lo spiega bene la soprintendente Cristina Acidini: «Il programma espositivo, , giunto all’ottava edizione, propone mostre che ampliano e rinnovano l’offerta museale permanente, appuntamenti che sviluppano ed ampliano temi e vocazioni delle raccolte museali, valorizzando il patrimonio permanente con opportune integrazioni e accostamenti, all’insegna di una varietà che ad ogni edizione spazia lungo le coordinate della storia e della geografia». Due degli appuntamenti espositivi più attesi dell’anno sono «Jacopo Ligozzi ‘Pittore universalissimo’ (Verona 1547 – Firenze 1627)», alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti fino al 28 settembre per la cura di Alessandro Cecchi, Lucilla Conigliello e Marzia Faietti (catalogo Sillabe) e «Puro, semplice e naturale. Nell’arte a Firenze tra Cinque e Seicento» alla Galleria degli Uffizi fino al 2 novembre per la cura di Alessandra Giannotti e Claudio Pizzorusso (catalogo Giunti). Si tratta di due mostre, comprese nel percorso dei due musei statali fiorentini, che aggiungono molto allo studio della storia dell’arte, trattando temi magari di non immediata comprensione ma che se approfonditi permettono al visitatore di meglio interpretare l’arte tra i secoli XVI e XVII. Della monografica di Ligozzi, che ha una utilissima appendice presso il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, si sentiva la mancanza che ora è matura dopo gli innumerevoli studi proposti nel tempo da Mina Bacci, Alessandro Cecchi, Lucia Tongiorgi Tomasi, Lucilla Conigliello. Ligozzi nasce a Verona nel 1547 e discendente da una famiglia di ricamatori milanesi, figlio del pittore Giovanni Ermanno, si sposta presto a Firenze dove nel 1577 è documentato alla corte granducale di Francesco I de’ Medici dove rimase stabilmente fino alla morte. Certo Ligozzi è ormai notissimo per i suoi disegni di «naturalia e animalia», ma qui ora si può comprendere tutta l’attività del pittore veneto che a corte impiantò una fiorente bottega. Costui era un importante ritrattista, pensiamo solo agli esposti ritratto femminile degli Uffizi e ritratto di Maria Gonzaga del Museo Nacional di Lisbona, ma anche un sapiente regista di insiemi decorativi. Tanti anche i dipinti di storia o gli apparati effimeri documentati per le nozze di Ferdinando I e Cristina di Lorena, ma soprattutto il pubblico vedrà, e presumibilmente apprezzerà, le opere relative alle «allegorie morali»: l’Allegoria della Redenzione oggi Locko Park, l’Allegoria dell’Amore che difende la Virtù contro l’Ignoranza e il Pregiudizio commissionata probabilmente da Francesco I, l’Avarizia del  Metropolitan Museum di New York tra le altre. Successivamente il percorso prosegue con la produzione religiosa, alla quale il pittore si dedicò fin dagli anni del servizio presso la corte medicea e che intensificò sempre più: grandi pale d’altare eseguite per chiese fiorentine, dalla SS. Annunziata, a Santa Maria Novella, Ognissanti e Santa Croce, nonché per le chiese dell’Aretino, per Lucca e San Gimignano. La mostra degli Uffizi apre invece la discussione sul tema dell’arte fiorentina erroneamente definita «passatista», quella se segue la cosiddetta Maniera e si svolge tra gli ultimi secoli del ‘500 e i primi del ‘600. I curatori ora parlano di «Novità della tradizione», prendendo in esame numerosi artisti che Giorgio Vasari considerava poco interessanti, a partire da Fra’ Bartolomeo e Andrea del Sarto, disegnatori esemplari, meticolosi imitatori della natura, sostenitori appunto di una tradizione «Pura, semplice e naturale» che al Vasari pareva una tendenza superata e senza futuro. Andrea del Sarto e Fra’ Bartolomeo, oggi lo sappiamo da decenni di studi, sono punti di riferimento negli anni della magnificenza medicea, artisti la cui linea viene poi seguita e incrementata successivamente da Santi di Tito e Jacopo da Empoli, Lorenzo Lippi e Antonio Novelli. La mostra agli Uffizi, nelle sale vicine a quelle dei Seicento e di Caravaggio, è organizzata in cinque sezioni cronologiche e quattro tematiche per un totale di 72 tra dipinti e sculture. Si parte con le Annunciazioni di Andrea della Robbia, Andrea del Sarto, Santi di Tito e Jacopo da Empoli, utili a comprendere i legami tra la vasariana «Maniera moderna» e la compagine di artisti operanti a Firenze tra istanze di riforma e primo naturalismo seicentesco. Si arriva poi a quegli artisti che gli studiosi definiscono del «Seicento contromano», perché propongono una linea alternativa al barocco e al caravaggismo: da Santi di Tito a Jacopo da Empoli, da Ottavio Vannini a Lorenzo Lippi, grande interprete di un moderno naturalismo. La sala migliore della mostra, utile a comprendere la «diversità» di questi campioni dell’arte toscana è quella dove le opere sono accostate per temi: «Pitture di casa», intima e diretta rappresentata ad esempio dal Fra’ Bartolomeo del County Museum di Los Angeles, la «Pitture di cose» dedicata agli oggetti domestici evidenti in un Franciabigio proveniente dalle Collezioni Reali inglesi, la Tradizione del sacro evidentissima nel trittico di busti del Redentore, di Pietro Torrigiani, Giovanni Caccini e Antonio Novelli. A noi, dovessimo scegliere una sola opera, sono molto piaciuti i «Quattro evangelisti», figurette realizzate in marmo per le Manifatture granducali dalla famiglia Mochi.

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