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Torino allo specchio, tra paradossi e opportunità

  • Pubblicato il: 05/12/2011 - 09:23
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Rubrica: 
FONDAZIONI D'ORIGINE BANCARIA
Articolo a cura di: 
Catterina Seia

Torino. Una città che ha investito moltissimo sull’arte contemporanea, sulle sue istituzioni, il suo pubblico e i suoi collezionisti. La Fondazione CRT, prima nel Paese tra le realtà di origine bancaria ad adottare un ente strumentale per supportare l’attuazione di una politica territoriale che nell’arte contemporanea ha trovato un suo asse, si interroga sui risultati raggiunti. Promuove, a distanza di sei anni dalla prima ricerca che aveva orientato il piano strategico, uno studio condotto da Torino Internazionale (che oggi amplia il proprio raggio d’azione e muta nome in  Nord Ovest), in collaborazione con le Università di Torino e IULM, curato dai sociologi Salvatore Cominu e Anna Tavella. Un contributo, pubblicato da Allemandi, necessario per delineare le politiche future.
Il Segretario Generale, Angelo Miglietta evidenzia come   “gli importanti cambiamenti  interni ed esterni,  indotti da una  crisi di cui ancora oggi non sappiamo valutare impatto e portata e la globalizzazione dei centri,  avranno pesanti impatti sui modelli che potrebbero configurare nuovi assetti del sistema locale. L’arte sta  cambiando ruolo e può essere una piattaforma trasversale”.

57 gli operatori internazionali del settore intervistati e  150 le risposte ai questionari.
Dal Tag cloud emerge un’identità frastagliata: orientamento verso il futuro, energia, sperimentazione, convivono con la definizione di “bella addormentata”. L’economista della cultura Walter Santagata, che ha partecipato alla ricerca evidenzia “Il rischio di una parabola involutiva di Torino e del sistema italiano del contemporaneo è reale e troppo grave per non essere affrontato con tutta la serietà e l’attenzione che merita.” Lo scenario internazionale dell’arte contemporanea è in rapido movimento e le posizioni acquisite possono cambiare nel giro di pochi anni a causa del ruolo sempre più attivo e propositivo giocato dai «nuovi» paesi e dalle «nuove» città che si affacciano sulla scena.

Torino è considerata capitale continentale (per il 43%) e internazionale (un altro 43%), soprattutto per i più giovani e grazie a realtà come il Castello di Rivoli, la Fondazione Sandretto e la fiera Artissima, vero e proprio volano con una crescita di reputazione nel mondo, soprattutto con un plebiscito curatoriale.
I musei sono  considerati un valore, un bene sociale comune. I punti di forza sono l’ampiezza e la qualità delle collezioni, l’investimento del capitale pubblico, un nucleo di gallerie ristretto, ma di qualità,  una filiera di  professionisti e competenze al servizio dell’arte, progetti di arte pubblica e iniziative per giovani artisti.  Il collezionismo è colto è competente, ma non diffuso e con poco turn-over ed è assente un collezionismo aziendale.

Interessanti rilevazioni sul profilo socio-economico degli operatori. Sono giovani (l’84% ha meno di 40 anni) con un’alta istruzione formale (il 70% è dotato di laurea o titolo post laurea). Non sono giovani rampolli di buona famiglia che giocano a fare i bohemienne. Oltre un terzo ha un’origine popolare, è figlio di operai. E’ un dato che suggerisce una democratizzazione  delle professioni dell’arte e delle modalità di accesso. Un fenomeno che si intreccia con gli stimoli, anche non formalizzati, under ground, che la città  offre. Vale per gli artisti, ma anche per i curatori e i critici. Questi ultimi, con gli artigiani che cooperano con gli artisti nella produzione materiale, sono tra le eccellenze del territorio.  Ma l’arte non è l’unica professione: dalle biografie professionali discontinue si legge la precarietà: il 60% è multiattivo, l'80% degli artisti e più del 50% degli altri operatori dichiarano ricavi fino a 15mila euro all'anno, lavorano spesso in modo saltuario in forma individuale o in piccole realtà imprenditoriali.

Agli economisti della cultura il commento.  PierLuigi Sacco, Preside Arti, mercati e patrimoni dello IULM, colloca la sua riflessione nel contesto internazionale. Torino non è giudicata tra le capitali dell’arte globale, ma ha una rilevanza extraeuropea, per la grande maggioranza importante nella mappa subeuropea. La  reputazione  è eccellente nonostante il noto understatement, ma la percezione sulle piazze emergenti è debole. Va considerato che sta  cambiando il ruolo dell’arte contemporanea  nel funzionamento dell’economia e della società, con nuovi player che presentano impressionanti livelli di investimento strategico, che porteranno un rapido mutamento delle mappe globali, dalle quali si sparisce  velocemente.  In Cina, tre settimane fa, il comitato centrale del comunista cinese, ha dichiarato un investimento 4mila mld di euro nei prossimi dieci anni: 2,5 volte del pil italiano. Uno shock storico. Entro pochi anni ci saranno centinaia di nuovi musei in Cina. Questo solo come capitali pubblici, senza  considerare gli investimenti privati. Grandi gruppi arabi si muovono per costruire un’ecologia culturale e potremmo parlare dell’india, del Brasile, della Corea. La Polonia ha sestuplicato la spesa e l’Italia è scesa al suo livello. Se vogliamo pensare alla competività a Torino in uno scenario a cinque anni, occorre agire oggi e investire sulle filiere. Altre città dietro Torino, come Seul, stanno molto investendo. Consolidare lo status quo è la ricetta certa per vedere Torino sparire dalla carta geografica.”.

Walter Santagata, che ha partecipato alla ricerca, evidenzia un paradosso torinese, che trova un parallelo nella Parigi di fine ottocento. “Nel rapporto tra cultura ed economia ci sono dei cicli. Dalla visione della cultura come bene economico, oggi una delle dimensioni principali è essere motore di qualità sociale è inclusione sociale, capace di produrre fiducia, un nuovo paradigma. La cultura a Torino oggi è ammalata.  Ciò che conta nella storia è la capacità di produrre nuova cultura:abbiamo una moltitudine di istituzioni, ma  dove sono gli artisti, gli scrittori, i compositori, gli imprenditori culturali? C’è una certa vitalità nel cinema, nel design, nel food. Negli altri settori una opacità. Abbiamo lavorato sulla conservazione, ma se non produciamo cultura oggi, domani non avremo nulla da conservare. Oggi abbiamo molte istituzioni e pochi artisti. Dobbiamo chiederci come hanno lavorato le istituzioni, in termini di efficacia ed efficienza.  L’assemblea generale dell’Unesco ha approvato la costituzione a Torino di un centro di ricerca sull’economia della cultura e si lavorerà su questi temi. Dobbiamo mettere in discussione le priorità, invertire la rotta».

Quali le strade individuate per il futuro? Aiutare la mobilità, far crescere l’educazione, favorire lo sviluppo di spazi di sperimentazione e il percorso di progressivo coordinamento con la vicina Milano, in una logica di complementarietà per raggiungere una «massa critica» capace di rispondere nel  contesto globale. Una prospettiva, avvincente, che si scontra con l’irriducibile localismo.
Il neo Assessore alla cultura della città, Braccialarghe, legge segnali confortanti “nella complessità c’è un evolversi della progettualità.  Occorre cogliere le sfide della contaminazione tra i generi,  per mantenere l’ingaggio torinese. Parlare di cultura significa parlare di occupazione che per il nostro territorio raggiunge dati che non sono dissimili a molte industrie e dall’indotto (Confcommercio segnala un incremento del 5,7% di turisti nel 2010 sul 2009, con una ricaduta di 1,3 miliardi di euro), significa curare la divulgazione e l’alta preparazione.”

La Fondazione risponde sul futuro con l’ambizioso progetto di riconversione dell’area di archeologia industriale delle Officine grandi riparazioni-OGR (investimento previsto 120 milioni di euro) in un percorso complesso a tappe, tra il 2015-2022. Dice Miglietta  “non  un nuovo polo, ma una piattaforma di produzione delle arti,  un unicum a livello europeo.(…) con un’Intensa  attività di produzione, diffusione della conoscenza e della dimensione creativa di giovani operatori alla ricerca di sostenibilità dei propri progetti. La crisi è arrivata come una gelata che ha bloccato un processo di transizione in atto. Non possiamo perdere le opportunità, pensando alle ristrettezze economiche, ma dobbiamo cogliere le possibilità di riconfigurare la città per il futuro”.

Ci uniamo all’auspico di coloro che hanno elaborato la ricerca  “Sarebbe bello se, a distanza di qualche anno, una nuova ricerca analoga a questa mostrasse, al posto del quadro attuale di luci e ombre, una netta tendenza positiva e ci consegnasse una città e un paese proiettati in uno scenario di sviluppo e di opportunità crescenti. È per questo che oggi bisogna lavorare, senza esitazioni né riserve.”

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