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Terapia di gruppo

  • Pubblicato il: 10/02/2012 - 10:47
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI E ARTE CONTEMPORANEA
Articolo a cura di: 
Daniela Vartolo, da Il Giornale dell'Arte numero 317, febbraio 2012
«Situations»

Bolzano. Il lavoro di gruppo e il mascheramento degli autori dietro una sigla è strategia comune alle arti visive e alla letteratura (si pensi ai Wu Ming in Italia). Il collettivo Claire Fontaine, fondato a Parigi nel 2004, e che prende il nome da una nota marca francese di cancelleria, inaugura il 3 febbraio la stagione espositiva 2012 al Museion con la mostra «Macchinazioni», curata da Letizia Ragaglia e aperta sino al 13 maggio. Sono gli stessi Claire Fontaine, in questa intervista, a descrivere la mostra.
Perché la vostra prima mostra italiana è targata Museion?
Museion ha esposto Claire Fontaine molto presto. Nel 2006 abbiamo avuto un progetto nel cubo di Garutti, opera che è stata al centro di varie polemiche e intitolata «Siamo tutti singolarità qualunque». Inoltre avevamo delle opere anche in una mostra collettiva nel vecchio Museion, tenutasi nello stesso periodo e intitolata «Group Therapy». Letizia Ragaglia ha mostrato un interesse precoce per il nostro lavoro e ci fa piacere che la curiosità per quello che facciamo sia rimasta viva.
Il titolo «Macchinazioni» racchiude il vostro credo artistico?
È un titolo che evoca le meccaniche di alcune sculture presenti nella mostra, che sono in realtà delle metafore politiche, ma riunisce anche i vari lavori che evocano la riappropriazione della violenza, il riciclaggio delle forme esistenti o il problema dell’identità nazionale e del colonialismo linguistico. Una macchinazione è un’opera complessa e in parte segreta, va smascherata, interpretata, va capito ai danni di chi è fatta, ed è questo il compito del pubblico.
Quali mezzi o materiali preferite?
Claire Fontaine usa vari materiali, è molto flessibile nelle forme e ha un vocabolario visivo molto eclettico. Non crede che un autore oggi si contraddistingua per la creazione di un linguaggio personale ma piuttosto per le sue capacità di distorcere, modificare, suddividere l’immenso campo delle forme esistenti, creando delle zone d’intensità intellettuali e affettive.
Quale di queste opere vi rappresenta di più?
Un’opera decisamente sobria, intitolata «The Assistants», un video che ritrae il poeta londinese Douglas Park mentre legge il testo Gli Assistenti di Giorgio Agamben. Il saggio è una sorta di autoritratto: Claire Fontaine è un’artista collettiva, un centro vuoto attorno al quale lavorano solo assistenti. Nel testo sono descritte delle creature al tempo stesso indaffarate e inoperose, al margine della vita sociale e produttiva, che nell’economia messianica e rivoluzionaria, evocata alla fine, ci aiuteranno a ritrovare il bandolo di noi stessi. Perché in realtà solo loro, che sembrano degli zeri assoluti, saranno capaci di salvarci.

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da Il Giornale dell'Arte numero 317, febbraio 2012