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Valorizzazione culturale dei sistemi territoriali e nuova impresa: il ‘caso Italia’
1. Una premessa di fondo
Uno degli elementi più affascinanti che segna l’evoluzione scientifica degli ultimi trent’anni è certamente rappresentato dall’inclusione della cultura tra le determinanti del pensiero economico e dalla centralità che essa ha conquistato nella teorizzazione così come nella prassi delle politiche di sviluppo del territorio. Ciò che è andato progressivamente modificandosi, in definitiva, è il concetto stesso di “sviluppo” che, sempre più frequentemente, viene declinato anche come benessere integrale del cittadino nel tentativo di superare gli indicatori tradizionali quantitativi (tra tutti, sicuramente il PIL pro-capite costituisce il più diffuso e resta ancora centrale).
Indubbiamente, a questa possibilità di realizzazione individuale e collettiva il sistema dei beni e delle attività culturali può offrire un contributo importante anche se, evidentemente, la semplice presenza di beni culturali non è condizione sufficiente ad innescare un percorso di sviluppo della comunità e del territorio, poichè è altrettanto necessaria l’esistenza di:
a) un sistema di amministrazioni pubbliche in grado di facilitare la struttura di scambi sociali ed economici tra gli attori del territorio, testimonianza di un nuovo ruolo della Pubblica amministrazione centrale e locale;
b) un sistema diffuso di partecipazione al sistema di offerta e domanda di beni e attività culturali, testimonianza di una necessità di (ri-) pensare la cultura come un bene comune;
c) un sistema di gestione dei beni e delle attività culturali economicamente sostenibile e gestito con spirito imprenditoriale..
2. Il “nuovo” ruolo della Pubblica amministrazione centrale e locale
Com’è a tutti noto, il processo di riforma avviato negli anni ’90, ed oggi solo in parte concluso, ha aperto la strada ad un processo di transizione da uno Stato abituato a fornire direttamente servizi a uno Stato chiamato al ruolo di “regolatore”, “facilitatore” e “finanziatore” di azioni che altri sono tenuti a porre in essere per lo sviluppo sociale ed economico del paese. Nello specifico, con il definitivo ingresso del principio di sussidiarietà (verticale ed orizzontale) nell’ordinamento amministrativo italiano, è andato progressivamente ampliandosi il ruolo delle autonomie locali, estendendo non soltanto le materie di loro competenza, ma soprattutto confermando l’importanza, da parte di queste, di acquisire capacità di concertazione e negoziazione, finalizzate a creare sinergie di lungo periodo tra pubblico e privato. Ne consegue la necessità, in particolare per gli enti locali, di imparare a “fare rete”, sia con gli altri enti territoriali sia con soggetti economici diversi che insistono sulla stessa comunità. Se, infatti, il tradizionale modello di welfare aveva dato vita a una configurazione del sociale incentrata sull’interazione di due sottoinsiemi, lo “Stato” e il “Mercato”, oggi la riscoperta interdipendenza tra gli attori conduce a un diverso modo di essere dello Stato e si traduce in un nuovo processo di governo basato sul decentramento istituzionale e funzionale, nonché sul riconoscimento della negoziazione e della contrattualizzazione come criterio fondamentale per la regolazione dei rapporti tra le parti.
Ecco dunque che il settore pubblico, per il tramite delle sue Amministrazioni centrali e locali, è chiamato alla gestione di processi per certi versi nuovi di elaborazione, di determinazione, di realizzazione e di implementazione di azioni e di policies, ricercando il migliore coordinamento sia orizzontale (tra soggetti istituzionali di pari livello ma che operano in differenti aree territoriali o in ambiti di competenza eterogenei) sia verticale tra autorità che esercitano i propri poteri su scale territoriali di diversa ampiezza.
In questo quadro si inserisce il Codice dei beni culturali e del paesaggio (2004) nella misura in cui mira alla definizione di un “sistema integrato di valorizzazione”, utilizzando appunto l’accordo come strumento ordinario di attuazione della valorizzazione ad iniziativa pubblica ed esigendo uno svolgimento coordinato, armonico e integrato tra gli attori che partecipano alle politiche e prassi di valorizzazione del patrimonio culturale. Un principio di consensualità, quindi, che riguarda non solo l’area della sussidiarietà verticale, ma anche quella della sussidiarietà orizzontale, perché concerne anche il rapporto pubblico-privato. Su questo fronte e, quindi, sul piano dei meccanismi di governance di settore, sono in molti a considerare discretamente compiuta “la stagione delle norme”. Quella che ci aspetta, e che in parte stiamo già vivendo, è invece la “stagione della prassi” o, in altri termini, la stagione dei cambiamenti reali.
Tali cambiamenti, tuttavia, per avvenire, una volta “autorizzati” sul piano normativo, devono essere compresi, sperimentati e valutati, per poi essere promossi, gestiti e realizzati. Di qui l’interesse del Laboratorio a condividere e valutare le prime esperienze di “accordo di valorizzazione” avviate nei differenti contesti territoriali e con diversi soggetti istituzionali.
3. La necessità di ri (pensare) la cultura come bene comune
Da quanto più sopra sinteticamente richiamato, appare evidente come accanto al tradizionale modello bipolare - che vede nei soggetti pubblici gli unici titolari del diritto a occuparsi dei beni collettivi e nei cittadini i meri amministrati (utenti, clienti, fruitori del servizio erogato) - sia andata progressivamente affermandosi l’esigenza di una nuova modalità di “amministrazione condivisa”, basata sull’ipotesi di: (a) sostituire il rapporto tra istituzioni e cittadini, tradizionalmente di tipo verticale, gerarchico e unidirezionale, con uno multipolare, paritario e circolare, fondato su valori di trasparenza, comunicazione, fiducia e collaborazione; (b) sostituire il mero trasferimento delle risorse con una strategia caratterizzata dalla messa in comune di quelle persone e competenze in grado di affrontare insieme, in una prospettiva di progettazione strategica integrata, le questioni di una società sempre più complessa e difficile da governare; (c) abbandonare una visione dello Stato come garante dei bisogni essenziali della società, per trasformarla in quella di sostenitore della capacità propulsiva di cittadini e imprese a partecipare attivamente alla vita sociale ed economica della comunità.
Tutto ciò chiama in causa un problema di “partecipazione” che non si esaurisce in una pratica di semplice consultazione, ma si rende strumento effettivo di “governo allargato” delle politiche del settore culturale, creando le condizioni per sfruttare appieno le potenzialità e le risorse che tutti gli attori, pubblici e privati, possono offrire. In questo ambito, indubbiamente, il settore della cultura deve compiere ancora passi significativi. Ne è dimostrazione la scarsa attenzione finora dedicata a politiche attive sulla “domanda” culturale, privilegiando la riflessione sul sistema di offerta. Allo stesso modo, proprio sul fronte dell’offerta e, quindi, sulle modalità di gestione e produzione di beni e attività culturali, l’istituto della partecipazione è apparso rimanere “attributo formale” senza mai (o raramente) divenire prassi gestionale (è il caso di molte “fondazioni di partecipazione”).
Proprio nella logica di “patrimonio culturale come bene comune” (e, quindi, di un patrimonio che di per sé non è né “del pubblico”, né “del privato” ma, appunto, di “tutti” ) dovrebbero emergere nuove forme di equilibrio e collaborazione tra soggetti pubblici e privati, inaugurando pratiche e metodi gestionali non più appartenenti né alla logica pubblicistica tipica della delega gestionale allo Stato e alle Autonomie Locali, né a quella privatistica strettamente orientata alla congrua remunerazione del capitale investito.
Per questo è interesse del Laboratorio condividere e valutare sia le esperienze di informazione, coinvolgimento ed ascolto del pubblico, sia le esperienze di Partenariato Pubblico-Privato (PPP) nella gestione e produzione di beni e attività culturali.
4. La ricerca di un sistema di beni e attività economicamente sostenibili e gestito con spirito imprenditoriale
Gli investimenti in cultura nell’esperienza italiana dell’ultimo decennio si sono caratterizzati per la realizzazione di una straordinaria quantità di progetti “infrastrutturali” legati ai beni culturali: costruzione di nuovi musei e teatri, ristrutturazione di vecchi edifici storici, ristrutturazione e adeguamento di monumenti e chiese; una politica apprezzata dal territorio e diretta a tutelara lo sterminato patrimonio culturale di cui il Paese dispone. A seguito di questi interventi, però, la sfida che oggi si impone è quella della gestione dei “contenitori culturali”. Non c’è dubbio, infatti, che a fronte di maggiori fabbisogni da parte delle amministrazioni locali in termini di risorse finanziarie per alimentare il processo di erogazione del servizio pubblico culturale, i segnali sulla disponibilità di risorse finanziarie per la tutela non sono incoraggianti. D’altra parte, se sul versante legislativo e regolamentare molto si è fatto, è invece sotto il profilo delle pratiche aziendali che, a parte un significativo numero di esperienze virtuose promosse dagli enti locali, il settore culturale ha manifestato e manifesta difficoltà importanti, riconducibili alla debolezza gestionale e finanziaria delle singole amministrazioni. La difficoltà con cui i tradizionali strumenti di gestione sono stati introdotti nelle organizzazioni culturali, talvolta distorcendo sia le finalità degli strumenti sia le ambizioni delle istituzioni, testimoniano di una criticità impossibile da trascurare.
Il Laboratorio intende, dunque, occuparsi dell’insieme delle questioni sopra descritte focalizzando la discussione sui temi della progettazione di reti e sistemi per la gestione dei beni e delle attività culturali, in quanto forme organizzative di cooperazione particolarmente confacenti ad alcune caratteristiche distintive del patrimonio culturale italiane (come, ad esempio, la sua distribuzione capillare o il forte legame identitario con la tradizione artistica e storica dei singoli luoghi). Partendo dall’ipotesi che proprio in questa nuova dimensione di sistema territoriale possano manifestarsi occasioni importanti di innovazione, tanto urgenti quanto poco ancora sfruttate, il Laboratorio vuole, in particolare, riflettere e raccogliere idee su:
(1) una nuova stagione di ‘accordi di valorizzazione’ e di programmazione territoriale funzionale alle sviluppo locale a base culturale;
(2) le nuove forme di impresa, siano esse profit o non profit. E’ ragionevole supporre, infatti, che l’inserimento dei processi valorizzazione del patrimonio culturale in un più complessivo quadro di politiche e progetti per il territorio possa creare spazi di profittabilità utili all’avvio di azioni imprenditoriali soddisfacenti anche in un settore, come quello di cui ci stiamo occupando, generalmente caratterizzato da scarsi margini di convenienza economica e finanziaria;
(3) i nuovi possibili sistemi di finanziamento delle politiche di valorizzazione del patrimonio culturale italiano. Partendo da ragionamenti di scala territoriale, urge una riflessione puntuale su: (a) le possibili forme di flessibilità dei vincoli di bilancio della spesa pubblica; (b) l’eventuale introduzione di fondi nazionali o locali di sostegno alla progettazione e realizzazione di nuovi sistemi di gestione, (c) la esigenza di aggiornamento del ruolo e dei meccanismi di intervento di taluni investitori istituzionali, (d) la possibilità di introdurre nel mercato strumenti di ingegneria finanziaria specifica del settore anche per favorire nuova impresa.
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