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Smart museums. Come e perché Internet of Things produrrà i suoi effetti (anche) nei luoghi della cultura

  • Pubblicato il: 16/01/2017 - 09:35
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Ludovico Solima

Internet of Things (IoT) e musei: la tecnologia per uno smart museumSul suo blog Opzione Cultura, Ludovico Solima inaugura il 2017 ragionando sulla possibilità di ribaltare il rapporto tra fruitore e opera all’interno dello spazio espositivo 


Con l’inizio del nuovo anno riprendo a scrivere sul mio blog, dopo averlo molto trascurato nel corso degli ultimi mesi, che sono stati particolarmente densi di impegni ed attività di vario genere, professionali e personali.
Stavolta non prendo spunto da un articolo che ho letto, come spesso ho fatto in passato, ma provo ad esporre – anche se in forma sintetica – alcune riflessioni che sto sviluppando da tempo sui musei e sulle nuove tecnologie a supporto dei processi di fruizione.
Il punto di partenza è il rapporto tra museo e tecnologia; un rapporto antico e “sereno”, se riferito all’ambito della conservazione, ad esempio considerando gli strumenti diagnostici utilizzati per intervenire sulla manutenzione e/o il restauro di un’opera o di un oggetto; un rapporto in via di definizione e spesso “sofferto”, se connesso invece alle attività di valorizzazione delle collezioni, che intersecano dunque in modo diretto il processo di fruizione del visitatore.
Il punto di arrivo – per una nuova partenza – è invece rappresentato dalla cd. Internet of Things (IoT), in italiano “Internet delle cose“, termine con il quale ci si riferisce ad oggetti di nuova generazione, che incorporano sia la capacità di acquisire dati sul contesto esterno attraverso i sensori di cui sono dotati , sia la possibilità di attivare flussi bi-direzionali di informazioni attraverso la rete internet.
Queste due caratteristiche (sensori e connessione) renderanno gli oggetti “intelligenti” o, come spesso vengono definiti, smart objects. Intelligenti perché se, in futuro molto prossimo, un numero crescente di oggetti sarà in grado di comunicare tra loro (si stimano in 20 miliardi, entro il 2020), allora essi potranno anche essere in grado di attivare dei comportamenti reattivi al mutare delle condizioni di contesto.

Dunque, se una sveglia è smart, vuol dire che essa sarà in grado di individuare la strada che dovrò percorrere per recarmi al primo appuntamento della giornata e, nel caso in cui individuasse condizioni di traffico lungo il tragitto che dovrò compiere, allora provvederà in modo del tutto autonomo a modificare l’orario dell’allarme, anticipandolo di un numero di minuti ritenuto congruo per far fronte alle (impreviste) condizioni di congestionamento del percorso stradale. Allo stesso modo, un termostato intelligente non si limiterà ad accendere e spegnere il riscaldamento di casa in funzione di giorni ed orari prefissati, ma controlla costantemente la temperatura dell’abitazione ed è in grado di variarla sulla base delle condizioni meteo o delle abitudini delle persone che vivono in quell’ambiente o, ancora, di attivare il riscaldamento in funzione dell’approssimarsi verso casa dei suoi abitanti… Ancora, un cibo prossimo alla data di scadenza comunicherà al frigorifero di segnalarmi che deve essere consumato entro poco tempo; o una pianta segnalerà all’impianto di irrigazione la necessità di essere innaffiata. Gli esempi potrebbero continuare all’infinito, anche con riferimento a contesti diversi da quelli domestici, a cui ho appena fatto riferimento: si parla, infatti, di fabbriche intelligenti (smart firms), di città intelligenti (smart cities), e così via.

Cosa potrebbe avere a che fare tutto questo con i musei?
È esattamente questa la domanda che mi sono posto diversi mesi fa, quando ho iniziato ad intensificare la lettura di articoli (per lo più stranieri) che affrontavano temi connessi alla progressiva ed ormai prossima introduzione della IoT.
Semplificando in modo estremo il ragionamento, la risposta può essere la seguente: un museo calato in un contesto di IoT ha la possibilità di ribaltare il modo in cui un visitatore si relaziona con le opere presenti all’interno dello spazio espositivo.
Provo ad essere più chiaro. Nel corso degli ultimi mesi si stanno moltiplicando le app in grado, tra le altre cose, di agevolare il processo di fruizione del visitatore, rendendo disponibili, in modo più o meno automatico, le informazioni addizionali – sotto forma di testi, di file audio o video, di immagini, etc. – che il museo intende mettere a disposizione per alcune delle sue opere.
Questa semplificazione nella modalità di accesso a contenuti informativi addizionali si basa sul riconoscimento a distanza dell’opera stessa. Tale riconoscimento può avvenire ricorrendo a soluzioni tecnologiche semplici (ad esempio, il QrCode, il codice a barre bidimensionale ormai ampiamente diffuso in varie forme di comunicazione) ovvero a soluzioni più sofisticate: ad esempio, attraverso l’uso dei beacon, piccoli dispositivi in grado di comunicare via BlueTooth ovvero grazie alla scansione dell’opera attraverso il sensore fotografico di cui è equipaggiato il dispositivo portatile che l’utente sta utilizzando in quel momento. Qual che sia la tecnologia utilizzata, il visitatore – se lo desidera – ha la possibilità di approfondire livelli informativi sempre diversi sull’opera di suo interesse.
Come detto, un contesto in cui è presente la IoT è in grado di ribaltare questa già in certa misura avveniristica prospettiva, rendendo ciascuna opera (attraverso dei sensori) in grado di identificare l’approssimarsi di un utente e di comunicare questa informazione ad un sistema informativo centralizzato. Questo sistema sarà capace quindi di ricostruire il comportamento di fruizione dei visitatori, di stratificare i dati raccolti su di essi e, quindi, di identificare in modo del tutto innovativo le possibili relazioni tra le opere che i visitatori stabiliscono (in modo inconsapevole) con i loro comportamenti di fruizione. Tali relazioni saranno, dunque, di tipo “esperenziale” e quindi impossibili da ricostruire altrimenti.
In certa misura, il processo è lo stesso che si attiva quando ci rechiamo su un sito di commercio elettronico (ad esempio, Amazon) che è in grado di suggerire all’utente una pluralità di prodotti, ulteriori rispetto a quelli acquistati (o visualizzati), non solo sulla base dello storico dei suoi acquisti (o dei prodotti osservati) ma anche considerando le analoghe preferenze di acquisto espresse nel tempo da parte di altri acquirenti.
L’insieme delle conoscenze raccolte in un museo sui processi di fruizione dei visitatori potrà dunque costituire, in un contesto di IoT, la base informativa per realizzare un sistema di raccomandazioni evoluto, in grado cioè di proporre ai visitatori degli itinerari (cioè, delle sequenze di opere) basati non solo – e non tanto – sul sistema di conoscenze di tipo storico-artistico di cui è depositario il personale del museo, come generalmente accade, ma anche sulla conoscenza (indiretta) delle preferenze di coloro che hanno già visitato il museo e sulla possibilità di suggerire, su queste basi, delle opere da osservare ai (nuovi) visitatori, opere che saranno – nel tempo, grazie a tale sistema – sempre più vicine ai loro possibili interessi, massimizzando quindi il loro livello di soddisfazione.
La tecnologia potrà dunque rendere il museo uno smart museum. Ma occorre sempre ricordarsi che essa è – e resta, sempre e comunque – uno strumento, nelle mani della direzione del museo, che dovrà individuare le modalità più adeguate per sfruttare tale possibilità, nel rispetto della sua storia e delle funzioni che queste istituzioni sono chiamate a svolgere.

da Opzione Cultura, il blog di Ludovico Solima
https://opzionecultura.wordpress.com