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Rem Koolhaas interpreta Sol LeWitt

  • Pubblicato il: 15/01/2018 - 00:00
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI E ARTE CONTEMPORANEA
Articolo a cura di: 
di Ada Masoero, da Il Giornale dell'Arte numero 381, dicembre 2017

Un grande architetto è cocuratore di una mostra del più architettonico degli artisti concettuali. La seconda sfida della Fondazione Carriero a Milano

Come riuscire a presentare il lavoro di un artista arcinoto, mille volte esposto e studiato, offrendone una lettura nuova? È questa la sfida che la Fondazione Carriero di Milano ha assunto come linea guida del proprio programma espositivo: è stato così nel 2016 con la bellissima mostra che accostava le sculture di Lucio Fontana e di Leoncillo, e lo stesso è accaduto questa primavera con Pino Pascali, di cui si è esplorato il versante, poco noto e sorprendente, della sua fascinazione per il pensiero magico e le culture sciamaniche.

Ora, fino al 23 giugno, è la volta di Sol LeWitt (1928-2007), artista e teorico dell’Arte concettuale, di cui formulò i principi nel suo testo Paragraphs on Conceptual Art uscito nel 1967 sulla rivista «Artforum». In quelle pagine Sol LeWitt dettava la linea poi seguita da tutti gli artisti concettuali, identificando il ruolo autoriale con il momento dell’ideazione dell’opera, e legittimando dunque l’atto di delegarne l’esecuzione materiale ad altri, purché questi rispettassero rigorosamente le prescrizioni dell’autore.

Come rileggere, dunque, con uno sguardo fresco e nuovo il lavoro di un simile «totem» dell’arte contemporanea? Francesco Stocchi (1975), curatore della Fondazione Carriero (e del Museum Boijmans van Beuningen di Rotterdam), ha voluto farsi affiancare nel ruolo di cocuratore da un architetto e urbanista come Rem Koolhaas (1944).

Ha preso spunto, ci ha spiegato, dal «profondo interesse di Sol LeWitt per l’architettura e, più ancora, per l’urbanistica: nel suo lavoro LeWitt studiava le griglie urbane, e Koolhaas è un grande urbanista. Cercavo lo sguardo di un architetto ma poiché Koolhaas è un profondo pensatore, la nostra collaborazione ha subito imboccato un’altra strada. Dal confronto sono scaturite risposte inattese: volevamo rompere con l’immagine di un Sol LeWitt artista assolutamente obiettivo, privo di emozioni: lui aveva invece un lato umanistico ed emotivo e abbiamo scoperto che era anche profondamente ironico. Il che non era affatto nelle premesse».

Koolhaas ha accettato e dal loro lavoro congiunto è nata la mostra «Sol LeWitt. Between the Lines» che, grazie alla collaborazione con l’Estate of Sol LeWitt e con musei internazionali, può contare su opere fondamentali dell’intero percorso dell’artista, distribuite sui quattro piani della Fondazione Carriero. All’architetto olandese chiediamo le ragioni del suo coinvolgimento in questa mostra.

Rem Koolhaas, di questa mostra lei non è solo l’allestitore ma il cocuratore. Che cosa l’ha indotta a fare questa nuova esperienza? 
Più che di una doppia curatela, qui si tratta di una cooperazione tra il curatore e me, ma per me non si tratta certo della prima volta: questa esperienza è molto simile a quella vissuta in occasione della mostra inaugurale della Fondazione Prada a Milano (la sede milanese della Fondazione Prada, progettata da Rem Koolhaas, si è inaugurata nel maggio 2015 con la mostra «Serial Classic» di Salvatore Settis; cfr. Vernissage, mag. ’15, pp. 10-11, Ndr). Allora rivestivo lo stesso ruolo e, come ora, si trattava dell’intera concezione della mostra. Inoltre sono stato curatore della Biennale di Architettura a Venezia nel 2014 e ho lavorato come curatore anche al Guggenheim. Del resto i confini fra le discipline sono sempre più labili, i ruoli intercambiabili. E l’esplorazione di territori vicini è inevitabile. 

Sente una specifica affinità con il lavoro, così fortemente «architettonico», di Sol LeWitt?
In realtà mi sento vicino a LeWitt perché era parte del mondo artistico negli anni Sessanta, quando mi formavo ad Amsterdam. L’ho poi incontrato a New York negli anni Settanta, ma eravamo già in contatto prima: ci conoscevamo sin dai tempi dell’Olanda, perciò quando mi hanno chiesto se volessi lavorare a questa mostra ho subito accettato.

Ora che ha conosciuto «dall’interno» l’opera di Sol LeWitt, la sua percezione del suo lavoro è cambiata?
Prima d’iniziare a lavorare su un artista devi studiarlo a fondo, seriamente, per creare un’intimità, specie se la tua indagine è postuma. Devi saper creare una relazione intima, lavorando con rispetto ma al tempo stesso facendo anche sì che l’artista, con il suo lavoro, possa di nuovo «tornare in vita». Noi abbiamo lavorato con questo intento.

Qual è, a suo parere, l’apporto di uno sguardo d’architetto nella lettura dell’opera di Sol LeWitt? 
Lo sguardo dell’architetto? Io mi considero soprattutto un intellettuale prima di essere un architetto. E comunque ogni artista può essere interpretato in modi diversi e ogni mostra esprime diversi significati. Non esiste una percezione unica, «definitiva» del suo lavoro.

FONDAZIONE CARRIERO

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