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Questione di fiducia: esiste un rischio di autoreferenzialità nelle Fondazioni Bancarie?

  • Pubblicato il: 15/01/2017 - 22:57
Rubrica: 
FONDAZIONI D'ORIGINE BANCARIA
Articolo a cura di: 
Giulia Maria Cavaletto

Secondo seminario, venerdì 13 gennaio, del Centro di Documentazione e Ricerca su Fondazioni, Capitale Sociale e Società Civile dell’Università di Torino. Focus il problema dell’autoreferenzialità che affligge molte organizzazioni nonprofit fra cui le fondazioni di origine bancaria, spesso legato alla percezione di una mancata capacità di coloro che amministrano tali enti di comprendere, e dunque soddisfare, i bisogni della loro comunità. Per rispondere a tali esigenze, nel 2015 il Protocollo di Intesa fra ACRI e MEF ha sancito la necessità di “preservare la funzionalità del circuito della responsabilità sociale delle fondazioni garantendo il pieno rispetto del principio di trasparenza e la diffusione di informazioni complete alla collettività sull’attività svolta usando le modalità e gli strumenti più idonei, fruibili e funzionali”. Evidente, pertanto, è il richiamo del Protocollo di Intesa tra MEF e ACRI alla centralità del rapporto tra fondazione e comunità territoriale per un agire legittimato della fondazione stessa, nonché l’importanza riconosciuta ai temi della governance e del coinvolgimento della comunità per aumentare la legittimazione ad agire della fondazione sul proprio territorio. Marco De Marie- Compagnia di San Paolo e Marco Camoletto- Fondazione CRT, introdotti da Adriana Luciano, responsabile del Centro e condotti da Giulia Maria Cavaletto, che di seguito ci espone la sua visione, hanno presentato strumenti manageriali finalizzati ad accrescere la capacità dell’ente nonprofit di condividere con la comunità in cui opera valori, interessi e regole comuni

La parola che trova maggiore applicazione in tempi recenti quando si descrive l’azione delle fondazioni è governance, un termine con cui ci si riferisce a quel complesso di regole e procedure che disciplinano l’agire di un’istituzione o di una organizzazione. 
Nel caso delle fondazioni (come più in generale di tutti i soggetti non profit) la questione è particolarmente delicata perché intercetta il tipo di processi decisionali interni, i meccanismi di nomina dell’organo d’indirizzo, il coinvolgimento degli stakeholders sul territorio e conseguentemente la costruzione della legittimazione sul territorio stesso (Leardini et al., 2016a).
L’esperienza degli ultimi vent’anni dell’azione delle fondazioni ha mostrato come esse si trovino sempre più immerse in scambi collettivi, attraverso interazioni di tipo multisoggettivo, mediate da sistemi di regole, fiducia e reputazione, che derivano dalla circolazione di “beni relazionali” (Gui, 1987, 1997; Uhlaner, 1989). Ma gran parte della ricerca ha anche mostrato come sia tutt’altro che trascurabile il gap tra la democraticità potenziale e la democraticità reale delle organizzazioni non profit (Cnaan, 1991; Halpin, 2006; Guo, Metelsky e Bradshaw, 2014; Rodekamp, 2010, 2014; Swindell, 2000), molte delle quali tendono all’autoreferenzialità piuttosto che al reale soddisfacimento dei bisogni comunitari.

I modelli tradizionali di governance, anche quelli delle organizzazioni non profit, sono inoltre sfidati da un incremento della complessità, della varietà e della variabilità dei problemi con cui le organizzazioni stesse si confrontano; da una diminuzione della probabilità di effettuare previsioni attendibili sugli esiti degli interventi, anche quando siano state prese in esame tutte le variabili note, ossia in sostanza da un incremento della quota di rischio connessa a qualsiasi tipo di intervento/progetto/azione.
Al tempo stesso, il crescente ruolo delle Fondazioni, e in particolare delle bancarie, all’interno delle comunità locali ha inevitabilmente come conseguenza la loro complessificazione interna, sia in termini organizzativi sia procedurali. Ed è qui che il tema della governance si salda a quello della legittimazione territoriale e della fiducia. La questione della fiducia è cruciale in quanto è propriamente il rapporto fiduciario tra la fondazione e la comunità di riferimento a costituire la fonte della legittimazione. L’ente non profit deve dunque essere capace di condividere, intercettare, “sentire” gli interessi, i bisogni, le istanze del territorio in cui opera e farlo all’insegna di valori e regole comuni attraverso un partenariato ampio, popolato da attori pubblici e privati, uniti da obiettivi e da un modus operandi condiviso.

E’ stato già anche evidenziato in letteratura come proprio le organizzazioni non profit maggiormente complesse possano essere esposte, in ragione della loro complessità, al rischio di cadere nel cosiddetto ‘isomorfismo organizzativo’ (o ‘istituzionale’), ossia ad un processo di crescente imitazione di soggetti contraddistinti da una diversa forma organizzativa – tipicamente, imprese for-profit o realtà pubblico-statali – e dunque ad una progressiva perdita di identità in quanto enti non lucrativi.
Tale rischio assumerebbe la forma di uno ‘spiazzamento fiduciario’: assimilandosi sempre più a imprese for-profit, nei processi, nelle decisioni, nelle reti che costruiscono, le organizzazioni senza scopo di lucro rischierebbero di potere contare sempre meno su quel patrimonio fiduciario accumulato nel tempo, dando origine ad un fenomeno noto come mission displacement (Weisbrod, 1998).

Il rischio dell’autoreferenzialità non è quindi generato da una sfiducia sul loro operato in termini tecnico-professionali, ma proprio dalla imperfetta coerenza tra organizzazione non profit e territorio. Che il problema sia stato chiaramente avvertito dalle stesse Fondazioni bancarie è testimoniato dalla sottoscrizione da parte di ACRI del Protocollo d’intesa ACRI-MEF del 22 aprile 2015 con cui viene richiamata con forza la necessità di mantenere un «elevato grado di responsabilità nei confronti del territorio» e che questo avvenga attraverso una governance trasparente e rappresentativa degli interessi del territorio.
Se la legittimazione è definita come lo stato in cui una organizzazione si trova quando parla e agisce nell’interesse di coloro che l’hanno costituita (Chaskin, 2003), la legittimazione di una fondazione esiste nel momento in cui la comunità locale la percepisce come capace di operare in linea con i propri valori e interessi (Leardini et al. 2016b). Una legittimazione, quella delle fondazioni, che esita dalla sintesi delle quattro fonti di legittimazione (Brown, 2002): legittimazione morale che prende forma in un sistema sociale di valori e costruisce fiducia; legittimazione tecnica, derivante dal riconoscimento di competenze nell’esercizio della governance; legittimazione legale, fondata sul rispetto delle norme; e infine legittimazione politica che poggia su una composizione democratica del board tale da essere espressione della comunità.

Elemento di snodo rispetto a tali rischi può essere individuato nell’incremento di procedure partecipative che coinvolgano le comunità di riferimento: non solo una elevata partecipazione dal basso incrementa la legittimazione, ma agisce positivamente rispetto ai bisogni della comunità; e analogamente lo stakeholder engagement nei processi decisionali rafforza la percezione di fiducia da parte delle comunità, contribuendo in tal modo alla costruzione della reputazione dell’organizzazione non profit.

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Bibliografia
Brown W. A. (2002), Inclusive Governance Practices in Nonprofit Organizations and Implications for Practice, in «Nonprofit Management & Leadership», 4, pp. 369-385;
Chaskin R. J. (2003), Fostering Neighborhood Democracy: Legitimacy and Accountability Within Loosely Coupled Systems, in «Nonprofit and Voluntary Sector Quarterly», 2, pp. 161-189.
Cnaan R. A. (1991), Neighborhood-representing organizations: How democratic are they?
Social Service Review, 65, 614-634.
Gui B. (1987), Le organizzazioni produttive private senza fine di lucro. Un inquadramento
concettuale, Economia pubblica, 4-5, pp. 183-192.
Gui B. (1997), Il ruolo del terzo settore: aspetti economici ed etici, in Gui B. (a cura di), Il terzo
settore tra economicità e valori, Fondazione Lanza, Gregoriana Libreria Editrice, Padova.
Guo C., Metelsky B. A. e Bradshaw P. (2014), Out of the shadows: Nonprofit governance
research from democratic and critical perspectives, in C. Cornforth e W. Brown (Eds.),
Nonprofit governance: Innovative perspectives and approaches (pp. 47-68), New York,
NY: Routledge.
Halpin, D. R. (2006), The participatory and democratic potential and practice of interest groups:
Between solidarity and representation. Public Administration, 84, 919-940.
Leardini C., Moggi S., Zanin L. (2016), La fiducia nel territorio: una ricerca per la verifica della legittimazione territoriale delle fondazioni, in Le fondazioni di origine bancaria verso l’autoriforma, il Mulino, Bologna.
Leardini C., Rossi G., Moggi S., Zardini A. (2016), When the Law Shapes Nonprofit Boards: The Key Role of Local Stakeholders, in Nonprofit and Voluntary Sector Quarterly, I-24.
Rodekamp M. (2014), Representatives or Experts? Civil Society Organizations in the EU’s External Relations, in «TranState Working Paper», 137, 2014;
Swindell D. (2000), Issue Representation in Neighborhood Organizations: Questing for Democracy at the Grassroots, in «Journal of Urban Affairs », 2, 2000, pp. 123-137;
Uhlaner C.J. (1989), Relational goods and participation: Incorporating sociability into a theory of
rational action, Public Choice, 62, pp. 253-285.
Weisbrod B. (1998), Modeling the nonprofit organization as a multiproduct firm: A framework
for choice, in Weisbrod B. (a cura di), To Profit or Not to Profit. The Commercial Transformation of the Nonprofit Sector, Cambridge University Press, Cambridge.