Quando la cultura rende
Da quasi trent'anni mi occupo di economia dei settori creativi e culturali e, da economista appassionato di jazz e frequentatore di molti festival musicali, cercherò di illustrare la ricaduta che può avere un festival di intrattenimento culturale – come può essere un festival di musica jazz –, in termini di impatto economico e sociale sul territorio.
“Cultura, natura, manifattura”è il triangolo tematico intorno al quale gira la questione. La cultura, vertice trainante dello sviluppo, poi la natura, intesa come tutto ciò che c'è intorno al paesaggio di un certo territorio e infine la manifattura, ovvero tutto ciò che è economia tradizionale e economia dei servizi.
La riflessione preliminare è: perché monitorare nel tempo l'impatto di un investimento culturale sul territorio?
È dimostrato, da dieci anni di dibattiti nell'ultimo periodo, che l'investimento culturale contribuisce a modificare il territorio in termini di patrimonio cognitivo.
La sfida della discussione, non è tanto sul tema dell'indotto, cioè l'aggregato economico che viene modificato da un investimento sul territorio, ma su come viene trasformato il patrimonio cognitivo dei cittadini di un territorio alla luce di un certo tipo di investimento.
L'investimento finisce per far evolvere la società che è coinvolta e proprio perché c'è un coinvolgimento della collettività locale, l'investimento che viene fatto rientra nel set delle decisioni pubbliche. Il decisore pubblico – assessore, governatore, stakeholder importante del territorio – cerca di capire dove e quanto investire effettuando, di fatto, una selezione della quale egli stesso si assume le responsabilità.
Gli interlocutori degli operatori culturali si trovano a dover effettuare delle scelte allocative di risorse scarse. Occorre pertanto, che tali scelte vengano fatte con attenzione. Occorre che le iniziative di spesa siano adatte alla specificità di ogni territorio, per cui non è detto che tutti i territori siano giusti, per esempio, per il jazz o per il cibo o per la letteratura, o per la musica, o per il cinema. Ogni territorio ha il suo palco e il suo palco è determinato da una specificità di tradizione, di sapere, di risorse. Occorre che gli stakeholders, vengano considerati nei loro molteplici obiettivi spesso divergenti tra loro e contraddittori. Occorre che il cosiddetto mercato, quello del laissez-faire, delle risorse spontanee, sia comunque calibrato da orientamenti pubblici.
La cultura ha quindi bisogno di una guida. Il mercato dell'arte non può essere lasciato libero. La necessità che il consumatore venga educato a un gusto nuovo, un gusto esteticamente più aggiornato, è necessario affinché tale gusto non si appiattisca sulla tradizione.
L'impatto e la valutazione dell'impatto sono strumenti decisionali e di controllo per coloro che si interessano di investimenti, siano essi sponsor privati, siano essi decisori pubblici.
Se è vero che un evento consuma risorse, allora che cosa restituisce al territorio? Cosa dà in cambio? E in quanto tempo? E per quale durata? In quest'ottica, un'analisi di impatto, o di ricaduta, è bene effettuarla prima che l'evento si svolga. In questo modo il decisore, a giustificazione della razionalità dei suoi gesti, capirà se è meglio fare un festival del cinema, o un reading di racconti erotici, o uno spettacolo sui corti, in funzione di quello che sarà l'impatto sul territorio.
Ma che cos'è un'analisi d'impatto? Che cos'è un'analisi di ricaduta?
Liberiamo il campo da una serie di pregiudizi: non è uno strumento di giudizio di programmazione artistica; non è una certificazione della qualità di un evento; non è la verifica del livello di soddisfazione del pubblico rispetto all'innovazione del festival; non è nemmeno una rendicontazione economica di entrate e di uscite.
L'analisi d'impatto è, invece, una stima delle variazioni apportate da qualche azione.
Il tema è dunque andare a capire quali sono le variazioni sul territorio derivanti da specifiche azioni.
Le variazioni possono essere quantitative e qualitative.
Un'analisi d'impatto può essere di tipo economico, ma può essere anche di tipo sociale e culturale. L'ideale sarebbe avere un'analisi dove siano presenti, sia la dimensione quantitativa che le sue declinazioni qualitative.
L'impatto economico è quello più semplice da gestire. Impatto economico vuol dire differenziale di spesa, ma anche di reddito e di traffico turistico. In senso rigoroso, l'impatto economico è l'impatto netto: cioè quello che viene “pulito” da una serie di azioni che comunque la città, il territorio, il distretto, avrebbero dovuto fare anche senza l'investimento specifico del festival.
Nel parlare di impatto economico non si intende solo l'impatto diretto o indotto. Oltre a questo, che è più facilmente calcolabile, c'è anche l'indotto indiretto.
Che cos'è l'indotto indiretto?
È quello che deriva dal reddito dei residenti, in particolare i residenti commerciali: quindi i negozianti, gli albergatori, i ristoratori che, acquisendo nuove risorse monetarie dal festival, le reinvestono in altre azioni economiche. Presa una cittadina piccola e un festival di più giorni che abbia una continuità negli anni al punto tale da far diventare questo movimento un'economia, è chiaro che il moltiplicatore – parola chiave che ci aiuta a capire che cosa vuol dire l'impatto e che ci aiuta a fare dei confronti incrociati – avrà un valore rilevante.
Il moltiplicatore è, pertanto, la parola chiave dell'impatto economico diretto e indiretto. Per gli operatori culturali, canalizzare i propri dati dentro un moltiplicatore, è fondamentale per poter interagire con il decisore pubblico in termini matematici di investimento. Spesso il limite del moltiplicatore è dovuto alla confusione tra impatti a breve, a medio e a lungo termine.
La nuova frontiera per gli investimenti culturali, non è tuttavia l'analisi di impatto economico, in quanto la cultura non rende tanto dal punto di vista economico, ma un'analisi sofisticata e raffinata che affianca alla trattazione economica una mirata a individuare le trasformazioni socio-culturali sul territorio. La difficoltà di tale analisi risiede nell'invisibilità delle trasformazioni in termini di unità monetarie. Il taste-coltivation è un effetto educativo di modifica del gusto che avvicina il pubblico alle avanguardie e alla contemporaneità: lasciare un segno, in particolare sulle nuove generazioni che stanno crescendo, è un tema importante. Un altro tipo di “effetto sociale” riguarda il lavoro inteso come produzione di nuova conoscenza. I festival – in particolare quelli un po' grandi che si ripresentano continuativamente nella città – richiedono una stabilizzazione delle professioni che implica la nascita di micro-imprenditorialità giovanili, anche di tipo cooperativistico, che incidono sulla conoscenza legata al territorio.
Un altro impatto sociale importante è l'offerta simbolica. Ovvero un'offerta culturale, estetica, di carattere evocativo che è in grado di attrarre nuovi talenti all'interno del territorio. La classe creativa, che è quella che determina il talento delle innovazioni tecnologiche, è disponibile a trasferirsi nei posti che simbolicamente sono molto ricchi. Il festival diventa un'arma per l'economia locale che ha difficoltà ad attrarre persone da fuori – in particolare persone di livello, di responsabilità, manager – perché più si è disposti a dare a questa persona, più aumenterà la sua disponibilità a trasferirsi.
Infine, i festival hanno bisogno di infrastrutture. Stabilizzare luoghi e strutture vuol dire renderle importanti per la città e ne corredano l'offerta complessiva.
Quando si parla di impatto sociale e culturale si intende quindi, un insieme di cose. Innanzitutto capacità di attrarre nuovo pubblico, poi capacità di creare un rete geografica, ancora, capacità di fare sistema, capacità di fornire reputazione, nazionale e internazionale, alle città ospitanti e, non ultimo, capacità di posizionare il territorio o la città, tra esperienze di eccellenza.
La parte sociale e culturale è pertanto quella che trasforma il patrimonio cognitivo dei cittadini. Il modo con cui si fa e si affronta la conoscenza è alla base di uno sviluppo socio-culturale che, passando inevitabilmente da quello economico, fa sì che la cultura possa “rendere” sul serio.
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