Può la rinascita di Prato passare attraverso la cultura?
Sono 77 le opere acquistate dal 2006 ad oggi dal Centro Pecci in nome e per conto della Fondazione Cassa di Risparmio di Prato e da questa concesse in comodato al Museo di arte contemporanea della città. Il modello è quello realizzato dalla Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT, nata con il principale obiettivo di arricchire e valorizzare il patrimonio culturale ed artistico torinese e piemontese, indirizzando le sue attività e risorse quasi esclusivamente all'acquisto di opere da destinare alle collezioni della Galleria d’Arte Moderna di Torino (GAM) e al Castello di Rivoli.
Sono foto, installazioni, sculture, opere pittoriche e video di diversa provenienza. Ai lavori di Superstudio e Archizoom, movimenti architettonici nati a Firenze verso la metà degli anni Sessanta, si affiancano opere di Gianni Pettena, Gilberto Corretti e UFO, e lavori realizzati da artisti e gruppi di varia nazionalità, dall’Austria alla Russia e alle ex Repubbliche sovietiche, dal Brasile all’India e alla Cina. Per l’Italia sono state comprate opere di Marco Tirelli, Athos Ongaro, Maurizio Nannucci, Luca Bertolo, Rossella Biscotti, Lorenzo Bonechi, Eliseo Mattiacci e Remo Salvadori.
Partito con il proposito di acquisire opere per l’ampliamento della collezione, il rapporto tra il Centro Pecci e la Fondazione Cassa di Risparmio di Prato si muove oggi verso nuove direzioni e si prepara ad affrontare temi più ampi, che riguardano la gestione del Museo e la relazione con la città.
La strategia che si sta costruendo tende a superare l’attuale rapporto, già fondamentale per il patrimonio del Centro e per la sua l’attrattiva, per fare della Fondazione e del Museo, grazie ad una maggiore integrazione tra le diverse competenze e identità, soggetti attivi e di riferimento nel proprio contesto culturale, sociale ed economico.
Al dialogo in corso tra il Centro Pecci e la Fondazione bancaria, si aggiunge la voce dell’Amministrazione Comunale, e la direzione sembra essere quella della costruzione di un sistema museale locale integrato e sinergico, in cui il Museo rimane un soggetto dialogante, ma indipendente, in virtù del suo riconoscimento regionale e di una tensione internazionale, che può generare un effetto «trascinamento» sugli altri operatori culturali del territorio.
Se la rete museale locale, come si auspica, sarà dedicata alla divulgazione della cultura e alla sua diffusione negli ambiti della formazione, dell’educazione, della fruizione e della produzione, il pensiero corre all’ormai scomparso distretto industriale di Prato.
«La cultura è necessaria e deve viaggiare a braccetto con la cultura di impresa e su questo le recenti presidenze hanno insistito molto, riprendendo il fine per cui nacque il Centro negli anni ‘80. In quegli anni, forse più per immagine che per un reale scambio di competenze, si voleva creare un’idea di Prato come luogo dell’esperienza contemporanea, per unire la ricerca artistica con la produzione, in particolare con quella tessile, a quei tempi comparto fondamentale dell’economia della città. Questo obiettivo e questa prima idea, a seguito di contingenze negative tra cui il fallimento della Cassa di Risparmio, socio fondatore del Museo, e la crisi del 2008, già latente da tempo, si erano un po’ persi. Oggi si vogliono recuperare e si vuole rivedere la cultura con una luce diversa, affinché non sia solo un’immagine, ma il carro trainante di una rinascita industriale.» In questa ottica si inserisce il progetto dello spazio espositivo distaccato di Milano sostenuto dalla Regione Toscana.
Il Museo ha beneficiato di una collaborazione pluriennale non solo con la Fondazione bancaria, ma anche con gli altri soci fondatori, sviluppando una maggiore capacità di confronto con potenziali sostenitori, in particolare con il mondo delle imprese, in un’ottica di partnership continuative, che presuppongono una condivisione di valori e uno scambio di modi di operare, e non la semplice elargizione di contributi in denaro.
«Certamente è cambiato il panorama del finanziamento e del sostegno alle istituzioni museali. Il Centro ha un’esperienza pregressa: uno dei soci fondatori è l’Unione Industriali e questo ha implicato un raccordo con i suoi associati e il tessuto industriale locale. La crisi ha ridotto moltissimo le risorse dell’associazione di categoria, tanto che è uscita come finanziatore del Museo. Tutto questo non deve, però, far retrocedere dall’idea che ricercare partnership con aziende del territorio, e non solo, è fondamentale per dare un maggiore respiro a questa struttura e al territorio stesso. Il Museo può essere una parte importante del rinnovamento, ed è su questo che dobbiamo confrontarci con la Fondazione Cassa di Risparmio, con le associazioni di categoria e con tutte le aziende che credono di poter collegare il proprio nome ad una duratura partnership con il Museo.
Per tornare ad avere un distretto manifatturiero bisogna creare un distretto di conoscenza e rivedere i modelli di crescita alla luce della qualità e non della quantità della produzione.»
© Riproduzione riservata