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Può il settore culturale costituire un motore di sviluppo del paese? Sì, a patto che..

  • Pubblicato il: 07/02/2014 - 09:39
Autore/i: 
Rubrica: 
STUDI E RICERCHE
Articolo a cura di: 
Francesca Sereno

Può il settore culturale costituire un motore di sviluppo del paese? Sì, a patto che..

Roma. La presentazione nella Sala della Regina di Palazzo Montecitorio degli ultimi dati del Rapporto Annuale di Federculture, in presenza della presidente della Camera, è un evidente segnale che la cultura può e deve giocare un ruolo centrale nelle politiche di sviluppo del paese.
Strategie, progettualità, sostegno all'occupazione, apertura ai privati sono le leve su cui punta la presidente Boldrini.
I dati di Federculture sono sconfortanti: nel 2013 gli Italiani hanno speso in cultura in media il 7,1% delle spese per nucleo familiare, contro il 10,6% della Gran Bretagna; quasi il 40% della popolazione con più di sei anni (il 3,7% in più rispetto al 2012) non ha partecipato ad alcun intrattenimento culturale fuori casa e cresce anche la quota di coloro che non leggono nemmeno un libro l’anno (il 57% degli italiani, anche in questo caso un 3% in più).  Il nostro indice di partecipazione culturale nazionale è, secondo Eurobarometro, pari all’8%, a fronte di una media europea del 18%.
Il calo della domanda va di pari passo con quello degli investimenti e dell’offerta: il budget del Ministero per i beni culturali, al quale stata trasferita anche la competenza sul Turismo, in dieci anni è stato ridotto di quasi 1 miliardo di euro e per il triennio 2014-2016 le previsioni sono di un’ulteriore calo passando dagli attuali 1.500 milioni di euro (lo 0,20% del bilancio totale dello Stato) a 1,4 miliardi.
I primi mesi della nuova legislatura hanno prodotto alcuni processi di riforma, con l'obiettivo di riportare la cultura tra le priorità di intervento, ma rimangono aperti ancora molti nodi.
Punto di partenza è il concetto di cultura, che da «lusso» deve diventare «bene comune», per il benessere dei cittadini e per la competitività del Paese. La globalizzazione ha fatto sì che la competizione non sia solo tra imprese ma tra territori, che devono essere capaci di rispondere ad una vasta gamma di bisogni: cultura, ricerca, formazione, salute. La cultura dunque come «fattore costitutivo e non aggiuntivo», sottolinea Piero Fassino citando il caso della sua Torino cheaggiungendo al profilo industriale ricerca, università, cultura ha attratto investimenti e ha ottenuto il più alto incremento di visitatori stranieri.
Soltanto considerando il settore culturale come metasettore comprendente anche turismo, made in Italy, conoscenza, è convinto Gianluca Comin, direttore Relazioni Esterne di Enel, è possibile il rilancio del «Brand Italia». La collaborazione Pubblico-Privato gioca un ruolo determinante. Le imprese hanno risorse e dispongono di know how complementare, ma devono avere gli strumenti per governare un processo in modo efficiente ed efficace. La presenza dello Stato è pertanto fondamentale per garantire «regole certe, fattibili, stabili”, come  creare facilità di accesso e convenienza per i privati, semplificando ad esempio l'attuale legge sulle agevolazioni fiscali.
Ma i privati sono anche i cittadini con le piccole donazioni, sottolinea Claudia Ferrazzi, oggi segretario generale dell'Académie de France dopo essere stata vice-amministratore generale del Museo del Louvre, istituzione molto orientata anche a questo tipo di risorse. E aggiunge che la capacità di attingere fondi del Louvre è il risultato di: creazione di reti, formazione dei giovani, valorizzazione del «brand Louvre», diversificazione del proprio target. Dunque anche le istituzioni culturali devono attrezzarsi imparando a ragionare in termini di co-progettazione, a conoscere il proprio pubblico potenziale anche attraverso strumenti qualitativi, ad utilizzare al meglio le opportunità derivanti dalla tecnologia digitale.
L’Italia è l’ultimo paese europeo nell’accesso e nell’uso delle risorse digitali: favorire l'accesso alla conoscenza attraverso l'integrazione tra cultura e tecnologia, unitamente all'estensione della detraibilità delle spese per cultura a teatro, concerti, mostre, musei e anche corsi che abilitano alla pratica artistica e musicale potrebbe contribuire al rilancio del settore culturale.
Inoltre in Italia ci sono circa 2 milioni di NEET: bisogna puntare anche sull'occupazione culturale, così come è importante intervenire nella promozione di start up.
Questi interventi di natura pubblica sono più efficaci in presenza di concertazione tra ministeri, come avviene in Francia tra Ministeri della Cultura, dell'Istruzione, dell'Economia.

Ci sono infine «occasioni da non perdere»: il programma Europa creativa, Expo Universale 2015 e Capitale Europea della Cultura 2019, che esigono tuttavia un rilancio della qualità progettuale per evitare di «restituire nuovamente a Bruxelles 33 milioni di euro!». In tale ottica Roberto Grossi presidente di Federculture segnala che insieme ad ANCI, DPS e Mibact sta definendo il Fondo di Progettualità Culturale, strumento operativo per rilanciare la qualità dei progetti nella cultura e favorire l'accesso ai finanziamenti europei.

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