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Può esistere legalità senza cultura?

  • Pubblicato il: 15/06/2015 - 12:55
Rubrica: 
SPECIALI
Articolo a cura di: 
Francesca Sereno e Agostino Riitano

SPECIALE DEMOCRAZIA. In un'epoca in cui è sempre più urgente l'esigenza di promuovere una «cultura della legalità», si afferma il concetto di «cultura per la legalità». Osservando casi concreti e ascoltando il parere di Carlo Borgomeo, Presidente di Fondazione con il Sudqualche riflessione sul ruolo del patrimonio culturale nel favorire partecipazione e senso di appartenenza al proprio territorio, a lungo termine antidoti contro criminalità organizzata e corruzione

Da molto tempo nel nostro Paese si dibatte di «cultura della legalità», concetto che si è affermato con forza a partire dai gravi eventi dell'inizio degli anni '90 (le stragi mafiose di Palermo, Tangentopoli). È in quel periodo che emerge l'urgenza di promuovere una maggiore coscienza civile, democratica e solidale, nella consapevolezza che le misure in ambito penale e amministrativo da sole non sono sufficienti ad ostacolare fenomeni come la criminalità organizzata. Nel tempo si è fatta strada la convinzione che la lotta alle mafie, il contrasto alla corruzione e all’evasione fiscale richiedono anche un vero e proprio moto di riscatto etico e civile. Dunque che è fondamentale promuovere la pratica della legalità, insegnare a riconoscere diritti e doveri, diffondendo il rispetto dell’altro, delle regole e delle leggi nei diversi contesti urbani e all’interno delle comunità scolastiche.
In questa direzione sono nati i movimenti e le iniziative mirati a sensibilizzare diverse fasce di popolazione sul tema della legalità e della convivenza civile. A partire da Libera, ma non solo, numerosi sono stati i dibattiti pubblici, le azioni svolte nelle scuole, e così via.
 
Anche il comparto più strettamente culturale si è attivato in tal senso. Tra le diverse iniziative vi è «Il Palcoscenico della Legalità»(1) che è nello stesso tempo un percorso formativo, uno spettacolo itinerante, una sinergia tra teatri, istituti penitenziari, scuole e società civile, anche attraverso la valorizzazione dei beni confiscati alle mafie.
Promosso da The CO2 Crisis Opportunity Onlus, Fondazione Silvia Ruotolo e Coordinamento campano dei familiari delle vittime innocenti della criminalità, con il patrocinio del Ministero della Giustizia e del MIUR e con il sostegno della Siae, il progetto è nato dalla consapevolezza che «il teatro può diventare un potentissimo strumento di educazione alla legalità nelle scuole e nelle carceri, soprattutto minorili», come dichiara l'ideatrice Giulia Minoli.
Il teatro, la musica, la danza, si rivelano dunque un mezzo per denunciare e raccontare, attraverso i loro linguaggi, le testimonianze di coloro che, attraverso le loro esperienze di vita e professionali, hanno scelto un percorso di giustizia e di legalità.

 
Ma oltre a ciò, c'è da chiedersi se la cultura possa effettivamente costituire la premessa per prevenire/contrastare la criminalità organizzata,  innestando processi di educazione al pensiero critico, alla partecipazione, alla protezione dei diritti e dei doveri di cittadinanza. In altri termini, possiamo affermare che «non esiste legalità senza cultura»?
Carlo Borgomeo, Presidente di Fondazione con il Sud, nonché profondo conoscitore delle dinamiche socio-economiche del Mezzogiorno, ne è profondamente convinto e afferma che «la lotta all'illegalità e alle mafie, si fa ovviamente con la repressione, con la giustizia, con le norme sempre più avanzate, ma nel lungo periodo sono di fatto determinanti anche i comportamenti culturali».
E aggiunge: «La principale dimensione ostativa all'affermarsi di processi di illegalità diffusa è la cultura dell'identità collettiva e del bene comune. I luoghi dove è più forte la presenza delle mafie sono quelli in cui sono più radicati l'individualismo e il disprezzo per il bene comune».
E' difficile misurare la relazione tra legalità e senso di appartenenza alla comunità, ma è evidente che laddove le persone «odiano la propria terra e non la sentono come loro » si insedia più facilmente la criminalità organizzata. Caso emblematico è quello della Terra dei Fuochi.
Il patrimonio culturale inteso in senso allargato -  ossia quell'insieme di beni, tradizioni, memoria - agisce come un «collante formidabile per le comunità, che si riconoscono intorno a ciò. E il senso di appartenenza delle comunità è l'antidoto più forte contro l'affermarsi delle culture mafiose, che, non a caso, vengono anche definite comunità negative». Insomma, va benissimo promuovere la cultura della legalità, insegnare il senso civico, affermare valori antitetici a quelli della criminalità organizzata e della corruzione, ma a lungo termine si rivela ancora più efficace fare leva sull'identità collettiva ed il senso di appartenenza alla propria terra, partendo dal patrimonio culturale.
Le convinzioni  di Carlo Borgomeo non sono recenti e risalgono già alla sua esperienza dei «Parchi letterari» presso la Società dell'imprenditorialità giovanile. Questa iniziativa era nata per innescare un processo di sviluppo locale facendo leva sull'identità della figura letteraria, più che per promuovere la figura di un autore.
I progetti promossi con la Fondazione con il Sud hanno rafforzato questa convinzione, si pensi al caso di Rione Sanità(2) a Napoli o a Mare Memoria Viva di Palermo (3).
Nel primo, partendo dalla valorizzazione delle Catacombe per arrivare ad arrivare ad altre iniziative socio-culturali, la cultura ha messo in moto un processo di «pulizia» del quartiere assolutamente spontaneo.
Il secondo, invece, è un progetto di valorizzazione del territorio che comprende un ecomuseo urbano multimediale diffuso in più sedi, un geoblog, un’offerta turistica e culturale innovativa. L'idea chiave è di ricostruire, attraverso storie, memorie e la partecipazione attiva degli abitanti, il legame tra la città di Palermo e il mare, oggi quasi del tutto scomparso nonostante si tratti di una città costiera che porta nel suo stesso nome l'antica vocazione marinara.
Questi due esempi evidenziano come la realizzazione di progetti culturali ben intessuti nel loro territorio generino atteggiamenti collettivi virtuosi e di mutua collaborazione.
La Fondazione con il Sud, inoltre, da qualche anno, dedica i propri bandi ai beni confiscati. Ad oggi sono stati finanziati 21 progetti a cavallo tra il sociale e il produttivo, con risultati più che soddisfacenti.
Secondo Borgomeo, «la legge che attualmente presidia il tema (la Rognoni-La Torre), è una delle più importanti che il Paese abbia fatto sia per i contenuti sia perché è stato frutto della raccolta di firme di 1 milione di cittadini italiani. Dal punto di vista legislativo siamo all'avanguardia nel mondo su questo tema. Ma si deve prendere atto che il meccanismo non riesce a governare positivamente il fenomeno».
La questione è da rivedere, non tornando indietro, ma cercando di recuperare efficacia ed efficienza all'interno del sistema. «Quando si sequestra un'impresa, non possiamo tollerare che i tempi del sequestro e della liquidazione durino 3 o 4 anni, occorre migliorare le procedure». Soprattutto per «evitare il danno incalcolabile», ossia che i cittadini rimpiangano il periodo in cui il bene era in mano alle mafie, che, se non altro lo facevano vivere.
 
Non può esserci, quindi, legalità senza cultura. Questo perché la cultura precede e prepara, in certo senso, ciò che la legalità infine convalida e sancisce. La cultura esprime giustizia.
La cultura della legalità riconosce autorità alla legge e impegna la collettività disposta ad agire in conformità di legge. Ma la legge spesso lascia irrisolte o non ha ancora previsto la risoluzione di situazioni nuove, determinate dal passo della storia e dalle trasformazioni sociali.
Alcuni progetti culturali di innovazione sociale(4), si sforzano di colmare questo vuoto, il vuoto cioè che drammaticamente si apre quando la legalità non basta da sola a regolare in termini di valori umani la vita di una collettività.
 
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 (1) Il percorso è cominciato al Teatro San Carlo nel 2012, con l'allestimento dello spettacolo «Dieci Storie Proprio Così», per la regia e drammaturgia di Emanuela Giordano. Sono dieci storie di impegno civile (come quelle, tra gli altri, di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Don Giuseppe Diana, Giancarlo Siani, ma anche di vittime meno conosciute come Annalisa Durante, Federico Del Prete, Silvia Ruotolo), di dolore e di riscatto sociale, raccontate senza enfasi o intenti celebrativi. Per realizzarlo si sono uniti orchestra, scuola di ballo, corpo di ballo, coro delle voci bianche, tecnici e maestranze. Nel 2013 lo spettacolo è andato in scena al Teatro Astra di Torino ed al Teatro Franco Parenti di Milano.
Sull'onda del successo e della partecipazione del pubblico, nasce il progetto più ampio che si sviluppa parallelamente all’interno degli istituti penitenziari minorili, dove vengono realizzati laboratori professionali di mestieri teatrali, e delle scuole, dove si è creato invece un percorso di educazione alla legalità attraverso gli incontri tra studenti, insegnanti e familiari delle vittime.
Ad aprile di quest'anno lo spettacolo è ritornato al San Carlo e, dopo le tappe negli altri capoluoghi campani, a maggio è approdato a Palermo per l’anniversario della strage di Capaci.
(2) Nel 2006 La Paranza e L’Altra Napoli Onlus hanno vinto un bando della Fondazione con un progetto che riguarda le Catacombe di San Gaudioso e quelle di San Gennaro, grazie al quale la valorizzazione delle competenze locali si è accompagnata a un’offerta turistica che tiene conto anche delle disabilità, con percorsi pensati per i non vedenti e abbattimenti di barriere architettoniche. Il flusso di turisti coinvolti si aggira intorno alle 40 mila presenze, ma ciò che interessa rilevare è la reazione del quartiere che ha sollecitato la manutenzione degli spazi e l’apertura di nuovi. Tra le iniziative nate nel quartiere, sulla spinta del clima di fiducia sociale e culturale innescato, citiamo l’associazione Case dei Cristallini, fondata dalle mamme per autogestire un parco per i più piccoli, e il Sanitansemble che sperimenta per la prima volta in Italia il metodo Abreu per la didattica musicale.
(3) Mare Memoria Viva è uno dei progetti di Clac, impresa culturale di Palermo che promuove il patrimonio culturale sviluppando turismo di comunità ed economia collaborativa.  Il progetto, infatti, riparte dalle storie e dai racconti delle persone del posto per ricostituire il legame tra la città di Palermo e il mare. La mappatura di sei zone fronte mare, corrispondenti alle identità delle borgate marinare, ha dato un ruolo culturale, di mediazione, a persone-guida individuate in sito. Persino i ristoranti suggeriti nei percorsi turistici sono raccomandati dalle persone del luogo e questo ha generato un’economia turistica di equilibrio e di integrazione condivisa al tessuto socio-culturale, che così accoglie il progetto e non lo subisce. L’eco-museo, aperto nel 2004, concorre a dare possibilità di azione a identità umane altrimenti isolate e nascoste, concorre a rendere attive e utili alla vita della città zone dimenticate, che lo sviluppo urbano aveva psicologicamente allontanato persino da quel mare a cui sono fisicamente così prossime.
(4) Il Museo delle Migrazioni di Lampedusa (ideato dall'associazione Askavusa per realizzare una mostra permanente degli oggetti dei migranti ed uno spazio informativo sull'evoluzione dell'isola come luogo di approdo), ad esempio, pone questo problema ed evidenzia anche come il percorso di legalità di un paese non possa mai dirsi concluso. La legge è un sistema perfettibile, aperto alle provocazioni e agli apporti che il senso di giustizia di volta in volta solleva. Il collettivo Askavusa abbatte il concetto di clandestino e racconta la tragedia dei naufraghi. Il progetto culturale del museo ha tirato fuori dalla memoria delle discriminazioni nuove forme di rapporti umani, fondate sul riconoscimento dei diritti tra persone. L’elaborazione del dolore, insieme al sentimento della giustizia, hanno concorso a ripianare traumi, diffidenze. Il Museo e l’attività di scavo e perlustrazione nelle discariche in cerca di ricordi, di effetti personali dispersi, attirano l’attenzione di artisti, registi e il Museo così sorto non è solo un luogo di elaborazione creativa del dato di cronaca, un centro di documentazione e testimonianza, è concretamente un posto di accoglienza, a cui i migranti si riferiscono accolti come viandanti, dissetati, ascoltati, protetti per quel poco che occorre al loro immediato ristoro.