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Pink power

  • Pubblicato il: 19/01/2013 - 22:58
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Stefania Crobe
Marina Bastianello

Eletta nel 2010 al fianco di Antonio Finotti alla guida della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo per Marina Bastianello il potere è «responsabilità che si alimenta di co-responsabilizzazione, perché la tutela del bene comune non toglie niente a nessuno, ma aggiunge qualcosa ad ognuno».
Poche le donne ai vertici – e quasi mai sulla poltrona presidenziale - ma laddove presenti, anche se alle spalle di uomini autorevoli, sono leader intuitive e capaci, con una particolare predisposizione all’ascolto, alla cura e alla comprensione delle esigenze altrui.
E alla fondazione Cariparo, Marina Bastianello ha portato, con una sensibilità tutta femminile,  i temi legati alla cura. Cura delle relazioni, cura delle persone, cura della propria preparazione per una crescita, attraverso la cultura, sociale e civile del territorio, per il «bene comune».

Con uno stanziamento di 150 milioni di euro per il perseguimento degli scopi istituzionali[1] nel trienno 2010-2012, nonostante la crisi, la fondazione Cariparo conferma infatti il suo impegno per la crescita del territorio di riferimento investendo su  sociale, arte e cultura, istruzione, ricerca, salute e ambiente. Un impegno ispirato da una visione di comunità aperta, solidale e incline al rinnovamento per un’innovazione che è soprattutto sociale e che si sviluppa attraverso soluzioni innovative, progetti pilota e sperimentazioni per mettere a punto nuove strategie da applicare, una volta verificatane l’efficacia, su vasta scala.

In questa prospettiva, consapevole che l’arte e la cultura rappresentano un momento di elevazione e un’esperienza di qualità e di crescita per la persona, la Fondazione persegue obiettivi che interessano sia il campo dei beni artistici, che quello delle attività culturali per migliorare l’offerta culturale del territorio, ampliare la fruizione di beni storici, artistici e culturali da parte della collettività in una prospettiva di innovazione.
Con due importanti spazi espositivi – a Palazzo del Monte di Pietà a Padova e a Palazzo Roverella a Rovigo – la fondazione riflette sulla propria storia  e offre una lettura identitaria del proprio territorio portando in mostra grandi capolavori della storia dell’arte e dando vita a importanti progetti culturali.

Il prossimo appuntamento sarà proprio a Padova, dove un ambizioso progetto in sinergia con un’importante istituzione culturale della città – la Fondazione Querini Stampalia – porterà negli spazi del Palazzo del Monte di Pietà, con la mostra «PIETRO BEMBO e l’invenzione del Rinascimento. Da Bellini a Tiziano, da Mantegna a Raffaello»,  la magnifica collezione d’arte che il cardinale, scrittore, grammatico e umanista veneto aveva raccolto nella sua casa padovana, il primo museo del Rinascimento (dal 2 febbraio al 19 maggio 2013).
L’esposizione, curata da Guido Beltramini, è promossa da  Fondazione Cassa di Risparmio di Padova Rovigo, Fondazione Querini Stampalia insieme al Centro Internazionale di Studi di Architettura «Andrea Palladio» e con la collaborazione del Ministero per i beni e le Attività Culturali e racconta i legami di Pietro Bembo con Aldo Manuzio, Giorgione e con Giovanni Bellini nel fervido panorama del rinascimento italiano.

Dei progetti, presenti e futuri, delle politiche culturali della fondazione Cariparo e di «cura» parliamo con Marina Bastianello.

Una  donna ai vertici di una realtà così rilevante per il territorio è ancora cosa rara. Una risposta alle quote rosa o  una necessità di sensibilità femminili in questo momento storico, ovvero il  prendersi cura, l’ascolto…
Abbiamo fatto delle ricerche come Forum del Terzo Settore, ed è davvero raro trovare donne al vertice di fondazioni nel nostro paese, ma devo dire, anche delle stesse associazioni.. Un cambiamento importante si è  innescato grazie alla Carta delle Fondazioni di origine bancaria,  che ha preso in considerazione il tema ed è stata generativa di processi virtuosi, già dalla fase della sua elaborazione partecipata.. Mi auguro profonde ricadute positive nella stagione che seguirà, quella degli aggiornamenti degli Statuti che le Fondazioni sono chiamate e fare.
La nostra fondazione, anche per merito del Presidente Antonio Finotti che ha sempre mostrato una grandissima apertura,  sta affrontando un aggiornamento dello Statuto che metterà la questione di genere tra gli aspetti da prendere seriamente in considerazione per un positivo arricchimento dell’istituzione stessa. Il problema, come sappiamo, non è solo delle fondazioni di origine bancaria, ma è anche degli enti che fanno le nomine. Da quando sono in fondazione, nell’ottanta/novanta per cento le terne di nomine che arrivano sono solo di genere maschile.

Arriva dal Forum del Terzo Settore, di cui è rappresentante. Possiamo condividere  un flash sulla sua storia personale?
Sin dal percorso formativo, per necessità, ho fatto tutte le conquiste scolastiche  in itinere, lavorando e studiando. Aver fatto molti lavori mi ha consentito di conoscere situazioni  diverse stando, a seconda dell’esperienza, dalla parte di chi ha la responsabilità d’impresa o di chi ha status di lavoratore, cercando di conoscere e comprendere le diverse necessità di ognuno. Queste esperienze mi hanno insegnato l’apertura mentale scevra da pregiudizi, la capacità di guardare alla sostanza delle cose e delle persone, la volontà e tenacia nel cercare soluzioni, l’autonomia di pensiero.
Dico sempre ai miei nipoti: «Più cose sai fare, di meno cose e persone hai bisogno». Credo che questo approccio alla vita dia consapevolezza della dignità del lavoro, di qualsiasi lavoro onesto uno si trovi a fare o dover fare. Obiettivo di ognuno deve essere quello di sviluppare i «talenti» che ha avuto in dono, non di pensare a come diventare beneficiario di privilegi.
Spero, per le stesse ragioni, mi sia stata concessa la fiducia per essere vicepresidente di una fondazione molto importante.

Da dove parte e dove l’ha portata la sua esperienza personale?
La mia esperienza comincia in un ufficio di assicurazioni, passa attraverso l’insegnamento e poi a un’attività nel volontariato sociale e culturale che si evolve presto in impresa sociale, diventando professione. Infatti organizzare iniziative culturali, a un certo livello, è un vero e proprio lavoro, anche se poco valorizzato nel nostro Paese. Il volontariato nel sociale invece, è parte integrante della mia vita perché ritengo che ritagliare tempo per gli altri sia una grande occasione di arricchimento personale che ci fa stare con i piedi per terra e mette l’importanza delle cose nella giusta graduatoria.

La sua fondazione ha avuto una chiara politica culturale, significativi gli investimenti in termini non solo di entità ma anche di senso. Dove vi porterà la contrazione ineluttabile degli investimenti?
Questa riflessione sulla contrazione delle risorse è già iniziata con grande maturità da parte di tutti gli organismi di governo e delle componenti territoriali, anche se, a differenza di altre fondazioni, le riduzioni per noi saranno meno impegnative, grazie a un’oculata gestione del patrimonio. Nonostante ciò, per il prossimo triennio si prevede una riduzione complessiva delle erogazioni intorno al venti per cento.
La nostra fondazione, già nella discussione apertasi per la programmazione triennale 2013/2015 sta andando nella positiva direzione di valorizzare l’ambito «sociale» nella declinazione degli interventi nei settori rilevanti di investimento. Questo lo si sta facendo prestando, come sempre, particolare attenzione e ascolto ai territori, mettendo in campo iniziative innovative per il contrasto alla disoccupazione che coinvolgano sia le istituzioni che le imprese, oltre ovviamente il volontariato; la valorizzazione della cultura ai fini di uno sviluppo sostenibile; l’attenzione alla domanda di servizi innovativi per i nostri giovani e anziani. Diciamo che sta crescendo una consapevolezza condivisa che mette insieme coesione sociale e crescita dei territori.
Ovvio che in questo si inserisce la sfida di una gestione e promozione della cultura  che superi l’ambito elitario estetico o il mero consumo, per diventare occasione di sviluppo e crescita del territorio, valorizzandone la dimensione sociale.  La cultura è per definizione crescita delle persone, la sfida è che diventi anche nuove occasioni di lavoro professionale e creativo per i giovani, si traduca nella valorizzazioni delle nostre attività commerciali, incrementi il turismo nelle nostre città. Insomma una valorizzazione dei beni culturali che sappia essere, nel contempo, sviluppo e valorizzazione dei beni relazionali. Elementi che possono contribuire all’inclusione sociale e alla convivenza civile in un momento complesso.

La cultura che diventa sussidiarietà, dunque.
Esattamente tredici anni fa lanciavo un Manifesto per la cultura Nazionale con un’iniziativa che si tenne a Padova, Roma e Pesaro. Insieme a 230 intellettuali, operatori culturali e artisti ponevamo queste questioni. I tempi forse non erano maturi perché la crisi non ci aveva ancora «offerto» quest’opportunità di riflessione. Oggi questi temi diventano una campagna del più importante giornale economico del nostro Paese, credo sia necessario e improcrastinabile cogliere l’occasione per guardare e saper leggere con occhi nuovi le potenzialità che lo straordinario patrimonio artistico e paesaggistico del nostro Paese ci offreono per costruire nuova economia sostenibile.
Nel nostro piccolo abbiamo promosso un primo bando rivolto ai giovani under 35 nel quale, mutuando le riflessioni fatte con il progetto funder 35 nazionale e calandole sul territorio, abbiamo cercato con questa sperimentazione di dare respiro a un settore in crisi. Parliamo poco dei lavoratori in settori e ambiti culturali, dimenticando che spesso sono giovani e con capacità straordinarie. Purtroppo nel nostro Paese i lavori creativi, a differenza di altri paesi europei, non esistono, non sono censiti, quindi non hanno dignità. E questo è un peccato, perché vuol dire buttare via risorse… Sono arrivati 120 progetti per il bando 2012, interessante l’elemento di rete che emerge come necessità di costruire relazioni tra mondi diversi. Era un bando a tema con tre aree di intervento: inclusione sociale, attenzione e promozione dello sviluppo sostenibile e riqualificazione urbana, non era semplice partecipare, ma invece sono emersi elementi importanti in termini di qualità e innovazione.

Palazzo del Monte di Pietà è sede della vostra Fondazione e contiene anche spazi espositivi. Qual è l’orientamento futuro sulle attività espositive?
Palazzo del Monte ospiterà a partire da febbraio una grande mostra di respiro internazionale sulla collezione d’arte di Pietro Bembo. Per quanto riguarda il futuro, spetta al Consiglio Generale la responsabilità di indirizzo e al comitato Arte il ruolo di consultazione.
Mi piace sottolineare invece, quell’aspetto a forte valenza «intergenerazionale» che si sta facendo strada nella nostra Fondazione di cui parlavo prima. A un approccio all’arte e alla cultura che potremmo definire più di matrice «estetica», - meno interattiva- , si sta affiancando una nuova sensibilità diffusa che punta a far crescere un’idea di cultura motore di sviluppo «dolce» che sappia mettere in campo le molte nuove energie positive: soggetti produttivi e del terzo settore, operatori e giovani che possono ritrovare nuova linfa e stimoli per affrontare una fase di potenti trasformazioni.

Focalizzandoci sulla collezione della Fondazione, le opere arrivano dalle banche d’origine o da una politica particolare?
Intanto vorrei dire che è veramente meritoria per tante ragioni questa iniziativa dell’Acri di andare a una catalogazione di tutte le opere delle Fondazioni.
Per quanto riguarda la nostra Fondazione, siamo partiti da un nucleo di opere della banca d’origine a cui si è aggiunto un arricchimento successivo di alcune opere provenienti dal territorio alfine di garantirne la tutela e la valorizzazione storico-artistica. La cosa interessante è che oggi nel patrimonio della Fondazione rientrano più di 400 opere, prevalentemente dipinti, per un valore di circa 40 milioni di euro. Le opere risalgono al periodo artistico che va dal ‘500 al ‘900, gli autori sono prevalentemente veneti, anche se di rilevanza internazionale, pensiamo a Piazzetta, Rosalba Carriera, Bernardo Strozzi, Padovanino, ecc . Non ci sono acquisizioni in corso e stiamo concludendo la catalogazione delle opere che sarà consultabile nel sito internet della Fondazione.

In termini di valorizzazione le opere interagiscono con i territori o aspettate la catalogazione?
Ci sono delle opere che interagiscono con il territorio a seconda della pertinenza e  di valutazioni specifiche che permettono alle opere di far parte delle varie esposizioni, ma il processo di catalogazione messo in moto con questa iniziativa è fondamentale e funzionale per  una politica mirata.

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[1] Bilancio di Esercizio 2011 della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo