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Piccolo è bello, ed è anche intimo

  • Pubblicato il: 15/09/2018 - 08:00
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI E ARTE CONTEMPORANEA
Articolo a cura di: 
Lidia Panzeri, da Il Giornale dell'Arte numero 389, settembre 2018

Da un anno direttrice della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, Karole P.B. Vail (che di Peggy è la nipote) spiega risultati e programmi


Venezia. Da quando, un anno fa, ha assunto la direzione della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, Karole P.B. Vail (che è la nipote abiatica di Peggy) ha un solo rimpianto: non avere il tempo per la curatela di mostre. L’ultima da lei curata è l’antologica «Moholy-Nagy: Future Present» tenutasi nel 2016 al Solomon R. Guggenheim Museum di New York. Per il resto si dichiara felicissima di essere ritornata in quella che considera un po’ la sua casa, dove dormiva, un po’ impaurita, nella stanza con i quadri surrealisti, e si augura di poter continuare ancora per anni. Senza porsi particolari problemi su un possibile allargamento degli spazi o su future acquisizioni di opere.

Nata nel 1959 a Londra, dove ha conseguito il Bachelor of Arts presso la Durham University e il diploma di Storia dell’Arte presso la New Academy for Art Studies, la Vail ha lavorato come archivista e ricercatrice a Firenze alla casa editrice Centro Di. Dal 1997 al 2017, anno della sua nomina a direttrice del museo veneziano, ha fatto parte dello staff curatoriale del Guggenheim Museum di New York, con cui continua a collaborare: «Un rapporto molto autonomo, il mio. Come mia è la decisione di portare a Venezia la mostra di Albers e il Messico».

«Il Giornale dell’Arte» le ha chiesto un bilancio di questo primo anno e i programmi per il futuro.

Quella che era la casa di Peggy è ora il più frequentato museo italiano per l’arte del Novecento, con più di 420mila visitatori all’anno, molti dei quali giovani. 
Il museo ha, tuttavia, conservato un po’ d’intimità: ad esempio c’è ancora il tavolo da pranzo nella sala dove sono esposti i cubisti. In questo modo cerchiamo di renderlo un posto più accogliente che dà il benvenuto e dove si respira una bella atmosfera.

Lei ha affermato di voler focalizzare la sua collezione sul Novecento.
Un secolo così ricco ancora da scoprire, ma da vedere con occhi contemporanei. Però fa parte della nostra missione scoprire anche artisti meno noti. Come Kenzo Okada (1902-82), un pittore giapponese molto vicino all’Espressionismo astratto di Rothko e che Peggy ha collezionato negli anni ’60.

In occasione della prossima Biennale quale artista avete scelto?
Jean Arp pittore, scultore, pensatore e membro di Dada. Una sua opera è stata il primo acquisto di Peggy nel 1938 ed è un artista ben rappresentato nella collezione.

Settant’anni fa Peggy presentava la sua collezione alla Biennale di Venezia.
Già nel 1947 Peggy si era trasferita a Venezia; nel 1948 espose la sua collezione alla Biennale e l’anno dopo acquistò Palazzo Venier dei Leoni. Fu un momento magnifico per lei, ma anche importante per Venezia. Vennero presentate le avanguardie europee e gli artisti di New York attivi negli anni ’40, compreso Jackson Pollock, di cui Peggy organizzò anche una mostra al Museo Correr nel 1950. Al momento sono esposti tutti gli 11 Pollock della collezione. Un fatto importante anche per gli artisti italiani come Tancredi (una sua opera è collocata di fronte alla scrivania della Vail, Ndre Vedova.

Nel 2019 ricorrono i 40 anni dalla scomparsa di Peggy. Come intende rievocarla?
Ricorderemo l’anniversario in due diversi momenti. A inizio anno esporremo le Avanguardie storiche (Astrattismo, Cubismo e Surrealismo), anche nella barchessa, mentre nell’area delle mostre temporanee sarà collocata la Collezione Schulhof, per la prima volta esposta nella sua interezza. L’estate è dedicata ad Arp. In autunno presenteremo le opere acquistate da Peggy dopo il 1948, comprese alcune sculture e un quadro di Okada. Nel 2020 mostreremo la collezione d’arte africana, precolombiana e oceanica, mai vista a Venezia salvo alcuni pezzi nella sala da pranzo.

E i quadri di Pegeen, la figlia? 
Sono sempre esposti, hanno un bello spirito.

Sua nonna la sollecitava a visitare chiese e musei. Che cosa consiglierebbe a un giovane, oggi?
Le chiese e i musei, certo, però io andrei anche a spasso senza guida e telefonino. E a Venezia mi perderei tra le calli e i campi.

Quali sono i vostri rapporti con gli altri musei e istituzioni culturali?
Collaboriamo con diverse istituzioni in città quando ci sono delle contiguità nei programmi: ad esempio, fino a poco tempo fa con la Fondazione Giancarlo Ligabue abbiamo collaborato in occasione del public program della mostra «Josef Albers in Messico». Dal momento che non possediamo un auditorium, questo ci sollecita a stringere ancor più i rapporti con le altre realtà come Ca’ Foscari e Palazzo Grassi.

La carenza di spazi è da sempre una costante.
Ma il piccolo è anche bello e più intimo. È molto positivo, invece, che si sia trovato uno spazio apposito per la caffetteria in modo da liberare interamente l’ala delle esposizioni temporanee, anche con le project room. Nelle altre sale sono intervenuta facendo aprire delle finestre, ben protette per filtrare i raggi del sole, in modo che possa entrare la luce naturale.

E per quanto riguarda la conservazione e il restauro delle opere? 
È un aspetto molto importante. Disponiamo di un piccolissimo laboratorio e c’è un ottimo restauratore che fa parte dello staff. Per il resto facciamo riferimento all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Certo le nostre opere non sono antiche, ma alcune presentano delle problematiche conservative che bisogna curare con attenzione.

In questo suo anno sono state acquisite nuove opere? 
Nessuna acquisizione. In futuro vedremo. Accettare donazioni è una cosa sempre interessante, purché queste non siano sottoposte a condizioni severe. D’altra parte la collezione di Peggy si è conclusa con la sua morte. Peggy Guggenheim cede la proprietà della sua collezione alla Solomon R. Guggenheim Foundation a condizione che le opere rimangano a Venezia. Alla morte di Peggy, nel 1979, la Fondazione diventa proprietaria di Palazzo Venier dei Leoni.

Torniamo al tema degli artisti del Novecento.
Credo che debba esserci un programma equilibrato con alternanza tra nomi noti e altri da far conoscere. Anche artiste (a questo punto si accorge che nella programmazione, al momento, non è inclusa nessuna donna. Ride e si impegna a rimediare quanto prima. Ci sono, infatti, in programma in futuro mostre al femminile; Ndr).

Com’è stato questo primo anno?
È volato. È stato intenso e molto bello. Ogni volta che entro in collezione mi meraviglio della sua qualità. Che sempre si rinnova anche grazie alla rotazione delle opere. Peggy le faceva girare, pur all’interno di un percorso da rispettare. Sono felicissima di essere qua. Spero per molti anni ancora, nonostante la fatica del quotidiano.

 

Lidia Panzeri, da Il Giornale dell'Arte numero 389, settembre 2018

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