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Patrimonio e valorizzazione: la rivoluzione copernicana che mette al centro gli impatti sui territori e le comunità

  • Pubblicato il: 14/10/2015 - 22:24
Autore/i: 
Rubrica: 
SPECIALI
Articolo a cura di: 
Enrica Puggioni

SPECIALE VALORIZZAZIONE DEGLI IMMOBILI PUBBLICI E SVILUPPO TERRITORIALE. Dal tavolo Patrimonio Pubblico, Valorizzazione, Innovazione che si è svolto ad ArtLab 15, emerge la necessità di far prevalere il valore d’uso rispetto alla valutazione meramente economica del patrimonio. Una rivoluzione copernicana che trasforma i beni pubblici in attivatori di processi di innovazione culturale e sociale e di coinvolgimento attivo della comunità. Di seguito l’efficace sintesi del dibattito del Tavolo proposta da Enrica Puggioni -  Assessore alla Cultura, Pubblica Istruzione, Sport e Spettacolo, Comune di Cagliari nella sessione plenaria di sabato 26 settembre
 
 
Il tavolo tecnico sulle strategie di valorizzazione del patrimonio pubblico si è trasformato in una lunga maratona di esperienze, pratiche, modelli, idee che, lungi dal costituire una lista sconnessa di interventi singoli, si configurano come una felice piattaforma di elaborazione e riflessione sui temi cruciali e non più rimandabili delle politiche di sviluppo territoriale capaci di produrre innovazione sociale  e culturale.
Franco Milella ha messo bene in evidenza la necessità di far prevalere il valore d’uso rispetto alla (spesso predominante) valutazione meramente economica del patrimonio, un assunto condiviso unanimemente dai relatori che ha fatto da sfondo generativo a tutta la discussione. Giorgio Righetti, Direttore generale ACRI - ha denunciato quella deriva economicistica che negli ultimi quindici anni ha portato a considerare il patrimonio in termini di valutazione meramente economica. Invertire e capovolgere questa tendenza, ricercando l’interesse pubblico nell’individuazione partecipata del valore d’uso del patrimonio, significa aprire le porte a una rivoluzione copernicana che investe, non solo il pubblico, la politica, la pubblica amministrazione e il mondo delle istituzioni, ma anche i territori, le comunità, gli operatori culturali, le imprese, le associazioni...  Vengono a cadere le facili distinzioni manichee tra profit e no profit, tra culturale e sociale cambia anche il modo di intendere le strategie di valorizzazione che non si basano più sulla puntuale sostenibilità del singolo bene  considerato in maniera avulsa dall’intero sistema del patrimonio e slegato dai  processi di pianificazione territoriale. Mettere al centro il valore d’uso significa rinunciare all’anacronistica concezione della singola titolarità del bene e quindi vuol dire progettarne funzioni, vocazione e governance nel più ampio quadro dei piani di rigenerazione urbana, avendo come obiettivo e insieme come parametro di valutazione l’impatto generato sui territori e sulle comunità. I presidi culturali sui territori non sono più semplici attrattori ma al contrario attivatori di processi di innovazione culturale e sociale, di coinvolgimento attivo della comunità e di messa in rete di energie, luoghi ed esperienze. Spazi che diventano incubatori di imprese riportando nella dimensione urbana il lavoro, anche manifatturiero, e affiancandolo alle esperienze creative e di co-working.
 
Tali considerazioni hanno espresso una esigenza forte e condivisa di politiche pubbliche forti, in grado di disegnare una cornice e quindi un sistema per inserire i progetti e i processi di valorizzazione patrimoniale nella pianificazione territoriale. La sfida è duplice: da un lato la politica deve uscire dalla dimensione emergenziale dell’hic et nunc per assumersi l’onore e l’onere di progettare il domani, avendo il coraggio dei pensieri lunghi e della progettazione di lungo respiro, dall’altro la responsabilizzazione e il rafforzamento delle decisioni pubbliche devono essere capaci di generare, promuovere e incontrare le esigenze, le sollecitazioni e i bisogni del territorio. Le comunità devono entrare nei processi decisionali pubblici, come agenti di cambiamento. Come è emerso chiaramente dal tavolo, si va verso l’elaborazione di governance partecipative capaci di coinvolgere gli stakeholder fin dalle prime fasi di progettazione di valorizzazione del patrimonio, per superare la logica del luogo come attrattore o come mero generatore di valore economico in favore di un’idea più complessa di beni pubblici come strumenti capaci di generare innovazione sociale e culturale, di contribuire alla crescita e allo sviluppo delle comunità, di promuovere processi di empowerment del capitale cognitivo, di favorire processi di inclusione e aggregazione senza per questo cedere alla sirena della standardizzazione culturale. Il concetto stesso di sostenibilità si amplia: da un lato, esce dalla sola valutazione economico-finanziaria per coinvolgere la dimensione, altrettanto importante, degli impatti sociali diretti e indiretti sui territori spesso minacciati da un drammatico impoverimento di competenze e dall’altro non si riferisce più al singolo “pezzo” del patrimonio ma all’intero sistema acquistando una scala territoriale. 
 
Le concessioni dei beni pubblici devono essere corollari di una visione alternativa del patrimonio pubblico diventando  strumenti di cambiamento. La riflessione sugli strumenti normativi diventa determinante per coinvolgere le comunità e gli operatori già nella fase di adozione delle scelte superando una logica di semplice concessione di servizi per co-progettare e pianificare insieme rendendo la valorizzazione del patrimonio lo snodo nevralgico di una più ampia valorizzazione territoriale. Ridisegnare i territori vuol dire ricomporre un tessuto sociale spesso frammentato e sfilacciato, coinvolgere chi è ai margini, promuovere attivamente quelle differenze e diversità che producono innovazione. Gli strumenti normativi sono importanti e tutti concordano su un punto: non servono nuove leggi. Chiunque abbia a che fare dall’interno con le pubbliche amministrazioni sa che la struttura deve districarsi tra una selva di norme che richiedono spesso interpretazioni al limite dell’ermeneutica e dell’esegesi.
 
Nell’esperienza di Cagliari abbiamo sviluppato una governance partecipativa adottando lo strumento della Finanza di progetto per la concessione degli spazi culturali coinvolgendo il privato già nella  fase di co-progettazione delle funzioni e degli utilizzi dello spazio e nell’ambito di un più ampio processo di rigenerazione urbana su base culturale, interessando non solo il singolo bene ma anche i territori di riferimento. L’interesse pubblico viene infatti misurato considerando gli impatti generati sulle comunità e nell’ambito della più ampia geografia culturale e gestionale della città. Il concetto del valore d’uso, se perseguito fino in fondo, porta a forme di governance inedite nelle quali la leva sociale fissata dal decisore pubblico è generalmente alta e i partenariati pubblico-privati hanno come obiettivo non solo la sostenibilità economico-finanziaria ma più radicalmente il rilancio e lo sviluppo di intere porzioni di territorio. Se da un lato le leggi sono troppe, dall’altro è necessario che, a tutti i livelli, ci sia una piena responsabilizzazione delle politiche pubbliche e una capacità di declinazione di indirizzi chiari e non equivocabili, anche mediante una codificazione/esplicitazione dei percorsi legati alle concessioni in ambito culturale e alla progettazione relativa all’innovazione sociale e culturale. La finanza di progetto per i servizi si basa sull’articolo 278  del DPR 207/2010, che per tutti gli aspetti rimanda alle procedure utilizzate per l'individuazione del promoter nei lavori pubblici.  
 
Se vogliamo superare la dimensione meramente prescrittiva in favore di una di tipo valutativo che aiuti gli amministratori nella valutazione e nel monitoraggio, è necessario dotarsi di un regolamento attuativo che, con coraggio, preveda una particolare sezione per i servizi in campo culturale.  Ciò diventa ancora più urgente nei casi di gestione integrata del sistema del patrimonio pubblico ovvero là dove, abdicando all’idea di titolarità singola ed esclusiva del bene, le istituzioni optino per strumenti di gestione condivisi delle strategie di valorizzazione. Tali processi di messa in rete, richiedono  un  quadro normativo chiaro per codificare l’intero percorso: dall’individuazione dei  servizi da mettere a bando e dagli strumenti più idonei e meno onerosi per creare il partenariato istituzionale, alla condivisione di criteri di valutazione su scala territoriale fino ai meccanismi di contrattualizzazione di privati là dove il committente è la somma di più istituzioni pubbliche. E’ prioritario superare quella frammentarietà che ha diviso i diversi mondi di valore, la stessa che  pubbliche nella PA ha condotto allo spezzettamento di competenze e di funzioni. E arriviamo agli ultimi due temi. Il primo, e forse più urgente, riguarda il pressante invito a inserire nella programmazione europea i processi di valorizzazione e innovazione sociale e culturale all’interno ovviamente dei più ampi piani di riscrittura delle geografie urbane. L’ultimo richiama l’attenzione sull’urgenza di arrivare a una integrazione efficace ed efficiente di competenze nelle nascenti aeree metropolitane, per una pianificazione del territorio che vada al di là della semplice valorizzazione patrimoniale e quindi della semplice dimensione urbana, ma che sia capace di progettare in termini ben più ampi, quali sono  le aree metropolitane.
 
 
Enrica Puggioni, Assessore Cultura, Pubblica Istruzione, Sport e Spettacolo, Comune di Cagliari
 
 
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