Partecipazione. Cooperazione. Sperimentazione
Compiono 25 anni le Fondazioni di origine bancaria. E hanno profondamente cambiato strategie dagli esordi. Un mestiere da imparare per la filantropia istituzionale italiana nata normativamente, dalla riforma del sistema bancario nel 1992. Conversiamo con Matteo Melley, 57 anni, avvocato, da quindici anni ai vertici della Fondazione Carispezia, che ci parla con franchezza rara, delineando un modello di intervento che ha preso forma sul campo : “a vincere le complesse sfide saranno progetti multi-stakeholder di coinvolgimento e dialogo con il territorio e con gli attori locali.”. La cooperazione tra fondazioni è la risorsa su cui lavorare. “Partiamo dai festival, progetti nei quali tutte le fondazioni sono impegnate”, alzando l’ambizione, per favorire coinvolgimento e consapevolezza con la lettura, oltre l’evento. ”E dai nodi territoriali irrisolti”. Sperimentando, “senza negare l’errore”
La Spezia. Iniziative dirette a promuovere l’ascolto e il confronto, in linea con le indicazioni della “Carta delle Fondazioni” e del Protocollo di intesa tra Acri (l’Associazione che riunisce le fondaizoni di origine bancaria) e il Mef, il Ministero dell’Economia e delle Finanze: il rafforzamento dell’analisi dei bisogni e delle priorità del territorio attraverso il dialogo con gli stakeholders. “Condivisioni” per raccogliere direttamente dai cittadini indicazioni utili per delineare la programmazione della Fondazione Carispezia per il triennio 2017-2019, l’ultimo del mandato del brillante avvocato Matteo Melley. Questo è il titolo del sondaggio on line al quale hanno risposto 852 persone, affiancato a tavoli di consultazione permanente in ambito sociale, culturale e formativo, con interlocutori istituzionali e del terzo settore e ricerche sull’nalisi dei bisogni sociali condotte da istituti di ricerca (IRS-Istituto per la ricerca sociale e il Centro Ask, Art, Science and knowledge dell’Università Bocconi).
Ci ha richiamati a La Spezia lo sforzo di trasparenza di una fondazione che intende proporsi come “catalizzatore di risorse economiche e progettuali”, per prumuovere coesione sociale, rafforzare il percorso di coinvolgimento e lavoro partecipato con la comunità, interventi che permettano sperimentazioni, innovazione.
Per il triennio la fondazione destinerà all’attiva istituzionale 33 milioni di euro (12 milioni in eorgazioni e 6 milioni per il fondo stabilizzazione, 15 milioni ad investimenti correlati alla misione-housing sociale, autonomia autismo e altre iniziative di sviluppo locale). Per il 2017, saranno 4 i milioni investiti, di cui pariteticamente 1,450 ad Arte e Cultura e altrettanti al Welfare. 850mila andranno all’Educaione e 250mila al volontariato. Cerchiamo di capire come.
Veniamo accolte con grande disponibilità nel palazzo di via Chiodi, colmo di opere d’arte del nostro tempo che convivono con altre del genius loci. Partiamo da questo punto, nella conversazione con il Presidente. Una “fresca e non muscolare rappresentazione di sé”. Come nasce la collezione della Fondazione?
All’atto della nascita della Fondazione con la riforma Amato il patrimonio storico-artistico è rimasto alla banca. Un patrimonio importante di opere sia antiche che contemporanee, frutto della visione illuminata della dirigenza dell'epoca. La Fondazione decise quindi di affidarsi alla contemporaneità, anche per valorizzare una storica iniziativa di La Spezia, persa negli ultimi anni: il premio nazionale di pittura “Premio del Golfo”, intitolato al Golfo della Spezia e ideato da Filippo Tommaso Marinetti e Fillia, che prevedeva che attraverso la modalità del Premio-Acquisto venissero destinate numerose opere vincitrici alla Galleria Civica. Il concorso ebbe alterne fortune. Agli inizi degli anni Duemila, si tentò di riprendere questa tradizione con una serie di iniziative che la Fondazione sostenne, dirette da Bruno Corà, ma purtroppo il sovraffollamento di queste operazioni non ha consentito di dare all’operazione lo smalto degli anni d'oro, gli anni Cinquanta.
Le opere della nostra collezione arrivano da questa esperienza alla quale abbiamo abbinato un'iniziativa sociale: artisti locali di fama nazionale hanno offerto le loro opere a un'associazione filantropica, Muse, che sostiene la musica nelle scuole a livello nazionale. Con la formula del premio acquisto abbiamo acquisito le opere che creano la nostra piccola galleria.
Museo Lia e CAMEC. Come nascono i principali musei della città?
La Spezia negli anni Novanta attraversò la sua più grande crisi, quella delle cosiddette partecipazioni statali, alle quali è legata, all’armiero, alla Marina Militare. La città si trovò in ginocchio. Il sindaco dell'epoca ebbe l'ambizione di trasformare questa città, molto legata all'industria, in città d'arte. In quel momento l’illuminato imprenditore spezzino Amedeo Lia, grande collezionista di arte antica, convinse il sindaco a creare un museo ove ospitare la collezione che sarebbe stata donata. Tuttora ospita la collezione che è immutata, alla scomparsa di Lia. Nel 2003 è stato aperto il Centro di arte moderna e contemporanea –il CAMEC–, pensato per accogliere le opere del Premio del Golfo. In questi spazi trovarono collocazione le opere di arte moderna e contemporanea di un altro collezionista privato, Giorgio Cozzani, mosso a dar lustro alla sua città sull'onda dell’operazione Lia.
Negli anni Duemila questa città si inventò quindi due musei: Lia per l'arte antica e il CAMEC per l'arte moderna e contemporanea, che fu aperto nel 2003. Investimenti culturali poderosi collocati in un contesto che non era minimamente preparato. Sempre a quel periodo risale il Museo del Sigillo, frutto della donazione di 1500 sigilli da parte di Lilia ed Euro Cappellini.
Molti musei e i visitatori?
Pochissimi. La città aveva ed ha un suo museo, il Museo Navale, che ospita cimeli della storia della Marina e della navigazione. E' un'attrattiva per i turisti e sicuramente gli spezzini vi si riconoscono. Si tratta però di un museo a sua volta dimenticato, dentro all'Arsenale militare, non interattivo, da ripensare e modernizzare. Il sistema museale è tutt'ora uno dei nodi irrisolti di questa città che vorrebbe una vocazione turistica. Avrebbe le carte, ma deve scegliere un posizionamento. In effetti non ha mai imboccato la strada della vera rigenerazione con una visione politica.
La Spezia ha molti spazi ancora in cerca d'autore?
Molti. I più fascinosi sono quelli della Marina Militare. Sulla scorta di analoghe operazioni di altre fondazioni, abbiamo immaginato di intervenire per acquisire e riqualificare un immobile di fine ‘800 della Marina Militare, già adibito a deposito d’artiglieria e ora abbandonato: si trova in una parte della città limitrofa alla nuova sede universitaria, che potrebbe avere una vocazione creativa che tuttavia, al momento, non si è concretizzata.
La Spezia ha un grande fermento culturale dal basso, con associazioni molto vitali, ma non basta: i giovani se ne vanno come scrive lo scrittore Maurizio Maggiani nel suo libro Il
Romanzo della Nazione in cui presenta la storia della città.
La Fondazione può giocare un ruolo nel ridisegno territoriale.
Con onestà, pur essendo un fervido sostenitore del rapporto pubblico-privato, non lo vedo ancora completamente realizzato, per l’antica diffidenza culturale nei confronti dei corpi intermedi cui appartengono le fondazioni di origine bancaria. Queste ultime sono tuttora considerate soprattutto in funzione delle risorse economiche, mentre ne è trascurata la capacità progettuale e di innovazione.
Nella nostra precedente intervista, cinque anni fa, la sua visione era più positiva.
Ero molto più entusiasta e ottimista. In ambito culturale, è noto che la nostra Fondazione ha promosso il “Festival della Mente” di Sarzana, che è diventato uno dei grandi eventi di approfondimento culturale nazionale ed è considerato l’evento principale per il territorio. Il Festival doveva diventare per Sarzana un brand non solo legato ai tre giorni in cui si svolge la manifestazione, ma dal lunedì successivo all’edizione si parla d'altro. È folle.
Folle come non collaborare su questo tema con le altre fondazioni. Tutte sono impegnate nei festival. In questo ambito potremmo cooperare insieme sul fronte delle industrie culturali e creative come è avvenuto per il progetto virtuoso di Funder 35, il quale purtroppo è un caso isolato. Sui finanziamenti comunitari le Fondazioni potrebbero fare molto di più a livello di sistema.
In Italia una persona su 5 non legge nemmeno un giornale l'anno. I Festival avvicinano la cultura alla popolazione.
Dobbiamo però chiederci se sia possibile un ulteriore forzo per favorire la lettura. Il progetto Il quotidiano in classe è un esempio intelligente che si potrebbe riprodurre - fatte le debite proporzioni - nell'ambito della lettura del libro. Anziché dibattere tra il Salone a Milano o Torino…
Ogni Fondazione ha fatto esperienze, anche grazie ai Festival e si tratta di attività che potrebbero essere messe a sistema per un progetto nazionale: occorre però garantire con meccanismi di filtro una ricaduta di questi finanziamenti, in modo che non siano penalizzate i territori minori. In questo senso le Fondazioni possono avere un ruolo di semina sul territorio, coinvolgere gli attori locali, obbligarli a mettersi in rete.
Sulla lettura ad esempio sono convinto che potrebbe esserci uno spazio enorme nel rapporto con le scuole che travalichi l’evento in sé.
Abbiamo fatto una mappa delle fondazioni coinvolte nei festival culturali italiani: Modena, Carpi, Pordenone, Pistoia, Livorno che ha appena inaugurato lo scorso anno il Festival dell'Umorismo, diretto da Stefano Bartezzaghi, Carrara che nel suo piccolo fa il festival Convivere, gli scrittori a Cuneo, in Sardegna Leggere metropolitano grazie alla Fondazione di Sardegna, Cariplo che sostiene Bookcity. Una massa critica a disposizione non solo economica ma anche come best practice per aiutare a diffondere la lettura.
Avete avviato un percorso per una Fondazioni di comunità.
Sono affascinato da quest'idea. Riconosco che sia più facile farla nascere al Sud, dove c'è capacità di unirsi: chi può, chi ha le risorse sa di dover fare un passo indietro e condividere prospettive con altri per un progetto comune. Al Nord, esistendo maggior ricchezza diffusa, ognuno pensa di poter fare da solo. Bisogna superare l'idea della frammentazione, della parcellizzazione che c'è tuttora nel donare, nell'essere filantropi. Il nostro è un paese che non ha nel Dna l'idea della fondazione di comunità: in Italia lo Stato, la Chiesa, l'Opera pia, il singolo sono stati più forti. Anche le fondazioni bancarie sono state create per legge con una missione diversa da quella attuale. Perché la Fondazione Con il Sud ha successo? Perché è nata dalle fondazioni bancarie insieme al terzo settore con uno scopo ben prestabilito. E’ un modello al quale ispirarci. Fa parte di quella strategia di cui parlavamo, in cui la Fondazione bancaria si mette in gioco: non si limita a dare denaro, correndo anche il rischio di essere equivocata. E’ successo anche a noi con il progetto in corso di creazione della fondazione di comunità, improvvisamente tutti si sono chiesti che cosa volessimo fare, creare un altro organismo?
Per il momento abbiamo stanziato fino a 1 milione di euro. Abbiamo poi dato la disponibilità tutti gli anni di raddoppiare i contributi per l'attività erogativa; non solo per il patrimonio ma anche le erogazioni annuali.
Di recente abbiamo ospitato alla Spezia per un confronto le Fondazioni di Comunità di Messina, Salerno e Napoli, a seguito del quale stiamo avviando una collaborazione con imprenditori ed esponenti del privato sociale per costituire il Comitato promotore. Deve essere uno strumento nato all’interno della comunità, che mi auguro divenga operativo entro il prossimo triennio, a conclusione del mio mandato di presidente.
Le fondazioni bancarie devono provare a sperimentare; nessun altro organismo ha questa possibilità. Sperimentare vuol dire anche fallire. Ci vuole pazienza, perseveranza, possiamo anche far tesoro dei nostri errori, senza negarli.
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