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Parliamo di Accademie

  • Pubblicato il: 07/06/2013 - 00:44
Rubrica: 
NOTIZIE
Articolo a cura di: 
Olga Scotto di Vettimo
Guido Curto

Napoli. Il tema dei patrimoni delle Accademie di Belle arti, della loro salvaguardia e della necessità di concrete azioni indirizzate a esaltarne le specificità, contrastandone la dispersione e il rischio di degrado attraverso nuove possibilità di fruizione e valorizzazione, anima il convegno «Patrimoni da svelare per le arti del futuro» (13-15 giugno), curato da Giovanna Cassese, organizzato dall’Accademia di Belle arti di Napoli con la Direzione generale Miur Afam (Alta formazione artistica, musicale e coreutica), patrocinato dal Mibac, Mae, Icom, Regione Campania, Provincia e Comune di Napoli e posto sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica. Per la prima volta si affronta un nodo per nulla a latere rispetto alle pratiche operative e alla funzione formativa di queste istituzioni, facendo emergere il nesso inscindibile tra didattica, ricerca e produzione artistica che passa inevitabilmente anche attraverso le maglie della tutela e della valorizzazione di questi beni misconosciuti, posti sotto l’Alta sorveglianza Mibac.
Il carattere di emergenza e di attualità è implicito nel taglio stesso del convegno (che coinvolge le 20 Accademie statali italiane e le cinque Accademie storiche legalmente riconosciute: Genova, Bergamo, Verona, Ravenna e Perugia), perché affronta questioni profonde e sostanziali che vanno dalle prospettive identitarie delle Accademie a quelle della didattica e dello studio, agli stessi patrimoni avvertiti come volano per la crescita culturale e artistica e non come improduttive eredità di queste istituzioni. Giovanna Cassese, direttore dell’Accademia di Belle arti di Napoli, precisa: «Le Accademie sono università e beni culturali insieme, un ganglio fondamentale nel sistema dell’arte soprattutto per l’interrelazione strettissima che qui esiste tra i beni culturali e la didattica dell’arte. Sono il luogo dove memoria, identità e futuro si intersecano e dove si formano gli artisti. La costruzione di un tavolo nazionale permanente delle Accademie potrebbe essere un’occasione per accedere ai fondi Prin per progetti specifici sui patrimoni storici e contemporanei». Ma della qualità di questi beni non si parlerà nel convegno, che invece vuole offrire spunti per elaborare proposte operative. Pertanto una poderosa pubblicazione di 400 pagine, curata dalla Cassese e che raccoglie i contributi di circa 70 autori, precede il convegno, illustrando la storia di questi patrimoni e consentendo, così, più concrete accelerazioni propositive. «Napoli costituisce per certi versi un caso invidiabile, perché qui didattica, formazione e patrimonio convivono in uno stesso edificio storico, a differenza di altre eccellenze italiane, continua il direttore. Negli anni si è portata avanti una politica di valorizzazione con l’apertura anche alla città della Galleria, della Gipsoteca, della biblioteca, del teatro, dell’archivio storico e dell’aula magna».
Che la questione della sede non sia marginale emerge anche dalle preoccupazioni di Francesca Valli, storica dell’arte, coordinatore delle raccolte storiche dell’Accademia di Brera di Milano: «Vent’anni fa, dopo gli ultimi concorsi nazionali, l’arrivo di molti storici dell’arte in Accademia ha consentito che gli studi sull’800 venissero compiuti al suo interno, guardando al proprio patrimonio d’arte. I “materiali negletti” o relegati in depositi esterni, perduta la loro funzione legata alle vocazioni originarie di queste istituzioni, la formazione e la tutela, trovarono una prima e vera occasione di sistemazione e interesse. Il problema di Brera è legato innanzitutto agli spazi, insufficienti per la didattica e per il patrimonio, vissuto talvolta come un ingombro e non come un bene. Ma, se i nostri ruoli sono a esaurimento, chi se ne occuperà in seguito? Le Soprintendenze? Temo che le Accademie potrebbero correre il rischio di perdere la loro identità storica». Le storie che emergono sono tutte diverse. Guido Curto, direttore dell’Accademia Albertina di Torinodal 2005 al 2011 e oggi responsabile dell’annessa Pinacoteca, sottolinea che «il vero problema delle Accademie è un problema di governance. La possibilità di un direttore di rimanere in carica solo 3 anni, rinnovabili per altri 3, non consente di attuare politiche durature nel tempo attraverso azioni culturali e manageriali. Con fondi ministeriali, ma soprattutto regionali, nel 2009 la Pinacoteca è stata completamente riallestita e climatizzata e dal primo giugno sarà sempre aperta al pubblico, anche il fine settimana; per gli studiosi sono consultabili la biblioteca storica e l’archivio storico. Non esiste purtroppo una Gipsoteca, ma tutti i gessi sono stati catalogati. La salvezza di questi patrimoni passa attraverso la consapevolezza che non si tratta di vecchie appendici, ma di elementi dinamici, strettamente collegati alla ricerca e alla didattica». E non la pensano così solo gli storici dell’arte. Diana Ferrara, docente di tecniche dell’incisione all’Accademia di Veneziapone l’attenzione però su altre questioni, legate a una diversa tipologia di beni: «Il trasferimento nel 2002 nell’ex Ospedale degli Incurabili è stata l’occasione per rivalutare il patrimonio. Catalogato a partire dal 2000, è stato suddiviso in Archivio storico (con documenti dal 1750), notificato dalla Soprintendenza competente, e in Fondo storico (disegni, stampe, fotografie, libri antichi, gessi e medaglie). I dipinti e le sculture invece, sono diventati dalla fine dell’800 proprietà delle Gallerie dell’Accademia, a eccezione di un contenuto nucleo, tra cui l’“Autoritratto” di Francesco Hayez. A Venezia collaboriamo anche con professionisti diversi: archivisti, bibliotecari, restauratori di carta. Le Accademie per vocazione guardano al futuro, ma se recuperiamo il nostro patrimonio, intenso come risorsa da proteggere e valorizzare, anche gli studenti rispondono con interessi di ricerca».
Questo convegno è, dunque, un grido di allarme e di speranza. «Le Accademie possono avere un ruolo fondamentale anche per uscire dalla crisi dei musei vuoti, ribadisce la Cassese; ma, se si vuole mantenere il primato dell’Italia nelle arti, lo Stato ha il dovere di investire e di sostenere la cultura e la formazione, nella consapevolezza, però, che bisogna parlare di salvaguardia e che la valorizzazione senza tutela si tramuta in sterile azione che non guarda alle generazioni future che, invece, non possono non educarsi anche sui modelli del passato».

da Il Giornale dell'Arte numero 332, giugno 2013