Oltre la sindrome di Vilcoyote. Cultura e welfare. Una prospettiva per scegliere
Ricordate Vilcoyote, il personaggio che sulle montagne rocciose voleva acchiappare Beep Beep in inconcludenti quanto rocambolesche avventure? Sospeso tra le gole della Monument Valley, inconsapevole del baratro? Ma non ci sarà qualcuno che lo richiami evitandogli di precipitare? Ricordi da infanzia per Luca Dal Pozzolo che colloquiando di politiche culturali con Francesco De Biase e Aldo Garbarini intorno a questa metafora, porta ad un libro che richiama riflessioni urgenti e chiude con il capitolo che proponiamo sulle scelte di futuro
Chi ama leggere, ascoltare musica, andare a teatro o dedicarsi a una qualche pratica artistica, anche solo a livello amatoriale, conosce il potere consolatorio, rasserenante o puramente distensivo di queste attività. Che l'arte e la cultura facciano bene in termini complessivi di qualità della vita, ma anche in termini di equilibrio psico-fisico, è convinzione di molte persone abituate ad alti consumi culturali. Tuttavia, questi aspetti scolorano sullo sfondo, offuscati da una concezione romantica dell'arte e dell'artista, dove prevale il carattere saturnino, il tormento interiore, la crudezza esistenziale, la sofferenza come innesco e pulsione della creatività; Caravaggio, Borromini, Beethoven, Van Gogh, Rimbaud, Rothko, Keruoac, Pollock, Morrison - solo per citare alcuni casi universalmente noti - accreditano questa versione di un contrappasso doloroso da dover pagare per arrivare ai vertici della creatività e dell'espressione artistica. Questi aspetti sono largamente noti e studiati nelle biografie degli artisti, ma anche nel ruolo contraddittorio che arte e cultura assumono in rapporto alle forme di potere e alle società contemporanee: rappresentazione compiacente, a volte, ma anche critica feroce, stimolo a rompere le convenzioni, spinta emotiva a cambiare punto di vista, sollecitazione a un disagio percettivo da superare per arrivare a un altro stadio di consapevolezza. Con tutto ciò che comporta nelle varie situazioni politiche e storiche; dalla celebrazione all'opulenza economica, alla persecuzione, alla censura, alla riprovazione e all'emarginazione sociale. Non è estranea a tutto ciò e a questa concezione romantica la convinzione che una certa sofferenza e una certa fatica siano perlomeno doverose quando ci si avvicina alle arti e alla cultura, anche come semplici fruitori. Si tende così a dimenticare che oltre ai tormenti della creazione - presenti in molti figure d'artista, ma non certo in tutti - esiste anche un lato edonistico nella produzione e nella fruizione dell'arte e della cultura, che la cultura è componente essenziale della qualità della vita in termini di piacere e che quest'ultimo non necessariamente è pura beanza irresponsabile, ma può contenere tutto il registro delle emozioni, dalla gioia allo struggimento, al dolore, in un dominio di pienezza esistenziale1.
Al di là di un apprezzamento degli effetti psicologici, le ricerche contemporanee si addentrano con decisione nella valutazione degli impatti positivi che arte e cultura hanno sulla salute, accumulando evidenze scientifiche sia in termini statistici, sia svelando per la prima volta la complessità dei processi causali di tipo fisiologico che la fruizione o la creazione artistica hanno sulla salute degli individui. Dopo aver provato in passato inequivocabilmente la correlazione positiva tra livello d'istruzione e attesa di vita, anche gli effetti dell'esposizione al mondo dell'arte e della cultura vengono presi in considerazione per il loro portato di welfare.
Nel 2011, Turku eletta Città Capitale Europea della Cultura, mette al centro dell'attenzione la relazione Cultura-Salute-Welfare, dedicando a questo tema non solo studi, ricerche e seminari, ma anche sperimentazioni operative e policy dedicate. Ad esempio il conferimento ai medici di base di voucher per spettacoli musicali, teatrali, mostre, musei da utilizzare per i pazienti ai quali vengano prescritte terapie culturali, che prevedano la fruizione o la partecipazione ad attività culturali. Questa iniziativa che istituisce terapie culturali è stata estesa anche oltre i confini temporali della nomina a Capitale Culturale Europea, per divenire una buona pratica di riferimento in Finlandia a livello nazionale.
Nei prossimi anni, dato l'interesse e le potenzialità di declinazione del tema in policy innovative e di grande impatto, ci si aspetta un fiorire di nuove sperimentazioni e un progresso importante della ricerca scientifica nell'analizzare i nessi tra fruizione culturale e artistica, salute ed equilibri psico-fisici.
In particolare le potenzialità d'impatti positivi in termini di prevenzione e di mantenimento di buone condizioni di benessere fisico e psichico appaiono ancor più interessanti e socialmente estendibili rispetto a interventi in fase acuta o post-acuta.
Nelle attuali società occidentali e in Italia segnatamente, la senilizzazione della popolazione propone temi sociali mai affrontati in queste dimensioni nei secoli e nei decenni precedenti. L'allungamento della vita media, non solo impatta sul sistema e sul trattamento pensionistico, ma pone il tema del mantenimento più a lungo possibile delle condizioni di autosufficienza della popolazione e del minimo ricorso possibile al sistema sanitario e socio-assistenziale, per evitare una crescita abnorme della spesa pubblica in quei settori o il degrado delle condizioni di vita al di sotto dei livelli di dignità esistenziale per le persone anziane.
Ora, una parte consistente delle cause che fanno precipitare le condizioni di equilibrio soggettivo e impongono il ricorso all'ospedalizzazione o il ricovero in strutture protette, non è legata esclusivamente a motivi di carattere fisiologico, ma pertiene alla rottura delle reti sociali di riferimento, alla solitudine, alle difficoltà delle famiglie di farsi carico di una socialità ricca per gli anziani o al frantumarsi di modelli di vita inclusivi, all'insorgere di paure e componenti depressive, a disagi più di ordine sociale e psicologico che non fisico. E qui la cultura e le istituzioni culturali possono fare tanto, anzi tantissimo, e già fanno, peraltro.
Molte biblioteche di grandi città in questi anni di crisi sono state sollecitate a innalzare la componente socio-assistenziale dei propri servizi e delle proprie attività. La possibilità di navigare su internet gratuitamente e di rientrare in collegamento con i paesi d'origine, l'offerta di corsi d'italiano e diversificati momenti di formazione, l'esistenza di gruppi di discussione portano le biblioteche in Italia, come già in altri paesi, a divenire snodi cruciali dei percorsi di cittadinanza; la possibilità di dimorare temporaneamente in un luogo caldo d'inverno e temperato d'estate in condizioni di comfort fisico, impiegando il proprio tempo in attività di lettura e in condizioni di uguaglianza e non discriminazione rispetto al pubblico degli utenti diviene occasione preziosa per coloro che hanno perso il lavoro e si trovano improvvisamente in condizioni di indigenza, un'oasi di socialità senza il marchio di pregiudizi; la possibilità di studiare insieme ai propri compagni, al di là delle condizioni abitative delle famiglie; anche solo la lettura dei giornali e il ritrovamento di reti di relazioni, divengono momenti preziosi di riammagliamento attorno ad attività culturali di reti sociali sempre più sollecitate e sfibrate nei luoghi della quotidianità. Tutto ciò, insieme alla miriade di altre iniziative e servizi (e che le biblioteche mettono in campo per gli utenti di tutte le età e di ogni provenienza) individuano un nucleo di opportunità e di socialità culturale dal quale si dipartono innumerevoli percorsi, alcuni dei quali portano alla lettura e al libro, altri all'incontro tra culture, altri ancora alla sperimentazione di forme di cittadinanza culturale. Non si tratta di benefici collaterali che rischiano di distogliere l'attenzione dalla missione principale, il prestito di libri e la diffusione della lettura: è il nuovo ruolo che hanno le biblioteche di pubblica lettura nella società, e non una gentile concessione alle mode e alle esigenze del momento. Ciò che manca è il pieno riconoscimento di questo ruolo, delle funzioni e delle attività implicate e una riflessione su come mettere le istituzioni nelle migliori condizioni per poter occupare questa posizione delicata e cruciale nella società. Se si pensa in questa prospettiva, la riduzione degli orari di apertura delle biblioteche per problemi di sostenibilità economica potrebbe rivelarsi una delle peggiori scelte possibili, proprio in funzione delle conseguenze sociali ed economiche che potenzialmente può produrre.
Se le biblioteche di pubbica lettura appaiono in prima fila rispetto a uno sviluppo della relazione tra fruizione culturale e welfare, rimangono poco esplorate le potenzialità di un incontro tra mondo dell'arte e delle cultura e benessere fisico e sociale. Le esperienze come quelle delle Fondazione Medicina a Misura di Donna che riescono, ingaggiando artisti, architetti, personale e pazienti, a trasformare l'ambiente fisico ospedaliero come nel caso dell’Ospedale Sant'Anna di Torino, l'esperienza del passaporto culturale a tutti i nuovi nati nello stesso ospedale, in corso di sperimentazione, mostrano estese possibilità di sviluppo e un impatto sugli utenti di grande importanza e profondità. La possibilità di utilizzare le attività culturali, le associazioni, le istituzioni per animare e ricreare reti di socialità strinate ed esauste, costruendo presidi urbani in isolati e quartieri che ospitino mini alloggi per anziani ancora autosufficienti, costruiti sulle esigenze della terza età sul modello di alcuni esempi nordici, appare una prospettiva assai interessante. Tra la famiglia, la solitudine e il ricovero ospedaliero o in una casa di riposo potrebbero essere pensate modulazioni diverse che vengano incontro il più possibile a capacità differenziate di autosufficienza. E in questi casi le attività culturali, le biblioteche, i teatri, le associazioni potrebbero svolgere un ruolo di collante e di animazione sociale, senza smarrire il senso della loro missione. Non si tratta di trasformare l'arte e la cultura in una terapia, ma di unire le forze per sfruttare positivamente le esternalità, per ritrovare una referenzialità con i temi sociali, anche in relazione all'utilità per specifici target d'utenza. E non dimentichiamo come già nei nidi e nelle scuole dell'infanzia, per poi proseguire almeno nei primi anni della scuola dell'obbligo, i processi educativi siano intrecciati o intrecciabili con pratiche culturali ad alta valenza esperienziale.
Riconoscere gli impatti sociali delle attività culturali e ricercare i modi per implementarli e arricchirli è una delle direzioni di quella progettazione intersettoriale che veniva evocata nei paragrafi precedenti: sarebbe curioso mantenere così alta l'attenzione sull'impatto economico delle attività culturali, trascurando gli impatti culturali e sociali che non solo sono propri e pertinenti, ma possono offrire dimensioni di sviluppo economico assai rilevanti. A patto che le attività culturali non si avventurino in supplenze improvvisate nei settori sociosanitari e dell'assistenza, come talvolta è avvenuto per il turismo.
Così come il turismo non è una conseguenza meccanica di un'attività di valorizzazione culturale, ingranare la cultura nelle politiche di welfare comporta una co-progettazione con gli altri settori, una riflessione congiunta su come costruire offerte integrate capaci di reggere la complessità delle domande sociali. E una riflessione congiunta su dove reperire le risorse per questi investimenti: il fatto che alcuni impatti positivi di attività culturali producano un risparmio per i servizi socioassistenziali, non vuol dire che ciò si traduca in una maggiore disponibilità economica. L'intero processo deve essere completamente progettato, monitorato e valutato dal momento che - l'abbiamo detto più volte - non può trattarsi di una mossa opportunistica per liberare qualche risorsa in più per la attività culturali, ma della sperimentazione di strumenti d'intervento e di approccio innovativi, multisettoriali e culturalmente ispirati ai temi della manutenzione del tessuto sociale.
Nessuna strumentalità di arte e cultura in questa direzione, nessun tentativo di legittimare pratiche e attività culturali con derive moralmente impegnative. Arte e cultura hanno un impatto positivo sul benessere delle persone e possono essere uno dei baluardi più efficaci per mantenere in pristino le facoltà cognitive, per consentire una cittadinanza attiva, per continuare ad avere motivazioni ed interessi che facciano da diga foranea contro il dilagare dei fenomeni depressivi, per prevenire il degrado di tessuti relazionali importanti. Si tratta di riconoscere tutto ciò come una dimensione costitutiva dell'attività culturale, che merita di essere pensata, elaborata e potenziata; tanto quanto la capacità attrattiva nei confronti del turismo culturale, anche l'arricchimento culturale e cognitivo dei singoli cittadini e della società nel suo complesso concorre alla costruzione dell'immagine urbana e territoriale,
Riaffiora, attraverso queste considerazioni, la necessità, diremmo quasi l'obbligatorietà, di scegliere.
Luca Dal Pozzolo è Direttore dell’Osservatorio Culturale del Piemonte
Oltre la sindrome di Vilcoyote
Politiche culturali per disegnare il futuro
Luca Dal Pozzolo, Aldo Garbarini in conversazione con Francesco De Biase
2016, ed. Franco Angeli